di Sandro Magister
Parole semplici. Lunghi silenzi. Passo veloce. Discorsi scritti a mano. Ecco il metodo Ratzinger. Con un obiettivo: 'Ricercare la verità, non gli applausi'
La baruffa pro o contro la satira antipapale alla radio o in tv non smentisce un dato corroborato dalla forza dei numeri. Benedetto XVI è il papa più popolare della storia, se per popolo si intende quello che egli attira come un magnete in piazza San Pietro, ogni domenica all'Angelus e ogni mercoledì all'udienza generale. Le presenze sono sistematicamente più che doppie rispetto a quelle del suo predecessore Giovanni Paolo II, che a sua volta aveva polverizzato ogni record. Ma ciò che più stupisce è l'intreccio tra domanda e offerta. Il prodotto di successo che Benedetto XVI offre alle folle è fatto della sua nuda parola. All'Angelus, due volte su tre, papa Joseph Ratzinger spiega il Vangelo della messa di quella domenica, a un uditorio che non tutto e non sempre va a messa. Lo spiega con parole semplici, ma che esigono attenzione e la ottengono. Mentre lui parla, il silenzio in piazza San Pietro è impressionante. E al termine della brevissima omelia egli inizia istantaneamente la preghiera dell'Angelus, senza neppure un attimo di intervallo. Che è il suo modo, riuscito, per non far scattare l'applauso. Questo verrà, ma al termine di tutto, al momento dei saluti in varie lingue.

Il guaio di chi fa satira su questo papa è che lui, quello vero, non concede nulla agli schemi correnti. Non fulmina condanne, non lancia anatemi. Ragiona inflessibile, ma pacato. E le sue critiche alla modernità o alle 'patologie' che egli riscontra anche dentro la Chiesa le argomenta. Anche per questo egli ha quasi ammutolito il progressismo cattolico: non perché esso gli sia divenuto amico, ma perché non riesce a ribattergli con argomenti di pari solidità persuasiva.

Benedetto XVI non mostra affatto di sentirsi schiacciato dal confronto col suo predecessore. Non lo imita in nulla. Giovanni Paolo II non camminava, incedeva solenne. Papa Ratzinger con passi svelti va dritto alla meta. Giovanni Paolo II dominava la scena. Benedetto XVI cura di spostare l'attenzione a qualcosa che è al di là di se stesso. Memorabile resta la veglia notturna col milione di giovani accorsi in Germania, nell'agosto del 2005, prima grande prova mediatica affrontata dal nuovo papa. Per molti interminabili minuti Benedetto XVI sta in silenzio, in ginocchio, davanti all'ostia consacrata posta sull'altare. Ma a mal partito non mette i giovani. Mette i registi e i cronisti televisivi, che non sanno più cosa dire o fare per riempire quel 'vuoto' con cui il papa ha sconvolto la preventivata kermesse.

È il primo papa teologo nella storia della Chiesa. Ma sa insegnar teologia anche ai semplici. Anche ai bambini. Uno dei moduli comunicativi di sua invenzione sono i botta e risposta improvvisati con i più diversi uditorii. L'ha fatto anche con decine di migliaia di bambini della prima comunione, età media 9 anni, riuniti in piazza San Pietro. Un bambino gli domanda: "La mia catechista mi ha detto che Gesù è presente nell'eucaristia. Ma come? Io non lo vedo!". Risposta. "Sì, non lo vediamo, ma ci sono tante cose che non vediamo e che esistono e sono essenziali. Per esempio, non vediamo la nostra ragione. Tuttavia abbiamo la ragione".

Con la ragione Benedetto XVI ha aperto una partita audace. Sul rapporto tra la ragione e la fede ha impostato l'asse del discorso divenuto il più famoso e contestato del suo primo anno e mezzo di pontificato: la 'lectio magistralis' da lui tenuta all'Università di Ratisbona il 12 settembre del 2006. Non è azzardato dire che Ratzinger è un papa illuminista, perché lui stesso ha dichiarato di voler prendere le difese dell'illuminismo in un'epoca in cui alla ragione sono rimasti pochi difensori. Chi si aspettava di trovare nell'ex capo dell'ex Sant'Uffizio un paladino fideista del dogma è servito. Per lui non c'è solo Gerusalemme, c'è anche l'Atene dei filosofi greci all'origine della fede cristiana. Benedetto XVI non teme di mettere sotto severa critica le religioni, a cominciare da quella cristiana, proprio in nome della ragione. Tra ragione e religione vuole che si stabilisca un mutuo rapporto di controllo e purificazione. I due terzi della sua lezione di Ratisbona li ha dedicati proprio a criticare le fasi in cui il cristianesimo s'è distaccato dai suoi fondamenti razionali. E all'Islam ha proposto che faccia lo stesso: che intrecci la fede con la ragione, unica via per separarla dalla violenza. Trentotto pensatori musulmani di molti paesi e di diverse correnti gli hanno risposto con una lettera aperta che da sola vale più di mille dialoghi cerimoniali. In parte dando ragione alle sue ragioni.
La lezione di Ratisbona non è l'unico testo che Benedetto XVI ha scritto di suo pugno, senza dare ascolto ad esperti che sicuramente gliel'avrebbero purgato. Anche il discorso sulla Shoah pronunciato ad Auschwitz e Birkenau era tutto suo. E puntualmente anch'esso è andato incontro a contestazioni e polemiche, politiche e teologiche, da ebrei, da laici e da cristiani. Da papa, Ratzinger agisce spesso con un'imprudenza che nessuno gli sospettava. E il perché di questo suo parlare 'opportune et importune' l'ha così spiegato lo scorso 6 ottobre in un'omelia ai 30 studiosi della commissione teologica internazionale: "Mi viene in mente una bellissima parola della prima lettera di san Pietro, nel primo capitolo, versetto 22. In latino suona così: 'Castificantes animas nostras in oboedentia veritatis'. L'obbedienza alla verità dovrebbe 'castificare' la nostra anima, e così guidare alla retta parola e alla retta azione. In altri termini, parlare per trovare applausi, parlare orientandosi a quanto gli uomini vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle opinioni comuni, è considerato come una specie di prostituzione della parola e dell'anima. La 'castità' a cui allude l'apostolo Pietro è non sottomettersi a questi standard, non è cercare gli applausi, ma cercare l'obbedienza alla verità. E penso che questa sia la virtù fondamentale del teologo, questa disciplina anche
dura dell'obbedienza alla verità che ci fa collaboratori della verità, bocca della verità, perché non parliamo noi in questo fiume di parole di oggi ma, realmente purificati e resi casti dall'obbedienza alla verità, la verità parli in noi. E possiamo così essere veramente portatori della verità". Benedetto XVI è fatto così. Si sente talmente rivestito da questa armatura di "castità" da non temere contaminazioni. A qualcuno diede scandalo quando ricevette in udienza privata a Castel Gandolfo la bellicosa Oriana Fallaci. Ma un anno dopo ha voluto incontrare anche Henri Kissinger, il più realista dei cultori della Realpolitik. Il principe dei teologi antiromani,
Hans Küng, è stato un altro dei suoi ospiti a sorpresa. Benedetto XVI non è tipo che una satira possa far tremare.