Vergognati,
Maurizio!
di Antonello
De Pierro
E'
un grido di dolore quello che si leva da qualche mese dal mondo della
cultura, dopo che la televisione ha catapultato nelle case degli italiani
il discusso programma denominato "Grande Fratello", creando
un prodotto inconsistente, che è stato immediatamente e incomprensibilmente
rapito dalle cronache dei media. E quando parlo di cultura naturalmente
mi riferisco a quella con la c maiuscola, quella dei grandi (purtroppo
pochi) uomini, quella nella sua accezione più ampia, quella che
ha da sempre rifiutato di nutrirsi di surrogati ideologici e di imparare
la lezione della buona ipocrisia, tanto amata dai più. Eppure la
televisione, che ormai da anni affoga in una programmazione demenziale,
diseducativa, ripetitiva e scadente, ci aveva abituati da tempo allo squallore
delle telenovelas e della soap opera, incollando ai teleschermi il popolo
televisivo delle casalinghe, col grembiule al ventre, che tra un bucato
e l'altro, per innaffiare l'arido giardino della solitudine giornaliera,
si incantavano e sognavano di fronte ai miti improbabili di "Beatiful"
o di "Quando si ama". Si trattava sempre e comunque di artisti
che, costretti da esigenze professionali e allettati da ingaggi stratosferici,
legavano il proprio nome a produzioni di scarso valore culturale. Con
il "Grande Fratello" si è valicato ogni limite di decenza,
i colossali interessi economici hanno relegato in soffitta qualsiasi senso
di moralità. Un manipolo di ragazzi comuni, messi per cento giorni
a colloquio con l'occhio freddo di una telecamera "guardona",
sbattuti davanti a pupille spalancate collegate a cervelli altrettanto
ristretti, e scaraventati verso una notorietà di cartone non supportata
da un'adeguata preparazione professionale. Un business ben congegnato,
che ha affondato facilmente le radici in un terreno intriso di sottocultura
e ignoranza, atto a spremere come limoni le illusioni di un gruppo di
giovani che forse avrebbero potuto intraprendere carriere sicuramente
più idonee alle loro attitudini, piuttosto che essere magnificati
dai "polli d'allevamento" dell'Italia provinciale che si entusiasma
di fronte a tutto ciò che passa sul piccolo schermo, ma essere
sottoposti giustamente al mortificante rito dell'irrisione da parte delle
vere teste pensanti nazionali. Ed ecco invece i vari Pietro, Salvo, Marina,
Cristina, Rocco, Lorenzo, invasati da una droga che si chiama successo,
correre con la naturalezza dell'inevitabile, a suon di apparizioni varie,
verso un futuro incerto, segnato da suggestioni pseudo-professionali.
Di fronte ad una tale situazione non posso avvolgere le mie parole nella
carta zuccherata e rinunciare a dissotterrare l'ascia di guerra della
polemica. C'è una categoria in Italia fortemente rappresentata,
quella degli artisti veri, spinti dal comando imperioso di un'acrobatica
passione per lo spettacolo, che annaspa da sempre nell'oceano della precarietà
e vive costantemente in bilico sul baratro della disoccupazione. Le scuole
di preparazione artistica ne sfornano a centinaia; basta girare i teatri,
anche i più piccoli, per scoprire veri talenti, di cui l'Italia
non è mai stata avara. E invece ecco apparire improvvisamente sulla
scena Marina La Rosa, che ubriacata dalla popolarità riesce ad
offendere finanche quei fotografi che da sempre hanno fatto la fortuna
dei vip, definendoli "braccia rubate all'agricoltura"; la Sofia
nazionale ancora venera i professionisti dei flash a raffica ( comunque
c'è da dire che sulla Loren le brume del mito si sono posate davvero).
Ma il prodotto più scandaloso si chiama Pietro Taricone, che calzando
la sua normale faccia da bullo di paese riesce incredibilmente a vendere
la sua presenza a fior di milioni nelle discoteche di provincia e nei
suoi sogni lascia ingenuamente galleggiare un futuro alla Kevin Costner:
l'importante è crederci, ma purtroppo il risveglio sarà
doloroso e disastroso
E'
già criticabile l'operazione, che ha messo a nudo il livello di
sottocultura di gran parte degli italiani, ma purtroppo per i produttori
televisivi, non è facile sacrificare i propri interessi sull'altare
della cultura, della moralità e del buonsenso. Ma quando un giornalista
di grande spessore, con vocazione da imprenditore, marcia con i cingoli
sopra ogni principio etico-professionale, allora
il caso diventa inquietante. Quanta popolarità in meno avrebbero
ottenuto i ragazzi "usa e getta" del "Grande Fratello"
se non fossero stati foraggiati dall'ala protettiva di Costanzo, che li
ha aiutati a continuare la semina dei germi di tutti gli aspetti deteriori
dell'odierna società? Probabilmente i valori del grafico di notorietà
sarebbero molto più modesti. Caro Maurizio, pesa su di te una forte
responsabilità morale, sia nei confronti di quelli che il successo
l'hanno cucito sulla propria pelle, strappando l'ago e il filo a rinunce
e sacrifici fatti nelle scuole, nei teatri, nelle piazze, e sia nei confronti
delle fasce più deboli dell'esercito dei telespettatori. Ho visto
un giorno in un mercato un bambino giocare con dei soldatini e chiamarli
con i nomi dei protagonisti del grande fratello. Hai sostenuto una trasmissione
che, anche se con un ipocrita "bip" celava certe espressioni
colorite, non dava comunque molto spazio all'immaginazione per capire,
risultando quindi altamente diseducativa, tenuto conto anche della fascia
oraria in cui veniva trasmessa. Sono tanti i petali di simpatia persi
da te in questa occasione. Infine, colpito da un delirio di onnipotenza
hai pensato bene di organizzare una puntata chiamata "Pietro contro
tutti" in prima serata, con un Taricone versione re dei "coatti",
con canotta strizzamuscoli senza maniche, a troneggiare sul palco del
teatro Parioli, ingaggiando un vittorioso "braccio di ferro"
a colpi di audience con "La Piovra", pellicola a interesse sociale
in onda su Raiuno, mettendo a nudo ancora una volta, se qualcuno avesse
avuto qualche ulteriore dubbio, il livello culturale dei telespettatori
del "Maurizio Costanzo Show". Un'ennesima conferma di come un
grande giornalista abbia potuto bruciare sulla graticola dell'interesse
economico, perché audience per te vuol dire sponsor, non dimentichiamolo,
la propria credibilità professionale. Del resto in nome dell'audience
avevi già rifiutato di ospitare in trasmissione i rappresentanti
del "Comitato Vittime del Portuense", perché chiaramente
ventisette morti per te non hanno importanza, sono solo una lugubre contabilità
di normale amministrazione giornaliera, di fronte al sacro inchino al
potere dello sporco Dio denaro, a cui ti sei convertito e sottomesso.
Vergogna!
Vai a Archivio
Editoriali |