di Chiara Valentini
Persone ansiose. Incapaci di vivere le emozioni. E dunque violenti. Parola di psicoanalista.  Colloquio con Umberto Galimberti
Umberto Galimberti
Uno specialista dell'anima potrebbe essere definito Umberto Galimberti, il filosofo morale capace di entrare nella psiche e nei sentimenti di uomini e donne di oggi, come ha fatto ne 'Le cose dell'amore' (Feltrinelli). Ma Galimberti è anche un acuto psicoanalista di scuola junghiana, che registra giorno dopo giorno gli slittamenti di un'identità maschile sempre più incerta e perturbata, alle prese con donne che non sono più quelle di una volta e sfuggono alle vecchie regole del possesso. Riflettendo sulla guerra strisciante che ha le sue manifestazioni estreme nella violenza domestica e nella moltiplicazione degli stupri, Galimberti cerca di metter ordine nel panorama disastrato che sta emergendo. E ci ricorda che solo una lunga e paziente rieducazione sentimentale potrà riportare un'accettabile convivenza fra i sessi.

Violenze e maltrattamenti delle proprie compagne, minacce, comportamenti persecutori, che nei casi più gravi possono sfociare nell'omicidio. Professor Galimberti, che cosa sta succedendo nella testa degli uomini?
"Partiamo da un primo punto che a me sembra incontestabile, negli ultimi trent'anni c'è stato un progressivo degrado delle capacità psichiche dei maschi. I loro fattori ansiogeni sono proiettati in gran parte all'esterno, sull'autoaffermazione sociale, sul raggiungimento di obiettivi materiali, che peraltro sembrano nascondere una sorta di angoscia sulla propria identità. Paradossalmente è come se i giovani in particolare non avessero più una psiche. Anche quando vengono in analisi non è per indagare se stessi, ma per risolvere un problema specifico. Ormai è più facile analizzare un sessantenne che un trentenne".

E perché questo degrado psichico, come lei lo definisce, può tradursi in violenza contro la donna che ti sta vicino?
"Oggi il gesto è sempre più un sostituto della parola. Quando non riusciamo a dare un nome alle nostre emozioni, quando perdiamo la capacità di guardare dentro noi stessi è come se si rompesse il meccanismo di elaborazione dei nostri disagi. È un deficit non solo culturale, ma psichico. Un apparato emotivo che non ce la fa a verbalizzarsi scivola più facilmente nel gesto violento, unica forma espressiva che riesce a manifestare".


Eppure non si è mai parlato tanto come in questi anni di parità fra uomini e donne, di condivisione. Tutte parole al vento?
"Non si tiene abbastanza conto della disumanizzazione che l'età della tecnica ha portato nel mondo del lavoro. C'è un'accelerazione sempre più forte verso regole di efficienza spasmodica, di competitività che chiedono alle persone di soffocare ogni emozione, di comprimere se stesse, di essere anaffettive e produttive in ogni istante della vita lavorativa. Ma questo provoca una scissione radicale nei confronti del privato, della vita familiare. Se fuori puoi essere solo perfetto e controllato, è a casa, è nei rapporti con la tua compagna che scarichi rabbie e frustrazioni. La famiglia diventa il luogo della massima violenza, la cloaca delle emozioni trattenute. Gli appartamenti sono luoghi appartati, dove può succedere qualunque cosa. Come raccontano le cronache".

Però anche le donne, negli ultimi trent'anni, sono entrate in massa nel mondo del lavoro. Perché allora sono quasi solo gli uomini a esercitare la violenza?
"Sono convinto che le più grandi rivoluzioni della storia hanno a che fare l'emancipazione femminile. D'altra parte la donna era tenuta sottomessa da sempre proprio perché se ne temeva il potere. Ma anche le donne di oggi, se si esclude l'élite di quelle in carriera che imitano modelli maschili, mi sembrano molto meno integrate dei maschi, capaci di esprimere ancora se stesse, le proprie complessità. E questo spaventa in modo crescente gli uomini".

Dietro questa aggressività, che almeno in Italia si comincia ad analizzare solo adesso, si può immaginare anche la paura dei maschi per le nuove libertà femminili?
"Non credo che questa libertà sia ancora pienamente acquisita, almeno sul piano della psiche. Ma gli uomini lo pensano, avvertono che stanno perdendo quella situazione tranquillizzante che era il possesso. Non possono più dire 'la mia donna' con quel tono speciale, non possono impedirle di andarsene per il mondo, di incontrare tanti altri uomini, tanti potenziali rivali che lo fanno sentire precario. Lo spiega bene Proust, quando ne 'La prigioniera' dice che avere a disposizione Albertine in casa non gli dà particolari gioie, se non quella di sottrarla agli altri".
Insomma, la scomparsa dell'amore come possesso può scatenare per una parte degli uomini l'amore come ossessione, spingerli a varie forme di maltrattamenti per sottomettere le compagne fino ad annientarne la volontà?
"Sì, è possibile, anche perché l'amore è concepito sempre meno come relazione con l'altro e sempre più come conferma della propria identità. Se perdo la donna che ho conquistato, se perdo quel valore di mercato che è la sua bellezza, perdo valore io stesso. Questo apre le porte alla violenza".

Abbiamo assistito in Spagna a un processo per violenza domestica: una donna con la testa fasciata è arrivata in aula mano nella mano con l'uomo che gliel'aveva rotta. "Non è cattivo, non lo rifarà più, non voglio che lo condanniate", ha detto. Perché questa dipendenza psicologica è frequente nelle donne maltrattate?
"È lo stesso meccanismo dei bambini, che difendono sempre la madre maltrattatrice, perché hanno paura di perderla. Anche molte donne non vogliono perdere il loro compagno. Temono la solitudine, la riprovazione sociale, la miseria economica. Sperano di riuscire a cambiarlo. Ma purtroppo si sbagliano, questa è una strada senza ritorno".

Intanto lo stupro è in crescita, o almeno ne aumentano le denunce, che sono addirittura triplicate. Specie nelle grandi città le donne possono essere violentate anche in pieno giorno per la strada. Ma molto più spesso, dicono le statistiche, succede in casa, ad opera di amici, fidanzati, mariti o ex.
"Siamo in un'epoca dove la sessualità è eccessivamente esibita dalla pubblicità, dai giornali, dalla tv dove anche un ragazzino ha libero accesso alle linee erotiche, ai film porno. Questa esibizione richiederebbe una maturità che non c'è. È caduto un tabù che invece era importante, che faceva sentire la conquista di una donna come una meta da raggiungere poco a poco, con le telefonate, con il corteggiamento. Ma se tutto è possibile subito, come suggeriscono i messaggi mediatici, se non c'è più educazione emotiva che faccia crescere la psiche, può scattare il gesto. O lei dice subito sì o me la prendo, anche con la forza".

Insomma, vede avanzare una moltitudine di 'analfabeti emotivi', per usare una sua definizione, incapaci di tenere a freno le proprie pulsioni?
"C'è questo rischio. Ma alla radice delle aggressioni sessuali c'è anche un fraintendimento. Oggi le ragazze si declinano attraverso l'ostentazione del corpo, le pance seminude, i seni e le gambe scoperte. La bellezza esibita è il loro biglietto da visita. Non è un'offerta, è un'esibizione narcisistica, come quella delle modelle. Ma i maschi la sentono come un invito".

A parte il fatto che spesso le violentate erano vestite come collegiali, non crede che le donne abbiano diritto a essere rispettate, qualunque sia l'abbigliamento che scelgono?
"Non incolpo le ragazze che si scoprono, ma i maschi che fraintendono. L'atto dello stupro è l'assenza di qualunque elaborazione psichica, è l'impossibilità della relazione con la donna".

Molti suggeriscono l'innalzamento delle pene, i leghisti vorrebbero la castrazione chimica. Secondo lei cosa si può fare per interrompere questo catalogo di orrori?
"Se la Lega dice 'castrare' io rispondo 'educare'. Anche alzare le pene serve a poco, quel che bisogna alzare è il livello culturale, a cominciare dai più emarginati, dagli immigrati. Se penso alla loro situazione, senza soldi, senza donne, in un paese che ostenta il sesso in questo modo, mi viene da dire che quel che succede è inevitabile. Ogni stupro, ogni violenza, chiunque sia a commetterli, è il fallimento dei processi educativi, è non aver insegnato a considerare l'altro come persona e non come cosa. La più bella definizione dell'amore l'ho trovata in Sant'Agostino: 'Volo ut sis', voglio che tu sia quello che sei, riconosco la tua alterità. È da qui che bisogna ripartire".