Il sindaco aveva detto che l’avrebbe ricevuta in Campidoglio dopo aver denunciato omissioni di vigili che hanno coperto abusi dei vicini in rapporti con il clan Spada. Quando Lucia Salvati, ex preside di 74 anni, non ha avuto riscontri gli ha scritto una lettera per tentare di squarciare il silenzio. Rimasta senza risposta ora ha deciso di renderla pubblica

Roma - Non si placa la strenua battaglia di Lucia Salvati, l’ex preside 74enne, per ottenere l’accertamento della verità e l’agognata giustizia circa l’ormai nota vicenda che la vede coinvolta, suo malgrado, da oltre 10 anni. L’anziana signora residente a Roma, nel quartiere Infernetto, dopo aver presentato numerose denunce rimaste inevase, aveva manifestato più volte incatenata, segnalando omissioni e vessazioni da parte di alcuni rappresentanti istituzionali del X Municipio, in particolare di alcuni vigili urbani e dipendenti dell’Ufficio Tecnico di Ostia, finalizzate a dissimulare alcuni abusi edilizi realizzati dai vicini a suo detrimento. Questi, per indurla a desistere, dopo i tentativi intimidatori “istituzionali”, (era stata addirittura incriminata per abusi edilizi inesistenti e assolta con formula piena) non avevano avuto alcuna remora nel presentarsi a minacciarla e aggredirla sotto casa, insieme ai suoi due figli, con un esponente di spicco di un noto clan mafioso del Litorale, il cui profilo criminale è stato tracciato esaustivamente dalle note inchieste giudiziarie che hanno travolto Ostia (ancora prima dell’esplosione di Mafia Capitale), in seguito alle quali è stato raggiunto da un provvedimento di arresto insieme all’ex dirigente dell’Ufficio Tecnico Aldo Papalini.

La Salvati si era presentata in catene a più riprese presso sedi istituzionali e redazioni di organi di stampa, tra cui l’Ufficio del Giudice di Pace di Ostia, la sede dell’Ansa e la Procura della Repubblica di piazzale Clodio, dove aveva chiesto di parlare col procuratore capo Giuseppe Pignatone, e in sua assenza aveva riferito le asserite presunte notizie di reato in suo possesso a due appartenenti alla Polizia Giudiziaria.

Un’altra eclatante azione dimostrativa la preside coraggio l’aveva inscenata due anni or sono nella sala consiliare del Municipio di Ostia, alla presenza del sindaco Ignazio Marino appena insediato, proprio in occasione dell’appuntamento assembleare straordinario fissato all’indomani della vicenda giudiziaria che aveva scoperchiato le nefandezze mafiose e fatto emergere in tutta la sua drammaticità l’emergenza criminalità sul Litorale. Dopo 42 anni di onorato lavoro l’ex dirigente scolastica non riusciva proprio ad accettare che in uno stabile di via Peio, all’Infernetto, ci fossero state coperture e successive vessazioni istituzionali proprio per garantire tali coperture, che l’avevano trascinata in un vortice infernale, insieme ai suoi due figli, sfiancandola fisicamente ed economicamente. Per di più i suoi vicini, che lamentava avessero goduto della protezione omissiva delle istituzioni, erano proprio in rapporti con un noto esponente di quella mafia di cui si dibatteva in quella sede municipale, e tutti avevano fino ad allora ignorato ogni sua denuncia in merito. Ebbene quella mattina aveva deciso di far sentire forte la sua voce, la location le sembrava più che appropriata per gridare a tutti quanto le era accaduto, esponenti istituzionali che avevano permesso a personaggi con vincolo quantomeno di conoscenza con un appartenente di spicco a un clan di realizzare indisturbati abusi ai suoi danni, finalmente le gravi ingiustizie subite potevano trovare un varco verso la verità e la giustizia. E gridò forte davanti a tutti la sua disperazione, ma ad ascoltarla furono per lo più i tanti cittadini presenti e i giornalisti. Il sindaco Marino la notò e fece anche una battuta sulle catene, ma non si fermò e scappò via per impegni, il presidente Andrea Tassone, quello  arrestato successivamente all’arrivo del ciclone Mafia Capitale, non disse nulla. Ad avvicinarsi fu solo l’allora assessora Emanuela Droghei, che inizialmente disse che l’avrebbero fatta parlare col sindaco e l’accompagnò in una stanza con grande gentilezza e sensibilità. Chiese che le chiamassero “la Decina” e poi rivolgendosi a Maria Luisa Di Bacco, capo della segreteria politica del presidente Tassone: “Luisa, dov’è Silvia Decina?”. Questa rispose che era andata via col sindaco. Silvia Decina, divenuta poi nota alle cronache anche per un’intercettazione telefonica agli atti dell’inchiesta Mafia Capitale in cui parla con Salvatore Buzzi, era il capo della segreteria di Marino. Nella stanza in cui era stata accompagnata, assediata dai giornalisti e confortata dalla Droghei e dalla Di Bacco, l’anziana donna, scoppiata in lacrime, restò diversi minuti, con l’illusione di incontrare il sindaco che stavano cercando di rintracciare per farlo ritornare a parlare con lei,  secondo quanto affermato dalle parole della Di Bacco. Da lì a breve la Droghei le riferì che aveva chiamato il sindaco e che l’avrebbe ricevuta in Campidoglio, invitandola a seguire lei e la Di Bacco “nella stanza di Luisa, perché il sindaco la riceverà in Campidoglio, però ci dobbiamo accordare così noi l’accompagniamo” concetto ribadito anche dalla seconda: “L’accompagniamo noi, signora”.

L’impegno assunto dal sindaco Marino con la Salvati tramite l’assessora Droghei e la responsabile della segreteria politica del minisindaco Tassone fu clamorosamente disatteso. Non solo questa non ricevette alcuna chiamata dal Campidoglio o dal Municipio di Ostia, ma anche quando cercò di contattare la segreteria politica di Tassone, con cui avrebbe dovuto accordarsi per essere accompagnata, fedele alle parole pronunciate dalla Droghei: “…perché il sindaco la riceverà in Campidoglio, però ci dobbiamo accordare così noi l’accompagniamo” e dalla Di Bacco: “L’accompagniamo noi, signora”, i buoni propositi estrinsecati in precedenza, le rassicurazioni e le promesse, si sciolsero come neve al sole.

Ma la preside coraggio non si perse d’animo, decisa a proseguire nella battaglia intrapresa per ottenere l’agognata giustizia e mettere a fuoco quella verità di nefandezze istituzionali, che si cela dietro le mura di un immobile di via Peio e tra le pieghe di un paradossale divenire fenomenico che, grazie a esternazioni comportamentali a vari livelli, artatamente preordinate, ha addirittura trasformato i trasgressori in vittime. La speranza e la fiducia che la Salvati aveva riposto nel sindaco Marino era notevole, certa che se avesse solo disaminato gli atti e fatto un sopralluogo anche fugace in loco, considerata la sua grande sensibilità e il suo senso di legalità, avrebbe certamente sentito il dovere di procedere immediatamente ad affrontare il caso. Una vicenda che, viste le implicazioni che ha fatto registrare, con i protagonisti degli abusi in rapporti con un clan mafioso di Ostia, incredibilmente ignorati da varie cellule istituzionali, pare essere stata foriera di Mafia Capitale, e l’anziana pensionata non riesce proprio a comprendere come si possa prescindere da questa incredibile tragedia di una famiglia schiacciata da un sistema edificato  da alcuni esponenti istituzionali infedeli e da altri quantomeno tollerato, nell’analizzare le esecrande e ignominiose ipotesi comportamentali emerse dalla stessa inchiesta Mafia Capitale.

Alla luce dell’ennesimo scoglio ostativo nel cammino verso la verità la tenace signora, attesi invano  alcuni mesi, decise di ritornare alle catene. La prima protesta si concretizzò presso il Comando Generale della Polizia Locale di Roma Capitale e successivamente in piazza del Campidoglio, dove durò solo qualche minuto, a causa della pressoché immediata disponibilità a riceverla da parte del commendevole dott. Roberto Toppoli, responsabile dell’Ufficio del Sindaco per i Rapporti con i Cittadini. Questi prese a cuore la questione e interessò l’avvocato generale dott. Rodolfo Murra, che attivò alacremente una fitta corrispondenza con gli uffici interessati, che però, nonostante l’encomiabile impegno profuso da entrambi, condusse a un nulla di fatto. In preda alla disperazione per l’ennesimo tentativo, impaludatosi nelle sabbie mobili dopo aver alimentato ancora l’illusione di vedere la luce alla fine del tunnel delle kafkiane vicissitudini, rammentando ancora quell’invito a riceverla da parte del primo cittadino, vergò una lettera a lui indirizzata e la fece protocollare presso il Gabinetto del Sindaco. L’esito fu nessuna risposta, anche dopo essere trascorso un lasso temporale di molti mesi. A questo punto, determinata a far emergere la lunga storia di ingiustizia perpetrata ai suoi danni, pur se fiaccata moralmente, fisicamente ed economicamente, e finora soccombente nonostante lo strenuo e autorevole patrocinio legale del numero uno dei penalisti d’Italia, l’avvocato Nino Marazzita, ha deciso di rendere pubblica la missiva a Marino, con cui aveva sperato di avere quantomeno un cenno da parte sua, anche solo di solidarietà, in afferenza agli avvenimenti il cui orientamento esiziale è stato finora determinato da quello che lei stessa definisce “un lavoro di menti associate”, con cui si è scontrata, e ancora si scontra, nella ricerca della realtà oggettiva e del giusto riassetto delle ragioni finora assolutamente distorte.

La lotta per la verità pertanto continuerà senza sosta per la Salvati, che è la madre del giornalista Antonello De Pierro, presidente del movimento politico Italia dei Diritti, il quale finora aveva preferito non occuparsi pubblicamente della faccenda, ma ora sembra che l’insistenza materna a farlo l’abbia finalmente convinto, e già intanto sono iniziate le operazioni per il trasferimento definitivo e ufficiale della sede nazionale dell’organizzazione di cui è leader, proprio in via Peio, nell’abitazione, messa a disposizione dall’ex preside, adiacente a quella su cui ormai da 10 anni quest’ultima punta il dito denunciando gli abusi dei vicini in rapporti con un clan mafioso e le coperture istituzionali che li hanno permessi. Tra l’altro tale indirizzo era già stato indicato nella procedura con cui fu depositato il simbolo del movimento per le ultime elezioni europee e proprio qui avvenne la già menzionata aggressione intimidatoria a De Pierro e a suo fratello da parte del capo di un noto clan malavitoso, accompagnato in auto dai vicini, la cui gravità, stando agli atti, pare sia stata completamente ignorata dalle istituzioni competenti, nonostante il soggetto in questione compaia con un ruolo di primo piano nella piattaforma accusatoria delle inchieste giudiziarie sulla mafia a Ostia, in seguito alle quali è stato anche destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Questo è quanto dichiarato dalla Salvati per spiegare la decisione di pubblicare la lettera a Ignazio Marino: “Decido di pubblicare la lettera accorata scritta al sindaco Marino, rimasta senza risposta.

Chiedevo solo di aiutarmi a cercare la verità in una situazione che da semplice richiesta di riconoscimento di un diritto si era trasformata, con la complicità delle istituzioni, in un incubo per noi.

Avevo parlato di probabili abusi, sicura che le istituzioni avrebbero accertato.

Al sindaco avevo chiesto solamente che nominasse una commissione al di sopra delle parti per accertare la verità.

Della lettera protocollata il 25 novembre 2014 non ho saputo più nulla.

Periodicamente ho telefonato alla segreteria e le risposte sono palesemente contrastanti:

1)”Abbiamo mandato tutto al comandante dei vigili” (ma è stato il Comando dei vigili a dirottarmi verso il Campidoglio).

2) “Abbiamo mandato tutto in Procura” (tutto cosa?).

3) “Abbiamo mandato tutto all’Avvocatura” (ma l’Avvocatura aveva già fatto tutto quello che era nelle sue competenze, ora toccava al sindaco, o a chi per lui, nominare una commissione che stabilisse la verità).

La mia tristezza è che ho dovuto prendere atto che in questa società il cittadino comune conta veramente poco.

In 42 anni di scrupoloso lavoro, prima come insegnante, poi come dirigente scolastico, ho cercato di trasmettere valori a intere generazioni, conservando fino all’ultimo l’entusiasmo del primo giorno di scuola.

Ora, a 75 anni, devo constatare, con dolore, che le mie denunce lasciano nell’indifferenza le istituzioni.

Chiedo che sia fatta giustizia a tutti i costi. Non lo chiedo solo per me, ma anche, e soprattutto, per i giovani, che hanno diritto a credere in una società più giusta e hanno bisogno di speranza".

 

Qui sotto il contenuto integrale della lettera al sindaco, depositata presso l’Ufficio di Gabinetto del Sindaco il 25 novembre 2014 con numero di protocollo RA/76212.

 

Onorevole Sindaco,

sono Lucia Salvati, dirigente scolastico in pensione che nel luglio del 2013, protestò incatenata, nella sala consiliare del X Municipio, ex XIII.

Volevo solo tutelare i miei diritti e mi trovo al centro di una brutta storia, insieme ai miei figli, da quasi 10 anni per le omissioni e le coperture di alcuni appartenenti al Corpo della Polizia Locale di Roma Capitale e all’Ufficio Tecnico del X Municipio.

Abito all’Infernetto in una porzione di bifamiliare acquistata (solo il rustico che ho terminato negli anni) nei primi anni ’80 dalla sig.ra ******, proprietaria dell’altra metà.

Nel 2005 i coniugi ************** (separati legalmente, ma sempre insieme) trasformarono la loro porzione in 4 monolocali (nel progetto, perché in effetti sono bilocali) eludendo ogni mia richiesta di spiegazione.

Negli anni precedenti avevano, inoltre, costruito un manufatto abusivo in giardino che non rispettava le distanze e con sconfinamento del tetto nella mia proprietà che i vigili e un geometra dell’Ufficio Tecnico <<non vollero vedere>> nonostante le insistenze del mio avvocato perché ne prendessero nota.

Feci un esposto e cominciarono i nostri guai, perché ebbero inizio cause penali e civili di ogni genere da parte dei trasgressori e dei Vigili, che, da una parte dichiararono che al civico 34 era tutto in regola e conforme alla DIA, mentre noi del civico 30 fummo denunciati per abusi edilizi.

Ci fu un giudizio e grazie ad un giudice attento e imparziale, fummo assolti con la formula “perché il fatto non sussiste” ai sensi dell’art. 530 comma 1 c.p.p.

Per la serie di denunce penali messe in atto dai nostri vicini c’è un lungo elenco, ma le allego solo una, perché lei si renda conto con quanta malvagità e assenza di qualsiasi scrupolo hanno agito per nascondere il vero problema che era appunto quello degli abusi, aiutati in questo dai loro avvocati e purtroppo dalle istituzioni.

Ho protestato anche in Campidoglio incatenata e sono stata ascoltata con molta attenzione, dal responsabile dell’ufficio del Sindaco per i rapporti con i cittadini, dr. Toppoli che, a sua volta ha contattato l’Avvocatura che nella persona del Capo, avv. Murra ha ascoltato con altrettanta attenzione e ha messo in atto tutto quello che era nelle sue competenze con umana professionalità, ma ancora una volta i Vigili hanno distorto la realtà, mentre l’Ufficio Tecnico è latitante (ne sono venuta a conoscenza dall’accesso agli atti).

Ora tocca a Lei, On.le Sindaco.

Quel giorno di luglio, nella Sala Consiliare del Municipio di Ostia, Lei mi notò, ma scappò via per impegni.

Disse che mi avrebbe ricevuta in Campidoglio, ma quando mi rivolsi alla segreteria del presidente Tassone, dalla responsabile di tale ufficio, mi fu detto che la politica non s’interessava di tali problemi, contrariamente a quello che mi aveva detto il giorno della protesta insieme all’assessore alle Politiche Sociali.

Venga a vedere On.le Sindaco con una Commissione che sia al di sopra delle parti e non di Ostia.

Una vicenda giudiziaria, che non doveva esserci se chi è pagato con i soldi della collettività avesse fatto il suo dovere, dura ormai da quasi 10 anni, con gravi danni morali e materiali per le vittime fatte diventare carnefici.

Solo alla controparte abbiamo corrisposto finora euro 55000.

Con una determina dell’Ufficio Tecnico nella persona dell’Ing. Tabacchiera e del Dipartimento IX nella persona dell’architetto Biazzo ci hanno obbligato a fare una ristrutturazione che ci è costata euro 35000 per distacco di alcuni intonaci causato dai lavori fatti al civico 34.

On.le Sindaco,

accolga questa mia richiesta.

Ho ormai 74 anni e una vita spesa per il lavoro e per la famiglia.

Ho lavorato per ben 42 anni a Scuola, senza risparmiarmi.

Oggi sono accusata insieme ai miei figli di azioni lontane mille miglia dai nostri pensieri e dal nostro stile di vita come può leggere dall’allegato foglio:

“lesioni, ingiurie, violazioni di domicilio, aggressioni, diffamazione” per nascondere il vero problema: abusi edilizi, coperti dalla Istituzioni.

Chi ha sporto querele (tante) è venuto sotto casa ad aggredirci e a minacciarci di morte insieme ad Armando Spada, capo dell’omonimo clan mafioso del litorale, arrestato nelle scorse settimane insieme all’ex dirigente Aldo Papalini, che proprio da Lei fu rimosso.

La Procura è intervenuta più volte su questa torbida vicenda, ma Vigili e Ufficio Tecnico bloccavano affermando che tutto era in regola.

Il Suo intervento potrebbe mettere fine ad un sistema che sembra ormai consolidato.

Mi aiuti a cercare la verità.

Grazie per tutto quello che farà.

Tel.: 06********

Roma,lì24/11/2014

 

Sig.ra Lucia Salvati