a cura di Valeria Arnaldi


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la rubrica per gli amanti dell'Arte! Una selezione aggiornata delle migliori mostre ed eventi artistici in italia e nel mondo...

 
ARCHIVIO LEGGI L'ARTE
Le letture d'arte e le documentazioni artistiche dei più grandi autori.
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SIRONI, GLI ANNI DELLA SOLITUDINE 1940-1960

Dopo la caduta del fascismo, nel quale tanto speranze aveva riposto, Mario Sironi abbandona l’arte della pittura muraria, in cui affidava a pitture di grandi dimensioni la trasmissione e promozione di messaggi di carattere sociale, per dedicarsi ad opere su tela. Non rinuncia al suo intento didattico, per il quale sente una vera vocazione, ma è costretto a limitarne la potenza espressiva, riducendone lo spazio. D’altronde, la guerra e la caduta del fascismo lasciano poche possibilità alla grande arte decorativa. A questo periodo di immensa solitudine spirituale è dedicata la mostra allestita nelle Piccole Terme Traianee di Palazzo Valentini a Roma. Dopo essersi confrontato con temi immortali e con la vastità dell’Universo, Sironi si porta sull’abisso di quello stesso Universo, ma stavolta si sente vacillare. Perse le sue certezze, oscilla tra il desiderio di credere e l’impossibilità di sperare. Quella che racconta nelle sue opere è la disperazione dell’uomo tradito dai suoi stessi ideali, l’uomo ferito, privato delle altezze alle quali aveva tentato di innalzarsi. È Icaro con le ali bruciate dal sole e, nello stesso tempo, Dedalo che lo vede cadere, senza possibilità di salvezza.
La disperazione di Sironi è tanto più forte perché lucida e razionalmente sviscerata. Consapevole della sconfitta, non tenta di rinnegare il passato, ma anzi accetta il suo ruolo di vinto e ne soffre con la dignità dell’uomo e dell’artista. Nascono così figure di uomini imprigionati nella realtà e nel confine del quadro. Uomini che sono maschere o semplicemente linee schematicamente abbozzate, geometriche, senz’anima o forse con l’anima direttamente a fior di pelle che toglie ai lineamenti l’umanità per trasformare il viso in cassa di risonanza di un concetto. I toni cupi e gli incroci ed intarsi di linee, lo spazio interamente occupato dal soggetto, che lascia poco o nessuno spazio all’orizzonte libero sono dirette conseguenze di una libertà perduta.
Libertà non intesa in senso fisico, ma come possibilità di vincere la meschinità del quotidiano con la semplice aspirazione. Mano mano che passano gli anni, le figure perdono sempre più di concretezza per acquisire – paradossalmente – un maggiore realismo. Sono inquietanti, angoscianti, addolorate e dolorose. In quei visi che guardano in silenzio con gli occhi spalancati c’è la disperazione di un’anima tradita. Un grido più forte di quello di Munch.
Sironi. Gli anni della Solitudine 1940-1969, edito dall’Editoriale Giorgio Mondadori, a cura di Vittorio Sgarbi, è il catalogo dell’omonima mostra visitabile fino al 20 luglio a Palazzo Valentini. Un vero gioiello per quanti vogliano accostarsi all’artista, ma anche per chi, già appassionato delle sue opere, voglia approfondire un periodo al quale i critici sembrano aver dedicato meno attenzione.

Valeria Arnaldi

MICHAEL YAMASHITA, MARCO POLO – UN FOTOGRAFO SULLE TRACCE DEL PASSATO

È edito dalla White Star il catalogo della mostra fotografica di Michael Yamashita, che raccoglie gli scatti realizzati durante tre anni di viaggio nei territori dell’Estremo Oriente, o meglio, dovremmo dire sulle tracce di Marco Polo.
Non si tratta di un semplice virtuosismo d’artista, né di un confronto tra due viaggiatori, "Marco Polo – un fotografo sulle tracce del passato" è il tentativo di dimostrare la fondatezza storica dei racconti di Marco Polo e quindi l’attendibilità delle sue parole. Polo ne ‘Il Milione’ illustra un viaggio ben definito, fatto di terre ed architetture, ma soprattutto di persone e costumi. Il Medio Oriente, la Via della Seta, la Cina, il Tibet, il Laos, l’Indonesia, l’India: questi e molti altri sono gli orizzonti che prima la penna e poi l’obiettivo hanno voluto fermare nel tempo. Alla ricerca di quelle parole e di quelle atmosfere, Yamashita lotta contro il tempo, dimostrando che a secoli di distanza, ancora esistono bellezze e ricchezze che l’uomo ed il progresso non hanno contaminato. Ma anche che la storia si ripropone, spesso figlia di se stessa, in quei corsi e ricorsi vichiani che a volta sono identificabili con l’apparente stasi di realtà che si muovono più lentamente delle altre, con ritmi loro propri. È la storia di un percorso, di un viaggio in cui l’uomo cerca se stesso al di fuori del proprio corpo, ma anche l’universo nella sua personale interiorità in uno scambio reciproco, in cui ogni individuo è filosofo, artista ed arte. Soggetto che pensa ed oggetto pensato. Un cammino-pellegrinaggio in cui la meta è il viaggio stesso, fatto di strette mescolanza tra verità e fantasia. Nel rispetto della pulsione poetica che è alla base del progetto del fotografo, il catalogo propone accanto alle fotografie, stralci de ‘Il Milione’, posti come fossero didascalie esplicative, che in realtà vogliono però andare ben oltre questa funzione, fungendo da stimolo e motore per nuovi viaggi, fatti di passi e sentieri, ma anche di sogni ed intenzioni.

Valeria Arnaldi

WHITE CUBE

Edito dalla Scalo, "White Cube" è un libro-opera d’arte. Una raccolta di mostre, che diventa a sua volta un’esposizione. Non si tratta, infatti, solo di ricordare e testimoniare le scelte di una città o di una determinata galleria, ma di offrire uno spaccato sull’arte contemporanea, attraverso i suoi nomi più interessanti e nuovi. Per ogni artista vengono presentate due opere, in un’antologica che spazia tra pittura, scultura e fotografia. Non c’è alcun limite o parametro da rispettare, se non la vocazione artistica, nessun filo conduttore che non sia l’Arte stessa. Così accanto alle fantasie fumettistiche e per certi versi lichtensteniane di Matthew Ritchie, è possibile trovare la disperata umanità degli scatti di Clare Richardson, fatti di emozioni ed istanti fugaci, di confusione e perplessità, in cui luci e materiali modificano la pelle per tradurre la figura umana in oggetto e cristallizzarne le emozioni traducendole in filosofia. Non c’è carne che non possa tradursi in carta e viceversa.
E ancora, è la nudità impietosa di Ashley Bickerton che dell’uomo vede solo la carne, vuota di contenuti. Appunti di vita quotidiana, fermati dallo sguardo dell’artista, che riesce a porre l’attenzione su dettagli che sfuggono ad una semplice occhiata. Dettagli che forse sono creati dall’occhio stesso. Così per Yasumasa Moritura, la Gioconda diventa una donna come tante, e l’enigma del suo sorriso il più comune dei misteri femminili, ma anche un memento mori in cui la grazia della bellezza ed il destino della sfinge finiscono per dissolversi nel tempo, coperti di rughe, tradotti in polvere, disfacendosi giorno per giorno.
Una raccolta di storie, in cui al lettore è dato conoscere solo l’incipit, perché possa condurle a termine con la sua fantasia.

Valeria Arnaldi

I GRANDI FOTOGRAFI DEL NATIONAL GEOGRAPHIC

Edito dalla White Star in collaborazione con la National Geographic, "I grandi fotografi" raccoglie gli scatti apparsi negli ultimi anni sulle pagine della rivista National Geographic. Le fotografie sono state scelte secondo diversi criteri. Da un lato per tracciare una sorta di diario delle immagini più significate della nostra storia più recente, dall’altro, si è cercato di stabilire le linee guida della rivista, con servizi che potremmo definire ‘tipici’ in un certo senso. Due criteri che lasciano comunque un largo margine di gioco. Vi è lo splendore della natura e delle sue bellezze nascoste, e poche pagine dopo si trovano le immagini di alcune tribù africane, dei loro costumi e dei loro riti. Articolato in tre sezioni, il libro illustra: la natura sulla terraferma ma anche i fondali del mare, la cultura negli States e nel mondo, la scienza nella sua accezione più ampia. Fotografie ma non solo. Queste infatti vengono corredate da brevi racconti sul fotografo o sul servizio stesso. A volte le foto nascono quasi per caso, sono figlie di un momento fortunato, non valutabile a priori. Belle e coinvolgenti per il loro non essere presentabili o determinabili. Ma alle volte, gli scatti hanno una lunga gestazione, fatta di conoscenza del soggetto da raffigurare, delle sue abitudini, dello spazio in cui si muove. Queste storie fanno da corredo alle immagini, per valorizzarle e completarle. E raccontano la vita di chi è dietro l’obiettivo: le sue parole, i pensieri che determinano uno scatto o che invece ne sono la diretta conseguenza.
Parlano di chi racconta ma anche di chi ascolta. Ogni fotografo ha un suo stile personale e quindi un suo personale pubblico. National Geographic ha una sua linea definita anche per le immagini, ma questo non impedisce che ognuno si esprima secondo la propria sensibilità. Un’affascinante selezione di foto e di storie che offre dei rapidi flash sulla nostra storia più recente.

Valeria Arnaldi

BALCANI: LA GUERRA IN EUROPA

"Memorie per l’educazione alla pace" è questo il sottotitolo del volume fotografico di Livio Senigallesi, pubblicato dal CESVI. Un diario in bianco e nero della guerra che ha sconvolto i Balcani, che nasce da un incontro avvenuto in Kosovo tra il fotografo e i volontari dell’ONG Cesvi. Due viaggi nati per motivi diversi – l’Ong voleva ricostruire, Senigalessi testimoniare - che sono poi confluiti in unico progetto, tanto che anche l’artista è stato ‘arruolato’ tra i volontari in Macedonia. Lo stesso percorso fatto con passi e sguardi differenti si è snodato attraverso ripetuti incontri più o meno casuali, nella Bosnia serba e in quella Croato-musulmana, in Serbia e in Albania. Per parlare di atrocità che spesso sono tanto lontane da sembrare invenzioni della carta stampata e della televisione. Ma che stavolta sono fatte di uomini, con un loro volto definito che non scompare in un mero conteggio di vittime o feriti, persone che hanno una loro storia e che portano i segni della sofferenza sulla pelle. Persone che parlano con sguardi e silenzi, con gesti fatti distrattamente, stanchi, a volte rassegnati, a volte coraggiosi. Persone che sono lezioni per quanti vivono un quotidiano tranquillo, per quanti guardano il telegiornale seduti sul divano e hanno perduto il senso della concretezza di quanto ascoltano.
Ogni giorno siamo bombardati da centinaia anzi migliaia di immagini che si imprimono sulla retina per un istante ma non arrivano più al cuore . Gli scatti di Senigallesi invece restano dentro, perché sono ‘emozionati’ e quindi emozionanti. Perché sono chiari e diretti. Perché parlano o forse gridano.

Valeria Arnaldi

RIFLESSI DI BISANZIO

Bisanzio dopo Bisanzio: è questo il tema cui è dedicata la mostra allestita ai Musei Capitolini dal 22 maggio al 7 settembre. Nata dalla collaborazione tra la il Ministero della Cultura della Repubblica Ellenica, l’Ambasciata di Grecia a Roma, l’Assessorato alle Politiche Culturali e la Sovrintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, la mostra raccoglie capolavori d’arte ellenica dal XV al XVIII secolo, provenienti dal Museo Bizantino e Cristiano di Atene. Icone, trittici, affreschi, oggetti e paramenti di uso liturgico, manoscritti e libri sono in mostra per testimoniare lo stretto legame tra la cultura greca e quella romana, cresciute attraverso un arricchimento reciproco in un dialogo culturale che non si è mai interrotto. Dopo la caduta dell’Impero Bizantino, la cultura ha trovato nuovi canali espressivi, scegliendo i monasteri come luogo di promozione e diffusione. Questi sono stati in un certo senso i motori di una continua ricerca artistica che, anche sfruttando ‘lezioni’ provenienti da altri paesi, fosse in grado di trovare la via più giusta e più incisiva per illustrare il messaggio spirituale. Non solo. Negli oggetti esposti in mostra, infatti, l’elemento spirituale è sì portante ma si accompagna ad un alto valore estetico. La civiltà bizantina sopravvive nella cultura di ori e decorazioni imponenti, lussuose, ricche.
Tra Quattrocento e Seicento grazie al diretto contatto tra la città di Creta e Venezia, Bisanzio si trasforma in un ponte, un raccordo tra due culture profondamente differenti ma interessate l’una all’altra. Occidente ed Oriente, il mondo classico e quello cristiano, la vecchia e la nuova Roma dialogano, finendo per individuare un sostrato culturale comune. Stampato ad Atene, in occasione del semestre di Presidenza Europea della Repubblica Ellenica, il catalogo è articolato in 6 sezioni, che potremmo a ragione definire ‘sale’. È infatti strutturato in maniera tale da poter consentire una visita virtuale della mostra a quanti non possano recarvisi, ed in modo da essere un valido sostegno per chi invece si trovi di fronte alle opere esposte. Ad ogni pezzo sono infatti dedicate due pagine, una con la foto e l’altra con una scheda critica. Impossibile non rimanere affascinati dalla fine arte di cesello ed intarsio dell’oggettistica, in cui l’oro viene lavorato in mille riccioli e figure, anche di piccolissime dimensioni, per dare la sensazione di copiosità ed abbondanza. I reliquiari, le croci, le icone sono simboli di un qualcosa di superiore e proprio per questo le loro decorazioni vengono curate con minuzia, scegliendo soggetti che abbiano un alto valore filosofico-concettuale, ma che siano anche capaci di emozionare per la bellezza e la complessità della loro realizzazione. A riprova della kalokagatia della tradizione classica greca, in cui il bello coincide al buono e viceversa.

Valeria Arnaldi

ALBERTO SUGHI

Maestro del Realismo esistenziale italiano, Alberto Sughi in una mostra ospitata nella sede della Società Dante Alighieri a Roma, traduce in pittura la Vita Nuova di Dante. Un’impresa sicuramente non facile data la complessità dello stile dantesco, che però Sughi riesce ad affrontare con maestria, interiorizzando l’opera per poi renderne la propria personalissima visione. Quella in mostra quindi non è solo la Vita Nuova ma ciò che questo testo ha lasciato nell’artista, coinvolgendolo, emozionandolo, a volte chiamandolo a mettersi in discussione con se stesso.
Protagonista della sua opera è l’uomo inteso nella sua accezione universale che – paradosso – acquista maggiore forza nella piccolezza quotidiana. Così Sughi si sofferma a rubare emozioni, sguardi, lacrime, le tracce di dolori e sensazioni comunque forti, capaci di stravolgere e deformare visi e corpi, ora togliendo ora dando loro luce.
Nell’apparente solitudine dei soggetti c’è la disperazione di individui e microcosmi che si sfiorano senza penetrarsi. La fissità di sguardi e la rigidità di taluni movimenti è un modo per sottolineare la difficoltà delle persone non solo di relazionarsi tra di loro, ma perfino di ‘accorgersi’ dell’Altro. In tutto ciò Dante è l’osservatore esterno, l’occhio obiettivo dell’artista che di quelle persone fa oggetto d’ispirazione, poesia e pittura, più vere a volte di carne ed ossa. Ad alcune tavole più direttamente legate al testo della Vita Nuova, fanno seguito alcuni ritratti immaginari del Poeta. È prima un Dante giovane, dalla mascella volitiva che bagna il viso delle sue sensazioni e di quell’intima pulsione che solo gli artisti conoscono. Poi un Dante-indovino, un vate senza occhi, forse un Omero od un Tiresia, o solo il bozzetto di una scultura commemorativa. Infine l’uomo consumato dalla sua stessa Musa, che sulla strada dell’esilio ha il viso emaciato e la vecchiaia stanca incisa nella pelle. Il Dante tratto dalla storia è solo il primo passo verso il Dante libero frutto di una fantasia di tela e colore. L’universalità e la modernità del poeta arrivano ai nostri giorni, lasciandolo muoversi – attento osservatore – nei bar, nelle strade, tra la gente. Testimonianza a colori della prima riga dell’opera: Incipit Vita Nova.

Valeria Arnaldi

 

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