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Editoriale

Bush l'assassino

di Antonello De Pierro

George BushIl mondo è in ansia, trattiene il fiato, si nutre di angoscia. Ovunque soffiano forte venti di guerra, capaci di scucire il sorriso persino dai volti dei bambini. E sono proprio questi, avvolti nel candore della loro innocenza e della loro naturale incoscienza, a pagare lo scotto più alto e a campeggiare tristemente nella lugubre contabilità dei conflitti fra i popoli. Sono proprio questi che, in quel deserto della ragione che sono gli scenari bellici, dove il confine tra la vita e la morte spesso si riduce semplicemente ad una sporca questione di centimetri, sono uccisi dalle bombe, dai missili, dalle mine, ma anche dalle epidemie e dalla fame, che fa sognare di notte e siede in tutte le membra dei loro corpicini striminziti, e a cui proprio la guerra consente di seminare ulteriormente le sue sofferenze. I signori della guerra muovono la loro macchina cinica e micidiale, in un'esplosione di inaudita barbarie, bagnandosi sulle rive di colossali e vergognosi interessi politico-economici e sporchi giochi di potere, incuranti degli eccessi inevitabili contro la popolazione civile, che oltrepassano tutte le barriere dell'umanità. Ai fiumi di inchiostro versati e di parole spese per la coesistenza pacifica fra i popoli risponde puntualmente il fragore delle armi. E' il caso dell'ultimo conflitto armato, scatenato da quella miscela mostruosa ed esplosiva di follia, cinismo e determinazione, partorita nel deserto dell'anima, che è il presidente americano Bush, contro l'Irak di Saddam Hussein. Ci avevano provato in tanti a fargli cambiare idea. I centodieci milioni che hanno manifestato in tutto il mondo (e continuano a farlo), in favore della pace. Persino il Papa, aveva alzato rabbiosamente il tono della voce, superando incredibilmente le barriere di una considerevole precarietà fisica, irradiando da Roma un messaggio di pace e di rinnovata speranza al mondo intero. Ma quell'appello così autorevole si è sbriciolato come una torta senza lievito contro la determinazione del "rambo" americano, che, confuso tra ipocrisie ideologiche, ha scritto prepotentemente negli annali di quest'epoca nuovamente la parola guerra, cancellando dalle cronache tutti i conflitti territoriali minori in atto, di cui il pianeta è purtroppo costellato, e riflettendo l'incubo di ricordi terribili, che passeggiano ancora vivi nella memoria di tanti e che vengono riesumati inesorabili e minacciosi dalle profondità della storia, riaffacciandosi alla coscienza dell'umanità contemporanea, che respira un clima di manifesta paura, connotata da un sostanziale senso di incertezza e provvisorietà. L'attacco sferrato all'Iraq, in barba a qualsivoglia principio di legalità, ha l'amaro sapore, non di un desiderio di ricerca di distensione ed equilibrio internazionale, ma di una manovra militare di lapalissiana matrice coloniale. E' l'emblema del fallimento e di una triste dimostrazione di inutilità dell'ONU, che perde il suo valore diplomatico e si piega allo strapotere americano, inchinandosi al condottiero Bush. Siamo sul set della pura follia. Ma purtroppo non siamo in pellicola, bensì immersi in un penoso scorcio di cronografia contemporanea. Dopo la tragedia dell'11 settembre il cammino storico del villaggio globale ha subito indubbiamente una virata straordinaria e significativa. Gli USA, lasciandosi una lunga catena di ricordi di supremazia alle spalle, si sono ritrovati improvvisamente confinati in un cono d'ombra, impotenti nell'assistere al vacillare di quel ricorrente delirio di onnipotenza che aveva da sempre accompagnato il loro percorso nel vorticoso fiume della storia. George Bush, fresco inquilino della Casa Bianca, all'apice di una popolarità indiscussa, costruita su un impasto di ferocia, insensibilità e risolutezza (non dimentichiamo l'efferatezza con cui spesso e volentieri ha mandato a morte condannati di dubbia colpevolezza), ha temuto di perdere improvvisamente lo scettro del potere, con la decimazione della folta schiera di proseliti, che l'aveva portato al vertice della nazione. L'attentato alle Torri Gemelle, con il confine tra verità e realtà frantumato sui codici dei servizi segreti, deve aver imprigionato il "povero" presidente in una spirale di pensieri e timori confusi, obbligandolo a cercare ogni via d'uscita da quei labirinti che la storia si era divertita a tracciare nel suo destino personale e in quello collettivo del popolo americano. Col cervello bucato dagli aghi della paura di una prematura decadenza politica, si è trasformato in una macchina mostruosa, schizzante odio da tutte le parti, fuggendo disperatamente dal territorio del razionale, nel trionfo di una pericolosa e incontrollabile follia. E quando la ragione si spegne, subentra il regno dell'irrazionale e il sonno della coscienza è generatore di mostri. Il mostro Bush è proprio figlio di questa logica perversa, che ha condotto l'irrazionale a fare irruzione nella storia, partorendo un conflitto dettato solo da interessi strategici ed economici, che a priori ha ristretto pericolosamente gli spazi di mediazione, riducendo a puro sussurro ogni soluzione praticabile per ricondurre alla ragione negoziale gli ostinati contendenti. La sudditanza psicologica, che ha portato il mondo a contestare è vero, ma anche ad accettare questo prepotente rigurgito di odio di un'America dilaniata, che ha deciso di imbrattare di sangue e di cenere i territori petroliferi, è impressionante. La violazione di ogni normativa dell'ONU da parte dei guerrafondai Bush e Blair, predicatori fervidi del vangelo del piombo, probabilmente non porterà all'applicazione di alcuna sanzione. Eppure Cuba ancora è stritolata nella morsa di un embargo dilaniante, come lo stesso Iraq del tiranno Saddam Hussein, che oggi si trova a contrastare in condizione di netta inferiorità l'invasione dello straniero anglofono, che spadroneggia sul palcoscenico internazionale. Siamo i primi a condannare in maniera decisa la vergognosa politica dittatoriale di Saddam, ma forse è proprio Bush l'ultimo a potersi ergere ad organo giudicante. Si, perché il presidente americano, di dittatura se ne intende, e l'ha dimostrato ampiamente in questi giorni, limitando e soffocando lo spontaneo dissentire di gran parte del popolo americano nei confronti del conflitto in atto, che si materializza nella protesta di piazza. Mentre il mondo invade in massa le piazze in cortei pacifici a condanna decisa della guerra, negli USA, la libertà di pensiero e di opinione è schiacciata dalla vitrea e glaciale determinazione di Bush. E la chiamano democrazia. Il modello a stelle e strisce si sta sgretolando, il mondo guarda ormai gli USA con disprezzo, il sogno americano è ormai un cimelio ideologico da museo che vaga nel passato. Il nostro sentimento nei confronti dei Paesi arabi, di Saddam, dell'Afghanistan dei Talebani, è sicuramente di condanna. L'inciviltà di stampo medievale, dimostrata soprattutto nella repressione dei reati penali, li rende sicuramente inferiori in un contesto di progettazione di nuovi scenari di vita civile. Ma non ci sentiamo di assolvere gli USA in questo processo di accusa. I condannati mandati a morire nei bracci della morte dei penitenziari americani gridano vendetta, soprattutto i tanti che il governo americano si è affrettato ad eliminare sbrigativamente, anche in presenza di validi elementi dimostrativi della loro innocenza. L'assassino Bush più volte ha respinto la grazia, anche a chi era convinto che fosse innocente, pur di salvaguardare e consolidare gli scranni del suo potere. L'Europa non può non prendere atto di ciò e foderarsi gli occhi con il prosciutto. Con questi folli sul proscenio, con le bandiere della ragione che non sventolano più, c'è poco da stare a strologare sul nostro futuro, con la speranza che si stempera inevitabilmente nell'incertezza, che proietta la sua ombra rapace non solo sugli abitanti del pianeta di oggi, ma anche sul benessere dei loro figli e nipoti. L'umanità si interroga inquieta sulle prospettive del futuro, mentre il presente appare stritolato e dibattuto in una crescente crisi di valori, in bilico tra disillusione e soddisfazione, ottimismo e catastrofismo, mentre l'intero pianeta sembra più proiettato verso la trasformazione in una temibile polveriera di odio interetnico. Da queste pagine parte un messaggio di pace con un calendario dal titolo "NO WAR", contro la guerra del petrolio e dei colossali interessi economici, che hanno relegato nell'oblio qualsiasi senso di pietà. La modella Cristina Grillo, immortalata dall'obiettivo di Tiziano Marcoccia, in una cornice dinamica di atroci immagini belliche, lancia la speranza per l'edificazione di un nuovo mondo e condanna la miope scelta di Bush. Un modo per sperare e sorridere, con la luminosità di un seno o di un gluteo femminile a biancheggiare tra le efferate crudeltà della guerra. E non manca una provocazione: Cristina si offre a Bush e Saddam per la cessazione delle ostilità, e in futuro a chiunque avanzasse idee bellicose. Chissà se dove ha fallito la diplomazia, possa riuscire lo charme di un'avvenente fanciulla, e dopo tanto sangue versato l'uomo impari finalmente ad amare l'uomo?


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