di Claudio Lindner
La timida ripresa europea. Il pericolo inflazione. La bassa produttività italiana. E soprattutto l'estrema urgenza della riforma previdenziale. Parla il presidente della Bce. Colloquio con Jean-Claude Trichet
Da quassù, al 35esimo piano dell'Eurotower, i Mondiali di calcio sono stati visti e vissuti in un'atmosfera da hooligans. Uno scintillio di entusiasmi che nulla ha a che vedere con il rigore (qui nel senso di disciplina), la discrezione, l'imperturbabilità di questi uffici. A ricordarcelo è un tifoso (francese) di eccezione, Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea.
"Quali si sono dimostrate le quattro squadre più forti del mondo? Italia, Francia, Germania e Portogallo. Tutte nazioni dell'area euro". Dunque, Stati Uniti e Giappone fuori al primo turno, Brasile eliminato dalla Francia, Russia, Cina e India addirittura assenti. L'apoteosi della metafora: se l'economia fosse come il pallone, saremmo sul tetto del mondo.

Negli ultimi due mesi ci si è spinti a dire che i Mondiali di calcio hanno fatto bene all'Europa e che si prendono parte del merito per l'inatteso risveglio dell'economia. Che hanno dato un calcio alla recessione. Le prove non ci sono, ma perché non crederci un po', la propria nazionale vincente concede buon umore e predispone a qualche ottimismo in più. Fatto sta che l'area euro, se si crede a tutte le analisi e previsioni snocciolate di recente, sembra marciare meglio del previsto pur mantenendosi su livelli ancora inferiori a quelli americani. In questa intervista esclusiva a 'L'espresso', rilasciata alla vigilia di importanti vertici come il G7 e l'assemblea del Fondo monetario a Singapore, Trichet spiega cosa l'Europa e l'Italia in particolare dovrebbero fare per consolidare i segnali di ripresa, quali provvedimenti urgenti dovranno essere presi, mostrando al tempo stesso grande fiducia nelle possibilità di Tommaso Padoa-Schioppa, suo ex collega e ora ministro dell'Economia del governo Prodi.

Presidente Trichet, cominciamo la radiografia dell'Europa partendo dal messaggio che i numeri ci stanno trasmettendo: stiamo effettivamente ripartendo?

"Già nel secondo semestre del 2005 la nostra diagnosi era che l'area euro stava sperimentando una graduale ripresa avvicinandosi a quelle che sono le nostre potenzialità. La diagnosi viene ora confermata dagli ottimi dati del secondo trimestre 2006 che consentono di definire buono, migliore del previsto, l'andamento del primo semestre di quest'anno. Attenzione, però: questo non significa che cambiamo diagnosi. Quando registrammo un dato piuttosto deludente nell'ultimo trimestre dello scorso anno, dicemmo che quello non cambiava la nostra valutazione sul fatto che la crescita fosse vicina al potenziale. Direi lo stesso oggi, anche dopo quei dati così promettenti. Dobbiamo vedere tutto nel medio termine. E non dobbiamo trascurare il livello di incertezza che c'è oggi nel mondo".

Anche perché l'America, viceversa, sembra rallentare.
"Quello che conta per noi è ormai l'ambiente economico a livello globale, quindi non solo americano. Le principali istituzioni economiche e gli istituti di analisi privati affermano che continueremo probabilmente ad avere un tasso di crescita a livello mondiale piuttosto dinamico"

Sembrate però molto preoccupati dell'inflazione al punto che molti scommettono su un ulteriore rialzo dei tassi entro l'anno, fino ad arrivare al 3,5 per cento.
"Il compito principale che ci è stato assegnato è quello di garantire la stabilità dei prezzi e dobbiamo essere credibili per riuscire ad ancorare le aspettative di inflazione. Questo non è solo estremamente importante per la nostra credibilità, ma anche perché permette di avere tassi di mercato a medio e lungo termine a un livello favorevole. Sono convinto che questo sia anche il desiderio dei 313 milioni di cittadini europei (315 se si tiene conto degli sloveni, i prossimi a entrare nell'area euro), che ci chiedono di preservare il loro potere d'acquisto, mantenendo la stabilità dei prezzi. Non è dunque solo quello che ci chiedono i Trattati, ma è anche quello che ci chiedono con forza tutti i cittadini europei"

La tendenza dell'inflazione potrebbe spingervi a nuovi ritocchi dei tassi?
"Dopo la nostra ultima riunione a Francoforte, per conto del Consiglio Direttivo, ho detto che una forte vigilanza resta fondamentale per contenere i rischi al rialzo alla stabilità dei prezzi"

Ritenete il 2 per cento di tetto all'inflazione assolutamente invalicabile o c'è un tasso di flessibilità?
"Ciò che si deve avere ben presente è che ragioniamo nel medio periodo. La nostra definizione di stabilità dei prezzi è che, nel medio termine, i prezzi devono crescere meno del 2 per cento ma vicino al 2 per cento. Le aspettative di inflazione, monitorate da vari istituti, ci dicono che, in un orizzonte di cinque anni, l'inflazione viene vista attorno all'1,9 per cento. Ritengo indispensabile che cittadini, risparmiatori, investitori possano avere fiducia sul fatto che prenderemo tutte le decisioni necessarie per garantire un'inflazione nel medio termine a questi livelli. Per tre ragioni: innanzitutto perché è il nostro mandato; poi perché è ciò che i cittadini ci chiedono, e infine perché è un contributo importante per una crescita sostenibile dell'economia e dell'occupazione in Europa".

Dove avete percepito i maggiori pericoli di aumento dei prezzi?
"In ulteriori aumenti dei prezzi del petrolio e delle materie prime, e in aumenti dei prezzi dei beni e servizi indotti dagli incrementi passati. E anche in ulteriori aumenti inattesi di prezzi amministrati o delle tasse indirette. Poi, soprattutto, vi sono i cosiddetti 'effetti di secondo ordine', vale a dire i rischi di aumenti di stipendi e salari che deriverebbero da una perdita di credibilità nella nostra capacità di contrastare aumenti dei prezzi. È fondamentale intervenire prima che questi effetti si materializzino".

Temete, tra l'altro l'aumento dell'Iva che parte in Germania da gennaio?
"L'aumento dell'Iva in Germania, deciso da tempo dalla grande coalizione, è già stato incorporato nelle nostre analisi".

Lei è stato a Cernobbio all'inizio di settembre. Che umori ha percepito tra imprenditori, politici ed economisti italiani?
"Ho avuto un'ulteriore conferma del grande potenziale dell'Italia e delle imprese italiane, ma ho anche raccolto un consenso unanime sul fatto che uno dei problemi più importanti dell'Italia è l'andamento della produttività del lavoro e del costo unitario del lavoro. La crescita della produttività in Italia è insufficiente rispetto a quella di molti altri paesi industrializzati. È un problema europeo e non solo italiano, ma in Italia è particolarmente visibile: dobbiamo fare tutto ciò che possiamo per realizzare il programma di Lisbona, puntando ad accelerare la crescita della produttività"

Ma l'apparato industriale italiano risulta oggi fragile. Come si fa?
"Le ricerche fatte in Italia e in Europa, più in generale, concludono che non beneficiamo a sufficienza dei progressi di produttività in quei settori che utilizzano le nuove tecnologie (non solo nei settori che producono le tecnologie stesse) e questo sembra essere dovuto a mercati del lavoro, dei beni, dei servizi e finanziari troppo rigidi. Le riforme che consentono di rendere l'economia più flessibile sono lo strumento cardine per consentire il salto di produttività. In America questo è stato reso possibile a metà degli anni Novanta"

E poi?
"Non bisogna mai dimenticare l'importanza degli investimenti in ricerca e sviluppo, oggi insufficienti, in Italia e nei paesi dell'euro area nel loro complesso"

Le riforme strutturali sono al centro del dibattito politico italiano per gli sviluppi della legge finanziaria. Cominciamo dal rapporto tra deficit e prodotto interno lordo, andato ben oltre il 3 per cento consentito. Vi preoccupa la situazione italiana?
"Il nostro messaggio all'Italia, come a tutti i paesi dell'euro, è il seguente: i benefici che stanno arrivando da una crescita economica superiore alle attese, in particolare in termini di maggiori entrate fiscali, devono essere interamente destinati a ridurre il deficit pubblico e a prevenire la crescita del debito"

È una sorta di raccomandazione.
"Sì. La posizione del Consiglio direttivo è nota. Chiediamo un rigoroso rispetto del patto di stabilità e crescita. E come regola generale suggeriamo, innanzitutto, di ridurre la spesa pubblica e, solo dopo aver fatto il più possibile in questo campo, aumentare se necessario le tasse per rispettare il patto".

Lei conosce bene Padoa-Schioppa per averci lavorato assieme tanti anni qui a Francoforte. Ce la farà a risanare i conti italiani?
"Tommaso Padoa-Schioppa ha, non solo a livello italiano ed europeo, ma a livello mondiale, una delle migliori esperienze che si possano avere. Ha influenza personale, prestigio in tutti i campi della moneta e della finanza, fatto che ritengo molto importante. Certo, è chiaro che le sfide e i rischi che ha di fronte sono enormi".

Ma fare il ministro non è come fare il banchiere.
"Tommaso è stato un meraviglioso banchiere, ma ha avuto anche molte altre responsabilità. Sono incarichi diversi, ma entrambi richiedono lucidità di giudizio, capacità di decidere, forza di carattere e determinazione. Mi permetta di aggiungere che io stesso non dimentico che il banchiere centrale ha per definizione, una responsabilità multipartisan".

E cioè?
"La stabilità dei prezzi è un bene comune per tutti i cittadini a prescindere dalla sensibilità politica e dalle preferenze individuali di ciascuno".

Secondo un editorialista del 'Financial Times', in assenza di riforme strutturali l'Italia rischia di essere cacciata dall'euro.
"L'Italia è un'economia molto importante nell'area dell'euro e ovviamente non corre questo rischio. Ho già detto altre volte che si tratta di un'ipotesi assurda che non voglio commentare. Certo, come tutti gli altri paesi membri, anche l'Italia deve fare i suoi compiti: migliorare la produttività e risanare i conti pubblici".

Uno degli scogli principali nella trattativa in corso nel governo sono le pensioni.
"Quello delle pensioni è un problema europeo, a causa dell'invecchiamento della popolazione e della conseguente pressione sulla finanza pubblica. Senza ulteriori riforme dei sistemi pensionistici, in alcuni paesi i tassi di contribuzione dovranno essere raddoppiati fino a raggiungere in alcuni casi più del 40 per cento dei salari per tenere in equilibrio i conti del sistema".

Che fare, però, in questa situazione?
"Per affrontare l'invecchiamento della popolazione c'è bisogno di riforme complessive. Anche se non vi è una ricetta univoca, alcune misure restano valide per molti paesi: aumentare l'età pensionabile, eliminare i prepensionamenti incentivati, ridurre i coefficienti di trasformazione, integrare le pensioni pubbliche con un sistema che permetta di finanziare gli assegni futuri in modo che l'invecchiamento della popolazione non crei squilibri tra generazioni".

Uomini e donne dovrebbero andare in pensione alla stessa età?
"È un tema delicato e importante che tocca diverse sensibilità, con vari punti di vista. Secondo la giurisprudenza corrente direi di sì, visto che la Corte di giustizia europea ritiene che non si debbano fare discriminazioni e differenze tra uomini e donne. In tutti i campi, incluso questo".

Quanto è urgente la riforma pensionistica?
"Estremamente urgente, in tutti i paesi dell'area dell'euro. Quando abbiamo a che vedere con gli andamenti demografici, si tende a procrastinare perché stiamo parlando di evoluzioni di lungo periodo. Sembra che il movimento sia lungo e lento, e che vi sia tempo. Ma è una totale illusione perché è un problema che va affrontato il più presto possibile".

La sinistra più radicale e i sindacati sono contrari e dicono che siete dei tecnocrati attenti solo ai numeri. Lei, come importante leader mondiale, non ritiene che ci siano anche dei costi sociali dei quali tenere conto? Qui si parla di milioni di persone, oltretutto di fasce deboli della popolazione.

"È un aspetto cruciale. Le riforme strutturali di cui stiamo parlando sono state decise dai governi nazionali con gli accordi di Lisbona e noi non dobbiamo dimenticare che l'obiettivo finale è quello di elevare i limiti di velocità della nostra crescita economica per garantire a tutti più prosperità e più posti di lavoro, il che è fondamentale per i più deboli ed i più poveri. Più che pensare a un arbitraggio tra diversi membri della nostra società, tra alcuni che hanno costi e altri che godono di benefici, vedo più un arbitraggio tra presente e futuro. È un investimento che guarda a un futuro migliore per la parte più debole della popolazione, che ha all'inizio dei costi. E in ogni caso non dimentichiamoci che non possiamo chiedere ai nostri figli e nipoti di pagare i nostri conti!".
In Europa la popolazione diminuisce al punto che dal 2020, secondo varie stime, ci saranno 20 milioni di persone in meno a lavorare. In America aumenta. Come mai?
"Forse perché l'America è una popolazione con intere generazioni di immigrati, dove il tasso di natalità è più alto. E poi c'è un fatto culturale, sono più ottimisti".

Perché?
"Qui si toccano aspetti filosofici e culturali e non sono comunque convinto che siano strutturali. Anche in America ci sono stati periodi di difficoltà, per esempio alla fine degli anni Ottanta, quando invece l'Europa era più ottimista e aveva maggior fiducia nel futuro. Si tratta di fenomeni ciclici e noi, alla Bce, con Lorenzo Bini Smaghi, il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi e tutto il Consiglio direttivo, cerchiamo di dare il nostro massimo contributo affinché l'Europa ritrovi fiducia in se stessa. La credibilità è una parola chiave per la Bce".