Articoli ItalyMedia.it

CULTURA, SPORT e SPETTACOLO

 
073
Una magistrale interpretazione dell’attore in “Quando si è qualcuno”
Albertazzi, re dell’ Argentina
A Roma il recupero filologico del testo pressoché sconosciuto di Luigi Pirandello, a chiusura di un intero ciclo a lui dedicato

di Laura Porelli

Roma. Dopo un silenzio di settant'anni, torna con un nuovo debutto "Quando si è Qualcuno" di Luigi Pirandello e si grida all'evento al teatro Argentina, dove l'opera chiude un ciclo di un anno dedicato appunto allo scrittore siciliano. Testamento poetico del grande autore agrigentino, praticamente sconosciuto al pubblico, il testo fu composto di getto nel '32, durante il volontario "esilio" berlinese e affidato alle scene nel '33, dapprima in traduzione spagnola al teatro Odeon di Buenos Aires e poi, per un brevissimo periodo, al teatro del casinò municipale di San Remo, con allestimento curato dalla compagnia di Marta Abba.
Non hanno badato a spese i due stabili italiani che si sono fatti carico della produzione, il Biondi di Palermo e l'Argentina di Roma: l'oscuro dramma pirandelliano, infatti, può vantare la presenza di due profondi conoscitori di Pirandello come Giorgio Albertazzi nel ruolo di protagonista e Massimo Castri, il regista, che in questa stagione ha siglato la regia anche di "Stasera si recita a soggetto". Un cast fin troppo affollato che conta una trentina di attori, affermati ed emergenti. Le scene meravigliose di Maurizio Balò, che vedono sfumare, nei tre atti, tre diverse stagioni di un giardino che muta con il mutare degli eventi e passa da una fine d'estate carica di elettrica positività, al decadimento dell'autunno, fino alla calma piatta della neve invernale che nel suo grembo tutto attutisce.
L'interesse e allo stesso tempo il limite di "Quando si è Qualcuno" è senz'altro l'esasperato e scoperto autobiografismo. E' facile scorgere dietro l'amore che un vecchio, affermato e celebrato poeta, indicato nel copione con tre asterischi, nutre, ricambiato, per la ventenne Veroccia, il tormentato rapporto che Pirandello visse con la giovane attrice Marta Abba, custodito e svelato in uno dei carteggi più belli della letteratura italiana. Non si è troppo lontani dal vero, quindi, se si afferma che l'opera vuole essere l'autoanalisi di un rifiuto, del rifiuto opposto all'amore giovane di Veroccia/Marta Abba.
Nel I atto, nel caldo dell'estate, il giardino di una villa risuona dei giochi festosi del poeta circondato dall'affetto del suo nipote americano Pietro (Pietro Faiella) e della sua inseparabile moglie Natascia (Anna Sesia), nonché dall'irruento amore di Veroccia, una brava Giovanna Di Rauso, altalenante fra un'isterica euforia da invasata e un fresco e più autentico ardore giovanile.
Qualcuno (così chiameremo il nostro protagonista), rinnovato dall'amore per Veroccia ("guardare te negli occhi e sentirmi vivo", dice il poeta), supera la sua condizione di vecchio, di vate imprigionato dagli occhi della gente che lo scruta nel ruolo di colui che tutto ha già pensato e detto e che ora deve rimanere immobile. Rigenerato torna a scrivere il poeta. Liriche ispirate e giovanili scorrono dalla sua penna, date alle stampe sotto lo pseudonimo di Délago, che, eletto dal pubblico dei giovani a loro paladino, incarna in verità il nuovo sentire di un vecchio.
E' l'intervento dei parenti (Paola Bacci, Bruna Rossi e Paolo Calabresi rispettivamente nei ruoli della moglie, della figlia e del figlio) e degli "amici" di Qualcuno, annunciati solennemente con una tromba che ha l'effetto di una pernacchia, vestiti di nero come avvoltoi, contrappuntati dagli sgargianti accappatoi indossati dal terzetto Pietro-Natascia-Veroccia, a spezzare il volo ancora incerto del poeta, che di nuovo nei panni di vecchio, tolta l'allegra maglietta da mare, in nero come i suoi "carnefici", viene condotto via.
Nel II atto, scoperto troppo presto, l'inganno di Délago è ridotto a burla dagli ammiratori di Délago stesso e, credendo sia il miglior partito, anche dai parenti di Qualcuno. I due schieramenti, posti gli uni dinnazi agli altri, si fronteggiano in un duetto rossiniano che tenta di movimentare l'andamento di una trama che scorre un po' farraginosa.
Mirabile l'ultimo scorcio del II atto. Albertazzi ci regala uno splendido monologo sulla vecchiaia, sussurrato, sospiro tenue e ad un tempo possente di chi ha grande consapevolezza della propria arte: "scoprirsi vecchio, all'improvviso in uno specchio…", "…la vergogna di una oscenità…di sentirsi in quell'aspetto di vecchio".
Il terzo atto potrebbe sembrare superfluo (imbarazzante l'impressione avuta dal pubblico che la recita fosse finita), tutto è stato già detto, nel II atto il poeta ha già scelto di eternarsi a monumento di sé stesso, assalito da una Veroccia disperata, che offre un nudo integrale a colui che ha rifiutato la sua anima e il suo corpo: il poeta non può amarla, solo Délago avrebbe potuto. Eppure Pirandello ha ancora qualcosa da dire. Vuole mostrarci l'esterno, la gabbia che ha imprigionato e "ucciso" il poeta: la gente che è venuta in occasione dei festeggiamenti in suo onore. Scavato negli occhi, larva di sé stesso, Qualcuno, vestito di bianco quasi si immola e nella neve, statua sul piedistallo, si "spegne".
Un Albertazzi strepitoso, protagonista e padrone della scena nel silenzio immobile come nell'agire. Meritevole il recupero filologico di quello che certo non è un capolavoro di Pirandello, ma pur sempre rappresenta l'ultimo prezioso tassello della sua poetica e della sua vita.

 


Torna a Cultura, Sport e Spettacolo

Torna a Home Page Articoli