Dopo 
                    anni di carriera, Rosella Falk si cimenta nel suo primo monologo  | 
               
               
                Vissi 
                    d’arte, vissi d’amore  | 
               
               
                Amori, 
                    gelosie e piccoli vezzi al limite della mania: con l’attrice 
                    parliamo della sua gioventù e della grande amicizia 
                    che la legò a Maria Callas, cui ha dedicato uno spettacolo 
                    teatrale  | 
               
             
             di Valeria Arnaldi 
             Quanto 
              dura un’amicizia? E in che forme si manifesta? La fiducia 
              e l’ascolto sono i suoi ingredienti essenziali, cui si aggiungono 
              l’affetto ed il ricordo. Ricordo inteso in senso ampio, tradotto 
              in omaggio e, di conseguenza, per quanto possibile, in eternità. 
              Questo è il presupposto o forse la conclusione di “Vissi 
              d’arte, vissi d’amore”, un monologo – ma 
              in realtà, un vero e proprio spettacolo – scritto da 
              Rossella Falk su e per Maria Callas.  
            Quando e dove vi siete conosciute?  
              È accaduto per caso ed in una maniera quasi banale. Ci siamo 
              conosciute come si conoscono tutte le altre donne. Eravamo a Milano, 
              nell’atelier di Biki, nota sartoria che, negli anni sessanta 
              vestiva vip e signore italiane dell’alta borghesia. Nei giorni 
              delle sfilate mettevano a nostra disposizione un appartamento. Dividendolo, 
              abbiamo imparato a conoscerci, stringendo un legame che, anno dopo 
              anno, si è fatto più forte. Quello che inizialmente 
              era casuale, è diventato, poi, una vera ricerca. Appena avevamo 
              tempo, ci vedevamo, magari a metà strada, per raccontarci 
              vite, speranze e delusioni.  
            Di delusioni la Callas, nella sua vita, ne ha avute, purtroppo, 
              molte… 
              Era una donna fragile, che ha imparato a diventare una combattente, 
              solo per poter sopravvivere. Non era facile il mondo allora. Maria 
              aveva conosciuto la povertà e ne aveva fortissimo il timore. 
              Ancora ricordo come le si illuminavano gli occhi quando entravamo 
              in una profumeria. Era uno dei suoi vezzi: entrava per comprare 
              qualcosa per le unghie, per cui aveva una vera mania. Appena la 
              riconoscevano, le regalavano campioni di questo o quel profumo. 
              Lei era contentissima. Sembrava una bambina. Ho sempre pensato che 
              quella delle unghie fosse solo una scusa. Le piacevano i regali, 
              il lusso, il futile. Le piaceva il risparmio.D’altronde, aveva 
              dovuto impararlo a sue spese. 
            Come mai, oggi, a distanza di tanti anni, dedica uno spettacolo 
              alla sua grande amica?  
              Della Callas donna il pubblico sa ben poco e sembra che sia condannato 
              a sapere sempre meno. La pelle, il viso, la carne scompaiono quando 
              si diventa un mito. E, per paradosso, il paese dove è meno 
              conosciuta dal punto di vista “umano”, è proprio 
              la Grecia, che le ha dato i Natali. L’hanno messa in una sorta 
              di Olimpo artistico, negandole il diritto al ricordo vero, d’affetto. 
               
              La Callas è un’epoca, è la Grecia, è 
              l’amante appassionata per eccellenza. La Callas è il 
              Mediterraneo, il fuoco che anima i paesi che vi si affacciano, la 
              magia e le suggestioni di una cultura antica.  
              La Callas non è una donna. Mai. Nel mio spettacolo, ho voluto 
              tratteggiarne un ritratto più vero, quotidiano, umile.  
            Quali sono state le maggiori difficoltà?  
              Sicuramente il grande stress emotivo con cui ho affrontato tanto 
              la stesura del testo che la sua interpretazione. Non è facile 
              rivivere un periodo così lontano della mia vita e, più 
              ancora, dare voce ad un’amica che non c’è più. 
              Ogni volta, mi chiedo se sarebbe soddisfatta di come la interpreto, 
              di quello che dico, di come la ricordo. Mi sembra sempre di essere 
              in debito con lei.  
            E, invece, dal punto di vista tecnico? Questo spettacolo 
              è una prima grande prova?  
              In effetti sì. è il mio primo monologo. Non ne ho 
              mai voluti fare, o forse, nell’arco della mia pur importante 
              carriera, non è mai capitato che me ne offrissero. Ma questo 
              spettacolo poteva salire in scena per una voce sola. Oltre a quella 
              di Maria, naturalmente…  
            Parlando di Maria Callas, si finisce per parlare inevitabilmente 
              di passione e, anche di Aristotele Onassis… 
              Che dire? Erano l’uomo e la donna più illustri della 
              Grecia. Non potevano non incontrarsi ed amarsi. Non fu una storia 
              facile, però. Lui non amava neanche la lirica. Che dialogo, 
              ma soprattutto quale capacità di comprensione potevano esserci? 
            C’è un suo amore segreto che non è 
              mai balzato agli onori - ed oneri - della cronaca? 
              Mi ricordo che una volta si innamorò di un mio fidanzato. 
              Ero gelosa. Così un giorno, sono andata da lei e, con calma, 
              le ho detto: Maria che dobbiamo fare? Io sono un tipo disincantato 
              e preferisco chiarire prima per non restare male poi. Dopo la nostra 
              discussione, mi resi conto che, in realtà, di quell’attrazione 
              per il mio fidanzato, ero anche un po’ orgogliosa: piaceva 
              alla Callas! 
            “Vissi d’arte, vissi d’amore” è 
              uno spettacolo didattico?  
              Forse sì. Vorrei che la gente, attraverso la rappresentazione, 
              imparasse a ricordarla e ad amarla in una maniera diversa, nuova, 
              più vera. Mi piacerebbe portarlo in molti teatri e, soprattutto, 
              in Grecia. C’è bisogno che si ricordino la Callas donna, 
              o che almeno, imparino a conoscerla. 
              
             
             
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