di Vittorio Malagutti
Costi di gestione senza controllo, spese enormi per il personale, 280 milioni bruciati nella guerra alle cimici. Così muoiono le ferrovie italiane
Chiamatelo, se volete, fattore 'C'. Sta tutta qui, in una lettera dell'alfabeto, l'ultima puntata della triste storia dei treni nostrani. Una storia infinita di perdite in bilancio, sprechi, ritardi cronici e inefficienze diffuse. Ma questa volta non c'entra la fortuna attribuita a Romano Prodi. Si parla d'altro. 'C' come Catania Cosimo Elio, ex amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, presunto supermanager (una vita all'Ibm) dimissionato un mese fa con una buonuscita di 7 milioni sull'onda delle maxi perdite del gruppo: almeno un paio di miliardi di euro per il 2006. 'C' come Cimoli Giancarlo, il predecessore di Catania, altro celebrato dirigente industriale, che nel maggio del 2004 intascò un bonus-incentivo di 6,5 milioni per passare dai treni FS agli aerei dell'Alitalia. Insomma, da un disastro all'altro. E, infine, 'C' come cimici. Non quelle elettroniche, tanto care agli spioni di ogni latitudine. Proprio gli insetti, che, come si scoprì l'anno scorso, infestavano centinaia di carrozze col marchio Trenitalia. La scoperta è costata cara al gruppo ora guidato Mauro Moretti. Perché come emerge tra le pieghe dei conti societari più recenti, quelli che hanno certificato il collasso dell'azienda dopo anni di capriole contabili, una delle cause dell'aumento vertiginoso del deficit (si partiva da 465 milioni di rosso consolidato nel 2005) sarebbero proprio le spese straordinarie per la bonifica integrale di più di 500 vagoni.

In totale, secondo quanto confermano fonti ufficiali, sono stati sborsati ben 280 milioni per svuotare e riarredare da cima a fondo un esercito di carrozze considerate tanto sporche e infestate da respingere con perdite anche la più efficiente delle aziende di pulizie. "E allora usate le maniere forti", ordinò mesi fa l'amministratore delegato di Trenitalia, Roberto Testore. Fatto. Risultato: carrozze pulite (si spera), ma conto salato, salatissimo. Nuova zavorra che va ad aggiungersi alle perdite aziendali in crescita esponenziale.

Adesso Moretti, insieme al nuovo presidente Innocenzo Cipolletta, bussa all'azionista Stato chiedendo risorse aggiuntive. Nell'immediato 700 milioni per tappare il buco Trenitalia, circa 500 milioni di denaro pubblico dovuto in base a contratti pregressi e poi l'aggiornamento delle convenzioni con le Regioni per il trasporto locale ferme ai valori del 2000, circa 1,3 miliardi l'anno di contributi. Infine, per evitare il crack, servirebbe al più presto un aumento delle tariffe. Minimo 5 per cento, ma in questi giorni si è arrivati a ipotizzare addirittura un 20 per cento per gli Eurostar.

Basterà questa nuova pioggia di denaro pubblico a rimettere i treni italiani sui binari della buona gestione? Nell'immediato forse sì. Forse il bilancio potrebbe anche ritornare all'utile. Ma, superata la tempesta, resterebbe il pericolo di deragliare ancora. Perché a ben guardare la crisi è una questione di costi impazziti, più che di mancati ricavi, come invece vorrebbero far credere le Ferrovie con la tambureggiante offensiva di comunicazione degli ultimi giorni. È vero, in Italia il treno costa meno rispetto alla media dei grandi Paesi europei. In Francia e ancor più in Germania, i prezzi dei biglietti ferroviari superano anche del doppio quelli italiani. Ma, conti alla mano, anche un aumento del 10-15 per cento delle tariffe farebbe aumentare i ricavi solo di alcune decine di milioni. Troppo poco per tappare la voragine dei conti.

Il fatto è che all'estero, nonostante i costi superiori, i passeggeri sono molti, molti di più rispetto a quelli che si affidano al gruppo Ferrovie dello Stato. In base alle statistiche più aggiornate, le ferrovie tedesche e quelle francesi ospitano ogni anno più di 70 milioni di viaggiatori al chilometro. In Italia invece non si va oltre quota 46 milioni. Quest'anno lo scenario è migliorato, ma di pochissimo. Nel primo semestre il traffico passeggeri è aumentato del 2 per cento, un'inezia, e per di più i ricavi sono rimasti sostanzialmente stabili: 1.607 milioni contro i 1.603 registrati a giugno 2005.
All'estero le grandi aziende ferroviarie sono state capaci di cavalcare l'onda dei rincari del prezzo dei carburanti, che ha portato milioni di automobilisti a scegliere di muoversi in treno. Come dimostra la tabella pubblicata in queste pagine, i passeggeri-chilometro di Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche, tra il 2003 e il 2005 sono passati da 69,5 a 72,5 milioni. Anche in Francia la crescita è stata sostenuta: 74,3 milioni nel 2005 contro i 71,9 milioni del 2003. Trenitalia ha dovuto accontentarsi: dai 45,2 milioni di passeggeri-chilometro del 2003 ai 46,1 milioni registrati l'anno scorso.

Deutsche Bahn e Sncf, la sigla che identifica le ferrovie francesi, chiudono entrambe i bilanci in forte utile. Non per niente è allo studio addirittura un progetto di quotazione in Borsa del gruppo tedesco, che ha saputo trasformarsi in un colosso della mobilità (25 miliardi di euro di ricavi contro i 6,8 miliardi delle Ferrovie dello Stato) con attività in tutto il mondo nel campo della logistica. Più complicata la situazione del gruppo transalpino, che nel 2005 ha beneficiato di sovvenzioni dirette e indirette stimate in 10 miliardi di euro all'anno. L'anno scorso però il bilancio di Sncf si è chiuso in utile per oltre un miliardo di euro e grazie ai Tgv l'efficienza delle ferrovie transalpine non teme confronti in Europa.

"A fare la differenza non è tanto il prezzo del biglietto quanto la qualità del servizio", commenta Andrea Boitani, docente all'Università Cattolica di Milano, studioso autorevole del sistema dei trasporti. Secondo Boitani, la bassa crescita del numero dei passeggeri e l'enorme distacco nei confronti dei Paesi europei più sviluppati "rappresentano un ulteriore indicatore di inefficienza delle ferrovie italiane". In altre parole, ritardi e sporcizia non aiutano a conquistare clienti. Ecco perché eventuali rincari nelle tariffe dovranno coincidere con un miglioramento del servizio. In caso contrario la manovra sui prezzi potrebbe diventare un boomerang. I ricavi complessivi stenterebbero comunque ad aumentare, perché i passeggeri finirebbero per diminuire.

Conta la spesa, quindi. Cioè la capacità di impiegare le nuove risorse incassate per aumentare la qualità del servizio. E in questo campo, a giudicare dal passato recente, non c'è molto da stare allegri. Già nel bilancio 2005 i costi operativi, con esclusione di ammortamenti e oneri del personale, erano aumentati di quasi il 20 per cento rispetto all'anno precedente. Il trend è proseguito nel primo semestre del 2006: nuovo incremento del 22 per cento. Incidono soprattutto le spese per servizi, una categoria amplissima che comprende manutenzioni e pulizia dei treni, consulenze e prestazioni professionali, pubblicità e marketing. A leggere il bilancio si scopre che tutto aumenta, tutto costa di più, salvo rare eccezioni. Con buona pace della Corte dei conti, che nella sua relazione 2003 e 2004 delle Ferrovie delo Stato (pubblicata solo nel giugno scorso) si chiedeva se "vi siano delle economie da operare per accentuare una politica di contenimento della spesa, in questa fase particolarmente opportuna". I magistrati contabili osservano anche che la voce servizi "risulta costantemente in aumento dal 2000".

Qualche esempio. Nel 2005 i costi di pubblicità e marketing sono lievitati di quasi il 50 per cento: da 35 a 51 milioni di euro. "Possono (....) nutrirsi motivi di dubbio - commenta la Corte dei conti - sulla economicità della spesa che Ferrovie dello Stato ritiene di destinare a campagne pubblicitarie mirate a enfatizzare i risultati e la mission del gruppo". Tradotto dal burocratese: c'è il forte sospetto che buona parte di questi 51 milioni siano soldi spesi a vanvera. D'altra parte, a dire il vero, nei risultati aziendali non sembra che ci sia granché da pubblicizzare. Anche consulenze e prestazioni professionali esterne hanno pesato di più sul bilancio. Dagli 84 milioni del 2004 ai 94 milioni dell'anno successivo. Poi c'è la voce carrozze letto e ristorazione. Di che si tratta? In pratica, spiega una nota al bilancio, questa categoria comprende i "servizi di accoglienza, assistenza, accompagnamento della clientela sui treni Eurostar". In poche parole, oltre ai vagoni letto e alle carrozze ristorante, anche hostess, snack e giornali. Tutto costosissimo, a quanto pare. Nel 2005 queste specifiche spese sono aumentate addirittura del 65 per cento, da 47 a 78 milioni.
Si arriva così ai costi di manutenzione. Una voce dolente, come sanno bene milioni di viaggiatori. Carrozze vecchie e scassate, stazioni fatiscenti impongono interventi sempre più onerosi. Nel 2000 questa spese non raggiungevano i 200 milioni di euro. Nel bilancio 2005 si supera quota 500 milioni. L'incremento sconta in parte una manovra contabile realizzata nei conti dell'anno scorso. Oneri fino ad allora capitalizzati, sono stati esposti in conto economico. Di certo i risultati concreti lasciano a desiderare. Il capitolo manutenzione adesso pesa molto di più in bilancio rispetto al passato recente, ma le condizioni dei vagoni, soprattutto quelli destinati ai pendolari, non sono migliorate in maniera corrispondente. Incalzati dalle proteste dei passeggeri, i vertici delle ferrovie alla fine del 2005 sono corsi ai ripari. A parte il rinnovamento del cosiddetto materiale rotabile, cioè le carrozze, con l'entrata in servizio dei nuovi treni Minuetto e Vivalto destinati al trasporto regionale, sono state destinate nuove risorse alla manutenzione. Nuove spese, allora: oltre 200 milioni nei primi sei mesi che sono andati ad aumentare il deficit aziendale.

Resta da vedere quali saranno i risultati concreti di questi interventi supplementari. Nel frattempo neppure il costo del lavoro smette di crescere, nonostante i massicci tagli di personale varati negli anni scorsi, con prepensionamenti che continuano a gravare per miliardi di euro sulle casse dello Stato. Alla fine del 1998 i dipendenti delle Ferrovie dello Stato erano circa 120 mila, contro i 97 mila a libro paga nel 2005. Gli oneri in bilancio però non diminuiscono di conseguenza. L'anno scorso il costo del lavoro è aumentato del 2,7 per cento, toccando 4,59 miliardi, una somma superiore a quella registrata nel 2001, quando i dipendenti erano quasi 6 mila in più. È questo l'effetto degli aumenti contrattuali maturati nel frattempo.

Insomma, lo scenario non cambia. Lo squilibrio si perpetua negli anni, come dimostra il confronto dei dati italiani con quelli delle aziende ferroviarie straniere. In Germania il costo del lavoro vale il 37 per cento circa del totale dei costi operativi. In Francia questo indicatore sale e si avvicina al 47 per cento, ma resta comunque molto lontano da quello delle Ferrovie dello Stato. Nell'azienda guidata da Moretti le spese per i dipendenti ammontano al 60 per cento dei costi di gestione. Al momento nuovi tagli di personale sembrano difficile perfino da ipotizzare. "Non è detto che per risparmiare si debba licenziare personale", commenta Boitani: "Economie importanti nel senso di una maggiore efficienza potrebbero essere raggiunte riorganizzando uffici e mansioni, ma interventi di questo tipo andrebbero per forza a toccare rendite consolidate e molto protette a livello politico e sindacale".

Così, per dare il segnale del cambio di stagione ai vertici del gruppo non resta che annunciare sforbiciate a qualche voce di spesa marginale, ma a forte impatto simbolico, come le consulenze esterne oppure bonus e benefit vari per i dirigenti. Tutto questo in attesa di metter mano a capitoli ben più rilevanti. Missione difficile, perché l'eredità del passato resta pesante. Un esempio. Nelle ultime settimane dell'anno scorso, nel pieno delle polemiche per le cimici sui treni, le ferrovie hanno aggiudicato l'appalto per le pulizie, che vale circa 170 milioni di euro l'anno. Un argomento delicato, quantomeno per l'immagine aziendale. "Sarà tutto più trasparente", assicuravano le ferrovie. Alla fine, comunque, la gara è stata dominata dalle stesse aziende che già si erano occupate delle pulizie nei tre anni precedenti, con la Mazzoni ambiente a farla da padrone (vincente in dieci lotti su 17). Nessun problema, quindi. Nonostante le cimici e l'ondata di proteste dei viaggiatori. Anzi, a inizio del 2006 le Ferrovie dello Stato hanno versato alla Mazzoni un anticipo di 17,3 milioni di euro. Rimborsabile in 15 comode rate a interessi zero.