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"Totò? Non improvvisava mai, provava ogni scena per ore e ore"
Carlo Croccolo, indimenticabile "spalla" di Totò in molti film, è a Roma con "Il malato immaginario" e ci racconta il suo modo di fare teatro

di Paola Rocco

Carlo Croccolo - Foto Tiziano Marcoccia - Ogni utilizzo non autorizzato è vietatoRoma. Carlo Croccolo è in scena fino alla fine di dicembre al Teatro Ghione di Roma con "Il malato immaginario" di Molière. La commedia, rappresentata per la prima volta a Parigi il 10 febbraio 1673, è incentrata sugli affanni di Argan, convinto d'esser gravemente ammalato e perciò deciso a maritare la figlia a un dottore, in modo da assicurarsi cure e assistenza. Inutile aggiungere che, alla fine, gli sforzi congiunti della ragazza e della fedele Tonina, la serva di casa, avranno la meglio sui desideri paterni e la giovane sposerà il ragazzo che ama liberandosi, nello stesso tempo, anche dell'ostile matrigna.

 

Come mai la scelta di Molière?
"E' da sempre uno dei miei autori prediletti. Del resto io amo particolarmente il grande teatro del Cinque e del Seicento, la sua irriverenza, la sua aggressività, l'ironia rivolta agli aspetti negativi della società, il tutto inquadrato in un impianto formale raffinatissimo: si pensi alle costruzioni del Machiavelli, dell'Aretino, del Bruno, alla satira che sapevano esercitare contro i potenti creando, nello stesso tempo, capolavori immortali. Dopo il Seicento il teatro comico si annacqua un po', la satira c'è sempre ma è ormai complice, accattivante, benevola, una satira che strizza l'occhio al potere nel momento in cui lo sbeffeggia, però senza mai oltrepassare una certa soglia. E' un teatro, una società che si autocelebra, oggi diremmo una satira qualunquista, un po' come quella del Bagaglino".

 

Si parla, da tempo, di crisi del teatro, e di possibili soluzioni.
"La crisi c'è per tre motivi: il primo di carattere politico, perché manca una volontà sincera di dar forza al teatro, gli aiuti ministeriali sono aiuti politici, non teatrali, che spesso vanno a chi non li merita. E poi mancano sia i nuovi autori che i nuovi attori, mancano le scuole vere, l'apprendistato. Alcuni comici riescono a venir fuori lo stesso, perché sono eccezionalmente dotati, penso ad esempio ad Aldo, Giovanni e Giacomo, a Benigni, tra gli attori-autori a Vincenzo Salemme. Un altro meraviglioso attore di teatro, ancora abbastanza giovane, è Kim Rossi Stuart. Per il resto c'è tutto un brulichìo di volti che rimbalzano dalla televisione al cinema al palcoscenico senza nessuna preparazione, senza essersi mai fatti le ossa, e quindi senza un'effettiva incisività, senza uno spessore comico. Si tratta, a mio avviso, di operazioni truffaldine al solo scopo di far soldi".

 

E la scuola "televisiva" dei ragazzi di Saranno Famosi?
"Ignobile. L'unica scuola seria, in Italia, è quella dell'Accademia Silvio D'Amico, e anche lì le cose non vanno più come una volta. Per il resto, le scuole per attori da noi sono le peggiori esistenti: bisogna andare in Francia o in America se si vuol studiare sul serio. Del resto, basta pensare all'abisso che c'è tra la scuola francese del Circ du Solèil e le nostre accademie per rendersene conto. Non a caso da noi c'è il mito dell'attore che improvvisa, che riesce a creare capolavori senza sforzo e senza studio, sull'onda di una genialità innata. Non so quante volte ho sentito dire che la scena, famosissima, della lettera tra Totò e Peppino è stata girata, per così dire, 'all'impronta'. Nulla di più falso, quella scena è stata provata per un'ora, lo so perché c'ero. Totò non improvvisava mai, provava e riprovava, e con lui tutti, comprimari, 'spalle', comparse, finché il meccanismo non funzionava alla perfezione dando, appunto, un'impressione di estrema naturalezza".

 

Com'è il suo rapporto con i giovani?
"Meraviglioso, io adoro i giovani, cerco sempre di trasmettergli la volontà, la forza di combattere, e poi il rigore, il concetto che lo studio è fondamentale. Oggi si vede di tutto, si passa dalla televisione al palcoscenico con assoluta disinvoltura. A rimetterci è comunque il teatro, che abitua il pubblico a questo scadimento, lo disorienta con operazioni improponibili, spettacoli invedibili".

[Foto Tiziano Marcoccia]

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