di Daniela Minerva
Non è l'anagrafe a dire quanto siamo vecchi. Ma un complesso mix di parametri che misurano energia e cervello. Con la matematica del caos colloquio con Lodovico Balducci
Ha visto Gina Lollobrigida: a 79 anni si sposa... e con un giovanotto". Lodovico Balducci è una specie di monaco itinerante: guru della nuova geriatria Usa, oncologo, cattolicissimo, portabandiera della centralità della vita spirituale nei processi terapeutici, gira il mondo predicando la visione di una medicina super-scientifica, ma capace di mettere al centro l'uomo e i suoi valori. È sorprendente che attacchi la conversazione riferendosi al più cheap dei gossip sul mercato. Poi aggiunge: "Gliel'ho detto che la vecchiaia non è una questione di anni". E il discorso ritorna al centro di quella che è oggi la convinzione diffusa della moderna geriatria americana: non è l'età anagrafica a definire quanto siamo vecchi, ma un complesso mix di parametri che danno conto di ciò che avviene nel nostro sistema immunitario e nel nostro cervello. Tanto che si può, a ragion scientifica, parlare di una nuova età dell'uomo: senior adults, li chiamano. Uomini e donne che hanno tra i 65 e gli 80 anni, stanno bene. Non sono vecchi. Né giovani. Possono essere dei Rambo, come li chiamano i geriatri, gente come Sophia Loren, per intenderci, che si mostra a 70 anni per il calendario Pirelli o come la modella Carmen dell'Orefice che a 75 sale ancora in passerella. Oppure un po' acciaccati, come i più.

Professor Balducci: se la vecchiaia oggi non è una questione di anni, cos'è?
"La vecchiaia è sempre la stessa cosa: perdita di entropia e di frattalità. Solo che mentre questo fenomeno nel 1920 poteva cominciare a 45 anni, oggi comincia dopo gli 80. La gente vive di più, e la soglia media oltre la quale uno comincia a essere vecchio è stata spostata, ma non credo che la vecchiaia si possa evitare".

Entropia? Frattalità?
"Cerco di spiegarmi: l'entropia è l'energia che si spreca. Se una persona perde entropia, la sua capacità di produrre energia diventa progressivamente più limitata. Per cui una persona anziana può camminare lungo una strada con una persona giovane con lo stesso passo, però se devono correre a prendere il tram, la persona giovane riesce a prenderlo e l'anziana no, perché non riesce a produrre abbastanza energia da affrontare lo stress di correre per prendere il tram".

Come facciamo a scoprire se stiamo perdendo entropia?
"In molte diverse maniere. Ci sono sistemi ancora sperimentali che cercano di misurarla direttamente usando l'elettrocardiogramma. In Italia, Ettore Ferrari e il suo gruppo a Pavia ci stanno lavorando. Indirettamente, però, la perdita di entropia si può misurare, per esempio, semplicemente vedendo quanto una persona è in grado di alzarsi da una sedia senza utilizzare i braccioli. Oppure, quanti secondi impiega, nel momento in cui si mette a camminare, per prendere bene il via. Un altro modo è quello di calcolare la velocità del passo e la forza delle mani di una persona, e studiare quante attività ha fatto durante le due settimane precedenti. Ma la definizione della vecchiaia in termini di perdita di entropia non è una novità. La frattalità, invece, è una cosa del tutto nuova. Sa cos'è un frattale?"

Ce lo dica.
"L'esempio più bello è quello dei rami di un albero. Ogni ramo si suddivide in altri rami, il cui numero e la cui lunghezza sono imprevedibili. Ciascuna di queste suddivisioni è quello che si chiama un frattale: una suddivisione il cui pattern è imprevedibile. I sistemi che nel corpo umano hanno uno sviluppo frattale sono essenzialmente tre: sistema respiratorio, circolatorio e nervoso".

Perdita di frattalità significa perdita di sviluppo di un sistema?
"Sì, significa perdita della capacità di suddivisione di un sistema, in seguito alla quale esso diventa molto più limitato. Nel caso del sistema respiratorio o circolatorio, si ha una perdita della riserva funzionale. Ma nel caso del sistema nervoso, la perdita di entropia si risolve anche in una perdita dell'interazione con l'ambiente, ovvero della capacità di produrre attività complesse, come camminare per esempio. Quindi la perdita di frattalità, oltre a rappresentare la perdita di riserva funzionale dei vari organi, risulta anche in un deficit di abilità a sviluppare attività complesse. Se chiedo a una persona di sollevarsi da una sedia fare qualche passo, girarsi e ritornare a sedersi, ed essa lo fa appoggiandosi sui braccioli, cammina molto lentamente, non riesce a girarsi e deve risedersi: è chiaro che ha perso molta frattalità".
Che cosa causa la perdita della frattalità?
"Essenzialmente le interazioni tra i geni e l'ambiente. Prima che lei me lo chieda: sì, c'è un modo di misurare gli effetti di queste interazioni su una vita. Misurando l'infiammazione cronica".

Ovvero?
"Prendiamo due persone di 70 anni e misuriamo loro due marcatori delle infiammazioni, la interleuchina 6 e il D-dimer del sangue. Se tutte e due questi marcatori sono normali, la probabilità che muoiano entro due anni è meno del 5 per cento. Se, invece, uno dei due marcatori è alto, questa probabilità sale al 20 per cento, e se tutti e due i marcatori sono elevati, sale ancora al 30 per cento. Quindi il grado di infiammazione in atto nel tuo corpo prevede qual è il tuo rischio di morire, o di diventare disabile".

Di quali infiammazioni sta parlando?
"L'artrite, ad esempio: tutto il sistema immunitario è coinvolto nella produzione di questa infiammazione cronica. L'arteriosclerosi è una forma di infiammazione. L'infiammazione è un meccanismo dell'invecchiamento, cioè quello che genera la perdita dell'entropia e della frattalità. E ci sono molti marcatori per misurarla: l'interleuchina 6, la più nota, è stata correlata con la demenza, con l'osteoporosi, con la disabilità.".

Qual è la genesi dell'infiammazione?
"Ci sono fattori genetici predisponenti. E c'è il modo in cui uno vive: malattie, fumo, obesità, dieta. Il grasso per esempio è una sorgente di infiammazione: la presenza di colesterolo nei vasi favorisce l'attivazione dell'infiammazione nel sangue che poi si estende a tutto il corpo".

Come si combatte l'infiammazione?
"Ci sono diversi modi. Per esempio, la famosa aspirina presa tutti i giorni che previene l'arteriosclerosi e l'infarto. E non solo: molti studi dimostrano che coloro che ogni giorno prendono l'aspirina hanno molte meno probabilità di ammalarsi di cancro del colon. E questo non è solo vero per l'aspirina, ma anche per altri farmaci non steroidei e antinfiammatori. E per le cosidette statine che abbassano il colesterolo, giacché abbassando il colesterolo, abbassi uno dei fattori che possono generare l'infiammazione".

Entropia e frattalità, due parametri mutuati dal linguaggio fisico-matematico, permettono di scrivere un'equazione della vecchiaia a livello individuale?
"Decisamente sì. Se vogliamo una misura del livello individuale dell'invecchiamento certamente abbiamo bisogno della matematica del caos. Con i modelli di entropia e di frattalità ci muoviamo da una medicina di organo a una medicina individualizzata".

E l'obiettivo? Sconfiggere la morte?
"No, la vecchiaia e la morte non si possono evitare. Se non ci fossero malattie, se non ci fossero incidenti, se non ci fossero guerre, se non ci fosse inquinamento... Se ci fosse permesso di vivere fino a quando ci siamo esauriti, comunque a un certo punto moriremmo. Quello che però possiamo fare è evitare di vivere gli ultimi 30 anni tra malattie e disabilità. Il compito della geriatria non dovrebbe essere quello di prolungare la vita, ma di comprimere questi trent'anni possibilmente in 30 minuti, in modo che uno viva quanto più possibile la vita completamente".

Eppure, oggi vediamo anziani che arrivano a 85-90 anni, sequoie immortali immobili nei letti, incapaci di vivere senza mille assistenze. Tenuti in vita dalla potenza della medicina. Non le pare che ci sia qualcosa di sinistro? Questa umanità non autosufficiente è la conseguenza di voler comprimere la mortalità?
"No, questo è proprio l'opposto. Noi vogliamo avere settantenni o ottantenni che si muovono, che vivono una vita piena, nonostante qualche acciacco. Questa situazione della persona progressivamente disabilitata mantenuta in vita con tantissime risorse, ma soprattutto con una qualità di vita molto scarsa, è quello che cerchiamo di non fare".

Eppure accade sempre più spesso: è il fallimento della medicina?
"La medicina ha perso il suo obiettivo. Invece di occuparsi della persona, si è occupata di piccole cose che sa fare bene. Una delle tragedie del nostro tempo è il modello della medicina McDonald's. Mirata a produrre pochi servizi, ben prevedibili e nel migliore dei modi. Al fast food hai una scelta limitata di cibo, però sai cosa mangi e sai che farai nel più breve tempo possibile. Questa medicina ha creato la malattia cronica. Oggi alla persona non è permesso di morire, e continuare a mantenere in vita persone che sono progressivamente più disabili, più incompetenti, significa generare un mondo di malati cronici".
Invece?
"L'obiettivo è cercare di mantenere la persona funzionale quanto più possibile, fino alla soglia della morte. E c'è moltissimo che si può fare: prima di tutto evitare le malattie e la disabilità cardio-vascolari controllando diabete, ipertensione, dieta. Evitare di fumare, naturalmente. E poi interventi mirati. Per esempio per le donne, ma anche per gli uomini, l'osteoporosi è una causa di disabilità enorme. L'osteoporosi si può prevenire in molti modi diversi, ci sono farmaci e interventi chirurgici. Per esempio con la vertebroplastica si può mantenere il corpo vertebrale più a lungo. Poi, evitare il dolore e quindi consentire il movimento. Insomma, bisogna concentrasi su quelle strategie terapeutiche che, anziché puntare sull'organo, puntano a evitare la disabilità".

Insomma, una medicina che punti non all'immortalità, ma all'autosufficienza.
"Esatto. Si pensi a un tema come il controllo del dolore. A una persona che ha un dolore che previene il movimento, adesso le linee guida dell'American geriatrics society raccomandano che siano somministrati regolarmente dei narcotici cronici, perché è molto meglio avere un po' di tossicodipendenza piuttosto che essere paralizzato da un dolore che impedisce di muoverti. Non c'è dubbio che la medicina abbia l'inquietante potere di prolungare la morte. Ma questo la società lo deve evitare, innanzitutto mettendo tutti nelle condizioni di poter gestire la propria morte, di prendere coscienza di quello che li aspetta, dei disastri che la medicina può combinare: quindi la società deve garantire che ciascuno possa dare direttive ben precise di come vuole sia gestita la fase finale della sua vita. Ma prima ancora, essa deve creare una medicina centrata sulla persona umana, che preveda un medico capace di lavorare col paziente, riferire al paziente, dire al paziente 'in questo caso credo che un intervento cardiaco ti possa aiutare', 'in questo caso, guarda, se lo vuoi è disponibile, però, penso che, data la condizione generale, tu probabilmente non sei pronto'. Insomma una medicina che insegni a dire di no, se è quello che il cittadino davvero vuole".