di Quirino Conti
Spalle imbottite. Abiti squadrati. Ori vistosi e copricapi. Un guru della moda giudica lo stile del papa: neo-bavarese e wagneriano
Papa Benedetto XVI
E in che stile?, replicò fulmineo Bernard Berenson alla notizia che il Messia fosse apparso a Pio XII, sanandolo dal patologico singhiozzo che lo squassava. Ma non era stata quella guarigione, evidentemente, a smuovere l'interesse del grande (anche nell'affarismo) storico dell'arte e connaisseur, quanto piuttosto l'impagabile possibilità, per un simile esperto di Stili, di conoscere attraverso quale oggettiva 'forma', in quel determinato momento espressivo, per mezzo di una narrazione formale, si fosse realizzata la comunicazione del divino con il Tempo.

Come è risaputo, infatti, sono solo i superficiali a diffidare delle apparenze e non di certo gli uomini di Chiesa. E addosso a un papa teologo e con un passato di inflessibile custode dell'ortodossia, un paio di spalle, ad esempio, rinforzate da vistose protesi di ovatta (spalline), improvvisamente diritte, squadrate, metaforicamente combattive e autoritarie (contro spalle stondate, per antonomasia - non solo nell'iconografia papale - pacificate, miti e arrendevoli, insomma, come dire, evangeliche!), non dovrebbero mai apparire, come su chiunque altro, né trascurabili, perché occasionali e fortuite, né tanto meno prive di conseguenze. Poiché negli Stili nulla è casuale, essendo lo Stile il non detto e l'indicibile della Storia; e raccontando, spesso limpidamente, ciò che essa non dice o, per convenienza, tralascia.

In effetti, nel caso di Benedetto XVI, tutto in apparenza sembrerebbe solo coincidere con un cambio di sartoria poi, pare, rientrato: papa Ratzinger lascia le forniture Gammarelli per tornarsene alla sartoria che, nei pressi di piazza San Pietro, da sempre si occupa delle sue venerabili vesti. Ma non sarebbe, questo, che un superficiale, grossolano errore di valutazione. Poiché, infatti, in quella imperativa e aguzza ristrutturazione, in quella perifrasi tanto ricorrente nei cicli della Moda, non si manifesta semplicemente una diversa interpretazione delle proporzioni del Santo Padre, quanto piuttosto, a ben vedere (forse persino inconsapevolmente), una nuova, mimata, espressiva valutazione del proprio ruolo e del relativo rapporto, da quella cattedra, con la Storia e con il mondo.

La grande marcia era iniziata, più o meno attorno agli anni Settanta, quando - i dettagli sono la sostanza dei mutamenti - dalle maniche di una 'talare' esatta e stiratissima come non se ne vedevano più in giro, erano sbucati, inattesi ma soprattutto ingiustificabili nell'asciutto amore per la sobrietà evangelica rifiorito da quell'assise, due alteri, candidi, polsi doppi - praticamente in disuso, nella laicità, perché dissonanti con la disinvolta casualità di quegli anni - con tanto di blasonatissimi gemelli d'oro.

Era dall'Opus Dei e dalla Spagna di Franco che arrivava quel sussiegoso dettaglio veteroclassista così poco umile. E dall'uso provocatoriamente antimoderno dell'Opera di tornare a vestire (o ad addobbare) i preti con quell'abito dismesso. Per inciso, tanto poco apostolico da derivare, più prosaicamente, direttamente dall'inquartata settecentesca che chiunque a quel tempo, clero compreso, indossava su camicia con fiocco, gilet e culotte, né più né meno come una giacca. Ma per i compunti, arcaicizzanti seguaci di Escrivá de Balaguer l'uso della 'talare' in un panorama di confortevoli clergyman e di fogge cosiddette civili - perfetti invece per impastarsi nella realtà e nel Tempo senza alcuna prudente riserva - quell'abito antiquato, per certi versi respingente, era divenuto l'inconfondibile segnale di un dissenso e di una distanza. Da tutto ciò che nel Concilio si era dibattuto e deliberato. Di fatto, in pratica, il più netto rifiuto di quanto, con una formulazione che farà molta strada, era ed è ancora chiamato con spregio 'la Chiesa di sinistra'.

E quel pio clero che non disdegnava neppure il cilicio (oltre a ottime frequentazioni nella più ricca e titolata società internazionale) amava apparire, come una casta a sé, in un 'ordine' formale che si esprimeva attraverso teste elegantemente pettinate, altissimi colletti, spalle ben in vista e questa vieta citazione di classe che, sotto quella veste nera automortificante, voleva probabilmente alludere a una seconda pelle e a un'anima particolarmente predisposta alle banche, agli affari, al potere e alle élite in genere. Soprattutto se aristocratiche.
Dunque, mentre una teologia e un pauperismo d'impronta nordeuropea pervadevano, semplificando e asciugando, abiti, liturgie e apparati - con una profonda purificazione, di fatto il cuore stesso della Cristianità, il suo messaggio e la sua politica - da quell'enfatico cattolicesimo neo-franchista giungeva, stilisticamente, un rappel à l'ordre che non tarderà a raccogliere consensi. Del resto, anche l'abolizione del baldacchino (araldico) sulla Cattedra (trono) vescovile era giunta appena in tempo per non sprofondare nel ridicolo, nell'anacronistico e nel teatrume. A dire il vero, neppure con l'entusiastica adesione di tutti. Tanto che qualche vescovo, terrorizzato di perdersi quella lussuosa allegoria di frange in testa (a sentir lui autorevole), tardò a eseguire le indicazioni - imprudenti e giacobine, si disse allora - che arrivavano dai padri conciliari.

Così come ci si privò, con non poco rimpianto, dello sfarzo - sempre stilistico - di anelli e croci pettorali d'imbarazzante fastosità e pregio, per un più modesto monile che lo stesso papa Montini portava all'anulare della mano destra e che, nel consegnarlo all'intero episcopato, volle far digerire come segnale di unità con il magistero di Roma. Mentre non era che una decisa sterzata di Stile. E non solo. Molti, infatti, ne patirono. Avvinghiati a quell'ostentazione travestita da decoro che, reintegrandole - mediante i più classici meccanismi di sostituzione - sanava o temperava carenze di umanità e di fede. Ma l'aria del Tempo era quella, e il vento che soffiava volgeva alla preminenza della carità e a una spoliazione da incrostazioni e formalismi residuali. Tanto che lo stesso pontefice, di fronte allo scandalo della miseria di una gran parte dell'umanità, si dice avesse chiamato a sé i maggiori esperti del mondo perché si valutasse il patrimonio artistico del Vaticano. La fame e le sofferenze dei più poveri urgevano quella restituzione.

Non se ne fece nulla, forse solo perché il vecchio papa morì. Intanto, niente frenava l'indignata avanzata restaurativa di quanti, per combattere una Chiesa cosiddetta 'marxista', in ogni modo cercavano di riappropriarsi dei privilegi che quelle formule fumogene e quelle fogge ermetiche tutelavano. Non tardarono quindi, dietro quell'avamposto di monsignorini in carriera particolarmente azzimati e profumati, ad accodarsi vescovi, arcivescovi e cardinali; con un fiorire appunto, tra pizzi, tomboli, merletti e trine - ormai il sobrio 'rocchetto' montiniano era un reperto, come nella società civile i camperos - di nivei polsi doppi, turgidi come calle di serra, e di preziosi gemelli. Ora che, con l'eclettica estetica slava del nuovo papa polacco, anche la liturgia si riappropriava, in un caotico affastellamento di 'alto' e di 'basso', di arredi, vasellame, calici, pissidi e ostensori già saggiamente accantonati perché immotivatamente vistosi e distraenti.

In quell'assise si era infatti cercato l'Essenziale. Nella più assoluta semplicità e con il maggior silenzio formale possibile. Mentre si assisteva ora a un papato che, attraverso linguaggi estetici poco coltivati, con segnaletiche popolar-restaurative, si impantanava in ridondanze e baluginii di pessima fattura e qualità. Nel contempo l'altare che con il nuovo rito si era apparecchiato asimmetricamente con candelieri raccolti da un lato, ritornava ristrutturato alla simmetria e alla bilateralità antiriformista. E tutto ritrovava il suo centro di riferimento. Il suo verticistico ordine: cattolico, apostolico, romano. Più rassicurante, autorevole e controllabile. Essendo, notoriamente, l'asimmetria il crogiolo delle libertà. Ovviamente stilistiche. E dell'autodeterminazione. Dunque, per estensione - ma gli Stili non sono che estensioni concettuali - del fatidico relativismo.

Per il Giubileo, il Concilio, quanto alla forma, era bello che liquidato. E un pontefice sofferente e malsicuro, come nel lavoro di Cattelan schiacciato sotto il macigno estetico di paramenti tanto volgari e luccicanti da sfigurare persino in un varietà televisivo, era davvero una 'narrazione-figura' troppo dura da sostenere. La restaurazione, con il tramonto di un papato tanto contraddittorio, si condiva di trash e di populismo.
Fino a quell'ineffabile, recentissimo 'camauro' tanto mal ideato e costruito da sembrare, su Benedetto XVI, un brutto scherzo; e a un grazioso 'saturno' (con falde sollevate!), in flammante di purissimo pelo di lepre, mai più in quella inverosimile foggia da Pio XI. Tale e quale ad alcuni copricapi che il Grand Tour ci consegna in disegni e dipinti del XVIII secolo. Avendo già assistito, per la cerimonia di 'intronizzazione', alla scelta da parte dell'antiquario-papa tedesco di un pallio, frettolosamente cercato, nella sua più esatta foggia, niente di meno che a Tours, sul venerato corpo di Martino, antico vescovo di quella città. Assieme a un anello piscatorio di nuovo appariscente e voluminoso. E piviali, casule e mitrie di un oro tanto pesante, arrischiato e wagneriano da apparire quasi inventati dall'infausta fantasia di Ludwig II di Baviera. Chi mai, del resto, dietro quelle brutte materie e quei pastiche potrebbe oggi leggere la narrazione di quel poco di trascendente cui vorrebbero alludere?

Ma ormai, come estrema bizzarria archeologica, sono persino ricomparsi sulla 'mozzetta' (mantellina di velluto o di raso rubino) un resto di cappuccio, stilizzato e miniaturizzato dai secoli, riesumato appositamente, e una stentatissima bordura in simil-ermellino. Secondo la complessa strategia plastico-ricostruttiva del teologo-esteta bavarese. E nulla potrà evidentemente opporsi alle ferree conclusioni di un pontefice che, da esperto del Concilio, se n'era poi allontanato. Anche per quell'incontenibile propensione all'estetizzante, nostalgico sentimentalismo romantico e al rigido verticismo che paiono essere elementi costitutivi della struttura culturale di questo papato (la geografia, stilisticamente, prevale sempre sulla storia).

Mentre tutt'attorno si è di nuovo più o meno alle medesime conclusioni di Stendhal: fumosità, preti ambiziosi e vescovi vanitosi. Come in un deprecabile quadro di Meissonier. Con al vertice: inflessibili spalle diritte. Da due semplici spalline a tegola: pericolosamente spuntate come rinforzo, sempre dal punto di vista dello Stile ovviamente, sotto la candida, innocua veste di un papa. Con idee chiarissime in testa. Oltre a mitrie come non se n'erano più viste in giro dal celebre défilé di moda ecclesiastica firmato Danilo Donati e Federico Fellini nel film 'Roma'. Ma lì era solo per finta.

Dunque, in che stile? Neo-Neuschwanstein, parrebbe. Come l'ultima, melodrammatica stramberia dell'infelice Ludwig, re bavarese.