di Gigi Riva

Parla il ministro degli Esteri d'Israele: dietro agli Hezbollah ci sono l'Iran e la Siria. E assieme ad Hamas si sta creando un asse del terrore. Noi combattiamo una guerra che riguarda tutto l'Occidente

Tzipora Livni, ministro degli Esteri d'Israele
La voce di Tzipora Livni, detta 'Tzipi', s'incrina, leggermente, solo quando deve citare Ariel Sharon, il suo mentore. E non è un omaggio formale a un uomo che giace in coma da gennaio e si trova in un ospedale di Tel Aviv, ma la rivendicazione di una continuità politica utile a leggere quanto accade in questi giorni di guerra col Libano. La domanda era: lei è stata una delle persone più vicine all'ex premier, quanto le manca? Quanto avrebbe potuto essere utile in questa fase difficile? Sharon manca e non solo a Israele, ammette la Livni, prima di svelare: "Potrà suonare simbolico, ma nell'ultima riunione di lavoro che abbiamo avuto, proprio il giorno prima che fosse ricoverato, abbiamo discusso del nostro confine nord. A me e agli altri collaboratori ha detto: dovete chiedere con forza alla comunità internazionale di espellere gli Hezbollah dal sud del Libano, non possiamo sopportare questa situazione più a lungo. Ricordo con precisione quell'incontro proprio perché è stato l'ultimo. Abbiamo parlato della possibilità che rapissero civili o militari lungo la frontiera. Io ero ministro della Giustizia, allora". Ora Tzipi Livni, 48 anni, è il ministro degli Esteri, seconda donna d'Israele a ricoprire la carica dopo Golda Meir. Pur essendo approdata alla politica da appena una decina d'anni, mostra il cipiglio di chi è in grado di prendere decisioni difficili. Per questo nel Paese è molto popolare e la sua rapida ascesa è stata agevolata da caratteristiche personali come carisma e fascino. Il tempo per questa intervista con 'L'espresso' è stato rubato ai gabinetti d'emergenza, alle frenetiche, convulse, continue consultazioni con i colleghi dell'Occidente e del mondo arabo moderato. I lunghi capelli biondo-rossi ben curati, tailleur nero su camicetta bianca (quasi una divisa per lei), Tzipi Livni porta orecchini minuscoli, una leggera catena e un vistoso orologio d'oro. Scandisce le parole con nettezza quasi voglia che il tono coincida con la chiarezza dei concetti.

Ministro Tzipi Livni, come paventavate in quella riunione con Sharon, due soldati sono stati rapiti. La vostra reazione ha provocato la morte di molti civili in Libano. Qualcuno, compreso il ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema, l'ha definita 'sproporzionata'. Non temete un isolamento? Non temete che la comunità internazionale non capisca?
"La situazione è molto più complessa della semplice vicenda dei soldati. Il leader di Hezbollah, Sayed Hassan Nasrallah, vuole giocare un ruolo nel conflitto israelo-palestinese e noi non vogliamo che possa avere questo diritto, che possa influire sulla leadership palestinese. Nasrallah vuole promuovere se stesso come attore politico nella regione, rappresenta gli interessi dell'Iran, non quelli del Libano, e arriva da una posizione ideologica estremista e fondamentalista".

E le vittime civili?
"Ci sono, in Libano, degli appartamenti, normali case intendo, in cui i proprietari permettono agli Hezbollah di collocare i missili. Noi non dovremmo neutralizzarli perché altrimenti colpiamo i civili quando loro, con quei missili, raggiungono Haifa e altre città del centro d'Israele? Noi abbiamo chiesto ai civili di abbandonare i luoghi dove si trovano le armi, abbiamo anche lanciato volantini dagli aerei, li abbiamo avvertiti proprio perché non vogliamo vittime tra la popolazione. C'è differenza tra una deliberata volontà di uccidere i civili e un possibile errore. Gran parte del territorio di Israele è sotto attacco, loro vogliono ucciderci e demolire il nostro Stato".

Avete colpito, e più volte, l'aeroporto internazionale di Beirut, ponti e altre infrastrutture.
"La maggior parte degli obiettivi che abbiamo scelto sono luoghi dove gli Hezbollah operano, dove hanno i missili a lungo raggio. Abbiamo anche attaccato l'aeroporto e la sola ragione è che avevamo informazioni per le quali i terroristi avevano la volontà di portare i nostri soldati rapiti fuori dal Libano, in un altro posto. Le infrastrutture sono state colpite con l'obiettivo di evitare lo smercio degli ostaggi in Siria in Iran o altrove. Del resto abbiamo una cattiva esperienza in materia che arriva dal passato.".
Queste spiegazioni le avrà usate nei colloqui coi suoi interlocutori diplomatici. Li ha convinti?
"La comunità internazionale da un lato comprende ciò che sta avvenendo, dall'altro vuole difendere i positivi cambiamenti che sono intervenuti di recente nel governo libanese. Ho spiegato, ai miei colleghi del mondo, le nostre ragioni. Giochiamo a carte scoperte. Non abbiamo un'agenda, non vogliamo spedire di nuovo i nostri soldati nel Libano per occuparne una parte. Non vogliamo un altro conflitto col Libano. Ho chiesto ai miei colleghi di mettersi nei miei panni, di provare a immaginare quale decisione avrebbero preso al mio posto. Prendere decisioni in Medio Oriente è sempre difficile. Abbiamo scelto questa perché, qualunque altra, avrebbe consegnato a Nasrallah un potere, ora e per il futuro, e bisogna invece fermarlo. Credo che parte della comunità internazionale, quella che ha fatto propri i valori di libertà e democrazia, intenda che stiamo combattendo contro un atto di terrorismo. Che esiste un asse pericoloso formato da Iran, Hezbollah, Siria e Hamas. Non è una battaglia che riguarda solo Israele, ma i valori dell'Occidente di cui Israele è parte. Veniamo attaccati proprio perché simbolo dell'Occidente".

Dovrebbe essere anche un vostro interesse sostenere i seppur flebili sforzi democratici in atto in Libano.
"Non stiamo rendendo più debole il governo libanese, non è il nostro obiettivo. Ma il governo libanese è responsabile perché l'attacco contro di noi è partito da quel Paese sovrano. Hezbollah fa parte del governo libanese. La Risoluzione 1559 delle Nazioni Unite prevede che sia smantellata la milizia degli Hezbollah e che sia inviata al confine l'armata libanese per dare alla regione una chance di stabilità. Non è mai stato fatto e non so quali altre scuse il governo libanese potrà avanzare per continuare a non farlo. Quindi, di fatto, noi abbiamo al confine un'organizzazione terroristica che rappresenta gli interessi iraniani, che ha connessioni in Siria e che ha campi di addestramento per le proprie truppe paramilitari. Non solo, da informazioni di intelligence sappiamo che da quando abbiamo lasciato il Libano, hanno continuato a riarmarsi dall'Iran, attraverso la Siria, e ora ce li troviamo davanti più pericolosi di sempre".

Eppure, nonostante le informazioni, sembra siate stati colti di sorpresa.
"Riguardo a questo attacco? Sapevamo che avrebbero cercato di catturare dei soldati. Abbiamo molte buone informazioni ma non sufficienti, sapevamo qualcosa, non tutto".

C'è chi sostiene che l'attuale governo, non avendo generali nei ruoli chiave, è percepito come debole in Israele. E proprio per fugare questo sospetto abbia deciso per la linea dura, di fatto consegnandosi al volere dei militari.
"Io faccio parte di questo governo. Cerchiamo di essere responsabili, di prendere decisioni che aprano prospettive per il futuro".

Quanto dureranno le operazioni? Fino a che punto entrerete in territorio libanese? Che decisioni avete preso in merito nel gabinetto di crisi?
"Non voglio rispondere entrando nel dettaglio delle operazioni militari. In generale vogliamo neutralizzare le postazioni da dove si lanciano i missili e obbligare gli Hezbollah a lasciare la scena nel sud del Libano. Credo che questa sia anche un'opportunità per il governo libanese di estendere la sua sovranità in quella fetta del Paese. Il premier Fuad Siniora può ora fare la cosa giusta. Il messaggio che Israele lancia è che Hezbollah è un pericolo per i cittadini libanesi. So che i cittadini libanesi vogliono vivere in pace in uno Stato florido. Hezbollah rappresenta esattamente interessi opposti, interessi del terrorismo. E del resto basta guardare il timing dell'attacco contro di noi.".

Cosa vuole dire, ministro?
"Il timing dell'attacco deciso da Nasrallah è il peggiore per l'economia del Libano. Per la prima volta avevano una fiorente stagione turistica che è stata rovinata. Come sappiamo, proprio nei giorni del rapimento del soldati, l'Iran subiva una forte pressione internazionale affinché desse una risposta prima del G8 di San Pietroburgo circa le offerte per bloccare il programma nucleare. E inoltre due giorni prima Nasrallah si è recato a Damasco per incontrare Khaled Meshal, il leader di Hamas che in Siria ha il suo quartier generale, al quale ha chiesto con forza di non continuare sulla strada delle trattative che avrebbero potuto portare alla liberazione del nostro militare Gilad Shalit, il primo rapito e tenuto prigioniero da Hamas a Gaza. Dunque, per riassumere, il tempo dell'attacco è stato scelto per spostare l'attenzione del mondo su un'altra questione, permettere all'Iran di non dare una risposta e impedire a israeliani e palestinesi di trovare un accordo su Gaza".
Dunque ci sono connessioni tra la crisi a Gaza e nel sud del Libano.
"Le due situazioni sono completamente diverse, non ci sono connessioni. O meglio: è Nasrallah che vorrebbe connettere le due questioni. Si possono però trovare dei punti comuni. Da entrambi i posti noi ci siamo ritirati. Da Gaza, l'estate scorsa, per dare ai palestinesi la possibilità di cominciare a costruire un loro Stato. Dal Libano, nel 2000, per dare al governo libanese la possibilità di fare qualcosa in quella regione. In entrambi i luoghi hanno usato le postazioni abbandonate per attaccarci, si sono adoperati per costruire tunnel, sorprenderci, e per lanciare missili contro di noi".

Se la conclusione è questa, forse che state rivedendo le scelte fatte? Forse giudicate che i ritiri non sono stati una buona idea? Sarebbe una logica pericolosa per il governo di cui fa parte, eletto per un programma che prevede anche il ritiro dalla Cisgiordania.
"Dovendo scegliere tra diverse opzioni, abbiamo creduto che la migliore fosse vivere in pace coi nostri vicini e promuovere l'idea dei due Stati. Abbiamo voluto, vogliamo, prenderci qualche rischio nel percorrere questa strada e il piano di disimpegno era un messaggio ai palestinesi. Sfortunatamente hanno usato l'occasione per attaccarci. Ma noi non vogliamo cambiare i nostri obiettivi e chiediamo alla comunità internazionale di sostenerci in questo sforzo".

Quando parla di comunità internazionale, intende anche gli Stati arabi moderati?
"Molti degli Stati arabi moderati capiscono quanto Hezbollah sia pericoloso anche per loro, ora e nel futuro".

Avete escluso la possibilità di un accordo per lo scambio di prigionieri. Eppure in passato trattative di questo tipo le avevate accettate, persino con Hezbollah.
"Fin dal primo soldato rapito abbiamo deciso di non negoziare coi terroristi. Ricordo anche che io votai contro il primo accordo con Hezbollah, alcuni anni fa. Lo stesso vale per i palestinesi. Tutti devono capire qual è la politica, ferma, del governo israeliano".

Ministro Tzipi Livni, cosa succederà nel futuro prossimo? È pronosticabile, come si teme, un coinvolgimento nella crisi della Siria, fatto che significherebbe un'escalation e una guerra regionale?
"L'escalation, il coinvolgimento della Siria non sono nei nostri piani. Non vogliamo aprire un terzo fronte dopo Gaza e sud del Libano. Ma non dimentichiamo che la Siria aiuta gli Hezbollah e Khaled Meshal, che ha un ruolo negativo".