Il noto avvocato penalista Nino Marazzita traccial’attuale quadro Normativo e Giurisprudenziale sul fenomeno 
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                Mobbing: manca la legge  | 
               
               
                Come intentare una causa.  Quando è reato. La situazione a livello  nazionale e regionale. All’estero le cose funzionano meglio. Vessazioni e  diritto nei vari contesti sociali, lavoro, scuola, caserma e famiglia  | 
               
             
            di Maira Nacar  
                         
             Il  fenomeno vessatorio fino a che punto può essere contrastato utilizzando l’arma  del diritto? Corte costituzionale, Magistratura, Parlamento, viaggiano sempre  su binari paralleli, a sostegno e tutela del cittadino leso? Il mobbing per il  Codice Civile e Penale.  In Italia c’è  una legge che ponga fine a tale spirale vessatoria, sull’esempio estero, di Francia,  Germania e Spagna? A questo e molto altro di più risponde il noto avvocato  penalista, Nino Marazzita, in un’amabile ed approfondita conversazione,  dagli accenti letterario-filosofici, specie, quando viene ricordato Jean  Paul Sartre, uno dei clienti più prestigiosi, dell’avvocato-gentiluomo. 
              
            Avvocato,  il mobbing com’è inquadrato giuridicamente?
            Il mobbing, giuridicamente parlando, non  ha una collocazione precisa perché c’è un mobbing che riguarda l’aspetto penale  e c’è un mobbing che riguarda i rapporti di lavoro, poi ci sono vari tipi di  mobbing che possono verificarsi all’interno delle scuole, anche, per esempio,  nell’esercito, e quindi non c’è un inquadramento, non esiste una legge che si  focalizza sulla vessazione da mobbing.  
            Mantenendoci  sul generico, quali sono i passi cardine da effettuarsi quando si vuole  intentare una causa per mobbing? 
            In realtà, il punto fondamentale… la prima  cosa che si deve fare quando s’intende proporre una causa da mobbing o anche  quando la persona ha il sospetto che possa essere oggetto… vittima di mobbing,  prima ancora, poi, di arrivare al giudizio, andando dall’avvocato, è quella di  procurarsi delle prove. Per esempio, mettiamo che l’attività di mobbing si  sviluppi all’interno di un ambiente di lavoro, il vessato deve cercare la  persona che può testimoniare, per cui il lavoratore, magari, più indipendente,  rispetto al datore di lavoro o uno che è a pari dignità del datore di lavoro.  Non è escluso che si possa per esempio, fare un’intercettazione, che è non autorizzata,  quindi non è un’intercettazione che abbia valore di prova legale, ma non è  neppure illegale. Poi, se c’è un’intercettazione che chiaramente costituisce  una prova per poter sostenere una causa in civile o in penale di sopraffazione  da mobbing, sarà compito del tecnico… dell’avvocato, in questo caso, a far sì  che quella prova rientri all’interno delle prove legali.        
            Lei,  dal 1965, esercita la professione di avvocato criminalista… che nesso c’è (se  c’è un nesso), tra il crimine e il fenomeno vessatorio? 
            Mah diciamo che il fenomeno vessatorio è sempre un  crimine, qualunque sia la diversità della condotta, in altre parole quando c’è  una compressione sulla libertà personale, c’è sempre un dato che appartiene  alle norme criminali. Per esempio, impedire a qualcuno di sviluppare  completamente la sua attività quotidiana… anche, una condotta, se io impedisco  a qualcuno di telefonare, è quella una violenza privata. Quindi l’aspetto  vessatorio gira e rigira sempre ad un aspetto penalmente diverso, perché è una  compressione della libertà individuale.  
            Avvocato  Marazzita, quanti i casi di mobbing che si accumulano, annualmente, sulla sua  scrivania? 
            Tanti. In questi ultimi due anni c’è un  crescendo esponenziale, perché la gente prende consapevolezza, si parla più di  mobbing sui giornali, in televisione e quindi la gente, poi, scopre, ad un  certo punto, che è stato oggetto e vittima di mobbing e viene naturalmente a  studio. Poi, la serietà dell’avvocato… dello studio legale è quello di saper  fare uno screening.  
            Quindi  c’è sempre stato questo fenomeno, ieri come oggi? 
            Sì, oggi se ne parla, per fortuna, anzi  credo che si fosse sviluppato, nel passato, con modalità, magari, più violente,  perché nessuno ha mai avuto il coraggio di denunciare nessuno.         
            Senta  avvocato, come mai giurisprudenza e letteratura giuridica non contribuiscono a  delineare contorni e limiti, entro cui s’insedia tale piaga sociale?  
            Perché c’è stata una sentenza della Corte  costituzionale, di alcuni anni fa. Con tale sentenza, la Corte costituzionale  davanti ad una sollecitazione di esprimere un giudizio proprio sul  comportamento da mobbing, un po’, imprevedibilmente, ha risposto che le norme  che c’erano bastavano per coprire, sotto tutti gli aspetti, il fenomeno da  mobbing, e, quindi, c’era in fondo un’indicazione della Magistratura ordinaria  verso la Corte costituzionale. La domanda che si pone un giudice ordinario è  cosa deve fare quando si trova un comportamento un pochino spezzato, per quanto  riguarda l’aspetto penale. Poi, però, non va dimenticata la parte che riguarda  l’aspetto civile, e, ancora, la parte che riguarda i rapporti di lavoro. Io  credo che la Corte costituzionale abbia un po’ sottovalutato il problema in  quanto piaga sociale, come lei giustamente l’ha chiamato, è una piaga… un  allarme sociale, questo, peraltro notevole. Ho l’impressione, che, siccome la  sentenza è di alcuni anni fa, non credo che oggi la Corte costituzionale, con  una diversa situazione, farebbe una sentenza meno attenta al fenomeno sociale.             
            Il  mobbing, in definitiva, è o non è un reato, in Italia?  L’assenza di una legge che disciplini in toto  la capziosa materia continua a generare confusione, nonostante l’artt 2 e 3  della nostra Carta costituzionale (quella sui diritti alla personalità del  lavoratore), e svariati artt del Codice sia civile sia penale sia depongano  a favore del mobbizzato… 
            In alcuni casi sì, è reato. Dunque,  intanto, secondo me dobbiamo vedere quando si verifica il mobbing ed io credo,  parlo su un piano di diritto del lavoro, che bisogna fare riferimento alla  sentenza della Cassazione - Sezione Lavoro - del 2006, che ha messo in evidenza  quali sono gli aspetti del cosiddetto mobbing, nei rapporti di lavoro. Questa  sentenza è una tesi importante, perché ha semplificato quelle che sono le forme  di terrore psicologico che si realizzano sul posto di lavoro e le ha divise in  due aspetti: violazione degli obblighi contrattuali prima e violazione da parte  del datore di lavoro, poi, del generale dovere sancito dall’Artt. 2087 del Codice  Civile. Tale articolo stabilisce il dovere di salvaguardare l’integrità fisica  e la personalità morale del prestatore di lavoro. Quindi la Cassazione –  Sezione lavoro - ha proprio puntualizzato… con uno schema quelli che sono i  comportamenti da mobbing. Naturalmente, il prestatore di lavoro ha vari doveri,  non ha, soltanto, sostanzialmente, i doveri previsti dal contratto di lavoro,  egli ha doveri che vengono dalla correttezza umana, dalla correttezza morale e  tutto questo – dice la Suprema Corte di Cassazione - opportunamente ha una  valenza sulla controversia che viene instaurata davanti al giudice del lavoro. 
             
            Ecco… il recente  ricorso al Tar del Lazio ha messo un freno all’ipotesi di una legge contro il  mobbing che sarebbe potuta divenire “regionale”, ciò, dopo avere riscontrato  che ogni singola Regione deliberava, in totale autonomia: il ricorso sostiene  che la legge deve essere nazionale… 
            Io credo che abbia ragione, in questo caso, il Tar, perché leggi così  importanti non possono essere demandati alle Regioni, d’altra parte c’è un  divieto della Carta costituzionale, in questo senso.
            Avvocato  Marazzita, guardando, un attimo all’estero… In Francia, ad esempio, le cose  funzionano diversamente e meglio.  C’è  già la legge. Per i nostri cugini d’oltralpe, il mobbing è un reato  punto e basta, senza se e senza ma. Il Codice Penale francese è  molto chiaro… mi corregga se sbaglio… fino ad un anno di reclusione e 15 mila  euro di multa.  
            E’ così, ha ragione lei, soltanto che  quando in Italia un reato è punito, con un anno massimo di reclusione, è come  se non fosse punito, mentre, in Francia, un anno viene poi di fatto irrogato, e  se non è un anno, otto mesi, sei mesi, è una valutazione della gravità della  condotta. Quando viene puntualizzata la pena, poi, la pena si sconta.  
            In Germania e Spagna, ci si comincia a muovere in tal senso.  Forse da noi non è ancora chiaro il concetto che il fenomeno vessatorio  costituisce un reato? 
            Il fenomeno sotto l’aspetto sociale viene  recepito da tutti, e questo giustifica, per fortuna, quest’aumento esponenziale  di richieste, agli avvocati e agli studi legali, di fare un processo chiedendo  all’avvocato l’aspetto penale, l’aspetto civile. Il problema è che la politica  non riesce ad inquadrare il fenomeno, sotto l’aspetto normativo, perché qual è  il dovere della politica, se non quello di tradurre normativamente il problema  all’interno del Parlamento?  Per cui il  fenomeno si avverte ma la politica non riesce tradurlo.  
             
            Quando è mobbing? Tempi - La giurisprudenza,  da anni, si allinea al pensiero di Harald Ege, ritenendo possibile  l’esaminazione di quei casi di molestie morali, sui luoghi di lavoro, che  abbiano superato orientativamente la soglia dei sei mesi… 
            Sì…  i sei mesi sono indicativi, ma è il termine giusto, sì, perché, siccome il  mobbing è un comportamento che tende a deprimere ad opprimere, mortificare,  umiliare, stancare, stressare, è chiaro che non si può individuare in un  comportamento, ci vuole un dato continuativo.    
            Molestie  sul lavoro. Se n’è parlato e se ne parla tanto, ma un ripasso sull’argomento,  non fa certo male… Se una dipendente respinge avances insistenti da parte del  suo datore e lo denuncia, come finisce la partita con la legge? Chi vince, chi  perde. 
            Mah,  diciamo, in genere, una volta vinceva sempre il datore di lavoro, anche, perché  l’offerta, poi, arrivava in tribunale. Oggi, no, il fenomeno è avvertito dai  magistrati, ecco perché io prima facevo una polemica, un rimprovero,  concettualmente parlando, con il Parlamento. Il Parlamento deve recepire questa  richiesta e questa istanza che viene dalla società. Il datore di lavoro, oggi,  quando viene portato in tribunale, è valutato senza il peso che gli si dava  prima, un peso gerarchicamente superiore e quindi iniquo.        
            Scusi,  Avvocato, se insistiamo… E se, invece, si tratta di un “esterno/a”  lavoratore/trice, a subir pressing vessatorio, il codice civile e penale può  intervenire in sua difesa, egualmente?  
            Sì…sì, viene equiparata alla persona  interna. Naturalmente, questo, per quanto riguarda, soprattutto, l’aspetto  penale. Se c’è un comportamento esportivo, diciamo, vale sia per il lavoratore  interno che per quello esterno.  
            IL MOBBING IN ALTRI CONTESTI DI VITA SOCIALE…
            Bullismo: riguardo episodi vessatori, in ambito  scolastico, come possono essere contrastati?   Qual è il quadro normativo, quando ci sono di mezzo dei minori? 
            Guardi, il quadro normativo per i  minori, tra i quattordici ed i diciotto anni, è chiaro: se il soggetto attivo  vessa un altro bambino… un altro minorenne, nel pieno comportamento che ha un  rilievo penale, egli viene mandato davanti al Tribunale per i Minorenni. Il  Tribunale per i Minorenni, naturalmente, valuta con molta benevolenza, le prime  richieste di punizione del minore, perché, soprattutto il Tribunale per i Minorenni  riesce ancora a svolgere, seppure, non compiutamente, una funzione educativa  nella prima sentenza di condanna che riguarda il minore. C’è, per esempio,  nella prima sentenza il perdono giudiziale, ma poi c’è, anche, l’assoluzione  per la poca rilevanza del fatto, quindi sono dei comportamenti che per la prima  volta graziano un Po il minore, mettendolo, però, in allarme, non solo, ma si  mettono in funzione i servizi sociali, e, quindi, si arriva, sostanzialmente,  ad un fenomeno lievemente oppressivo, che però diventa, anche, preventivo, per  il futuro del ragazzo. C’è il soggetto che incute ad un altro soggetto,  soggezione, prepotenza, arroganza, paura, imprimendo dei comportamenti che sono  passivi. In definitiva, c’è sempre un soggetto attivo che reprime e uno passivo  che subisce.         
            In ambito  militare troviamo il nonnismo…  
            E’ terribile, è brutto perché è meno protetto e meno  tutelato. Tutto quello che è all’interno, poi, di regolamenti militari,  intanto, non esce fuori perché vi sono dei regolamenti interni, chiaramente,  contro la Costituzione. Per esempio, quello di dover chiedere al superiore se  può proporre querela. Il superiore stesso è l’interessato, è quello che  mobilita, però, oramai, si tende a superare questi discorsi, che, prima, avevano  un’efficacia notevole perché non c’èra, mai, un processo per mobbing,  all’interno, dell’ambito militare.     
            Anche,  in famiglia, secondo una sentenza della Corte d’Appello di Torino, del 21  febbraio 2000, il mobbing troverebbe terreno fertile… 
            Sì, la sentenza che cita lei, è piuttosto  avanzata perché, intanto, mette in rilievo che il mobbing, è all’interno di una  struttura patriarcale, come nell’origine è la famiglia italiana. La famiglia,  non dimentichiamo, ha un’origine ebraica-cristiana, quindi è una famiglia con  il capo e con i gerarchi, cioè patriarcale, ma non solo, gli uomini contano di  più delle donne, un fratello viene trattato con una disparità, rispetto alla  sorella che viene più penalizzata. La Corte d’Appello di Torino mette in rilievo  questo fenomeno, però, dice che all’interno della famiglia si può verificare un  fenomeno di mobbing e quindi valutabile sia penalmente che civilmente.  
             “L’Essere e il nulla”, sosteneva Jean  Paul Sartre nell’opera omonima, fa un po riflettere sullo stato di libertà  umana e la sua ineludibilità, concetto, questo, che va in antitesi con la  perversa logica vessatoria di una comunità a discapito di un singolo soggetto… 
            …Certo. 
            Una  riflessione, questa, letterario-filosofica, a conclusione, visto e considerato  che lei, Marazzita, è stato, oltretutto, l’avvocato italiano del popolare  filosofo, scrittore e critico letterario francese. 
            Eh sì, con il quale nella beata età,  intorno ai miei trentadue… trentatre anni, lavorai. Sì, i grandi scrittori, le  grandi menti, i grandi talenti percepiscono i fenomeni, naturalmente, con un  grande anticipo rispetto agli altri esseri umani.  Certo, questo desiderio di libertà che Sartre  riusciva a percepire e che esprimeva, poi, nella sua attività letteraria, è un  dato di fatto ed è un dato universale, ecco, soltanto che bisognerebbe leggere  di più e cercare di capire meglio quelli che sono i pensieri dei grandi  scrittori, romanzieri, dei grandi artisti, in genere. Diciamo, è il livello  superiore dell’intelligenza, quello che non è matematica, ma è matematica e  intuitiva, nello stesso tempo. 
            E sempre Sartre scriveva nel  romanzo La  nausea del 1938 che “le cose e gli uomini esistono, di fatto, e  non di diritto”: conviene anche lei, con tale tesi,  avvocato? 
            Certo… certo, la sostanza deve sempre  prevalere sulla forma. Lei pensi che, addirittura, nel nostro Paese si è  sviluppato, qualche anno fa, un discorso sulla forma e sulla sostanza, per  quanto riguarda la Carta costituzionale, quindi la carta madre di tutte le  norme, e c’è Mortati, che è un noto giurista e costituzionalista, che metteva  in allarme, addirittura, gli stessi giudici della Corte costituzionale. E  diceva: “Ricordatevi che la Costituzione esiste, di fatto, poi è codificata in  diritto, ma non bisogna mai fermarsi al diritto, bisogna affrontare il  fatto”. 
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