di Ilaria Bellantoni
L'arte del mangiare bene esce dai templi della grande cucina e si impone anche nei menù veloci. Che ora devono essere più genuini e golosi. Una sfida raccolta da famosi chef. A cominciare da Adrià
Quindici milioni di italiani tutti i giorni mangiano fuori casa. È gente tra i 25 e i 44 anni, costretta a nutrirsi a tutta velocità, al bar o in uno dei 2.200 ristoranti che hanno sostituito mense e tavole casalinghe durante la pausa pranzo. Questo secondo i risultati di una ricerca commissionata da 20 multinazionali del food & beverage a Maior Consulting, società di consulenza aziendale. Ma nel paese dove lo Slow Food è l'ultima ossessione sociale e manifestazioni come il Salone del Gusto attraggono folle da stadio (172 mila visitatori in cinque giorni), le aspettative nei confronti del cibo sono sempre più alte. A caccia di esperienze gastronomiche, nemmeno quando vanno di corsa i neogourmet rinunciano alla buona tavola. Cercano cibi buoni, puliti e giusti. Cibi svelti, ma con un upgrading: che sembrino colti, un po' slow. Perché da noi, come ha scritto il 'Wall Street Journal', il cibo è una scelta culturale, un 'political statement'.

Non a caso i sociologi hanno identificato una categoria, quella dei buongustai edonisti, che Enrico Finzi, sociologo e presidente di Astra Demoskopea, descrive così: "Si dedicano al piacere della tavola e per la pausa pranzo scelgono l'happy fast food, cose gustose e dietetiche come i finger foods, cioè stuzzichini e bocconcini da mangiare con le mani. E insalate fresche, pane biologico, frutta organica".

Le catene della grande ristorazione non possono stare a guardare. McDonald's inserisce alimenti sani accanto a Big Mac e patatine. Una scelta peraltro obbligata, dopo le polemiche scatenate da 'Super Size Me', il film documentario di Morgan Spurlock, il giornalista che per 30 giorni si è ingozzato di hamburger e ha messo su 13 chili. Intanto 'Fast Food Nation', il film di Richard Linklater tratto dal libro-inchiesta di Eric Schlosser, arriva nelle sale americane, ed è solo l'ultima delle denunce contro la multinazionale americana. Risultato: 2 mila tonnellate di lattuga hanno invaso i 340 ristoranti italiani dell'Arco dorato. Una svolta che Luca Bon, direttore marketing di McDonald's Italia, non vuole chiamare salutista: "Abbiamo solo differenziato la nostra offerta perché i clienti chiedono altro, ecco. Abbiamo ascoltato le voci dei blog, letto le e-mail che ci arrivavano sul sito, consultato i nutrizionisti e le mamme. E nel 2004 abbiamo introdotto insalate preparate al momento con petto di pollo caldo alla piastra, prodotti nuovi come la caprese e le Fruit Bag, le vaschette di frutta fresca, i dessert con fragole a pezzettini, mirtilli e yogurt alla vaniglia". Una tendenza che si affianca a quella di creare specialità nazionali rispettando i gusti e le tradizioni religiose di ognuno dei 126 Paesi in cui il marchio è presente. In India c'è il Maharaja Mac, a base di carne d'agnello anziché di manzo; a Taiwan va il Rice Burger, focaccina di riso con funghi tagliati a cubetti; in Grecia il Greek Mac ha pane pita e salsa di yogurt; in Medio Oriente il Mc Arabia si serve su pane arabo ed è farcito con pollo grigliato. La chiamano 'localizzazione' e sta travolgendo anche le nostre tavole calde, trasformate in vetrine del tipico imbandite di specialità regionali. Le catene del fast food all'italiana si attrezzano. Primo passo, il maquillage estetico: Autogrill, compagnia che sotto il suo ombrello ha marchi come Spizzico, Ciao, Market e Burger King, si è rifatta il look puntando sul design per ridisegnare il volto ai suoi bar, che ora portano il nome di Acafè. L'intento è quello di creare in aeroporto, nelle stazioni e nei centri commerciali, luoghi belli e buoni, posti dove bere un cappuccino, leggere un libro, collegarsi alla rete wi-fi per navigare su Internet o guardarsi una partita, come accadrà nello Sky Lounge Bar di Malpensa a gennaio. Vicino, a marzo, aprirà La Galleria, ristorante à la carte con ricette milanesi firmate dallo chef Claudio Sadler. "Siamo specialisti del servizio veloce ma non rinunceremo alla qualità", dice Serena Campana, direttore ricerca e sviluppo di Autogrill: "Siamo sempre stati contro l'omologazione dei gusti e tra i primi a puntare sull'healthy food: il panino Ischia e alcuni piatti di Ciao sono stati elaborati con l'Associazione vegetariana italiana, mentre nei nostri self service abbiamo anche un menù completo e una colazione per celiaci. Oltre naturalmente a 50 specialità regionali". Spericolati quelli di Cremonini, leader nella produzione di carni bovine in Italia: nel 2001, in piena psicosi Mucca Pazza, hanno aperto Roadhouse Grill, catena specializzata in carne alla griglia di primissima scelta. È andata bene. "Abbiamo adattato ai gusti italiani un marchio americano arricchendolo di verdure ed eliminando parecchie specialità tex-mex: dopo un paio di mesi i clienti hanno scoperto la passione per il barbecue e hanno cominciato ad apprezzare filetti e bistecche", racconta Valentino Fabbian, amministratore delegato della ristorazione del gruppo che comprende anche Chef Express (treni e aerei), Moto (autostrade) e Moka, una nuova serie di caffetterie di design. È la suggestione che Starbucks, catena del caffè americano, l'azienda di Seattle che negli States fa passare il 'frappuccino' per una prelibatezza tricolore, riesce a esercitare anche su chi, come noi, l'espresso se l'è inventato. Una contaminazione di gusti che ha fatto la fortuna di Nespresso, azienda svizzera del gruppo Nestlé, che ha appena inaugurato la quarta boutique in Italia e ha ricreato la magia di Starbucks offrendo un ambiente 'esperienziale' dove degustare caffè agli aromi. Elettrizzata dalla risposta entusiasta di milanesi, romani e torinesi, Francesca Chelli, direttore di Nespresso Italia: "Da noi si viene per provare un espresso di qualità, ma anche per chiacchierare o passare una decina di minuti, perché le location sono disegnate con gusto. Sono luoghi che hanno qualcosa in più, sono lo specchio di un lifestyle seducente". Insomma, gli italiani sono curiosi verso tutto quello che è nuovo e fast. Qualche volta anche cheap, come fa notare Soffro d'Ikea (Le Conte), divertente librino di Erik Gunnar Trjo che se la prende con il gigante svedese dei mobili dai prezzi irresistibili. Colpevole, secondo lui, di aver diffuso l'Ikeite, altra mania di casa nostra, e in particolare la passione per il ristorante a basso costo accanto al reparto bambini, un McDonald's alla scandinava dove al posto del manzo servono panini al salmone, aringhe, babymenù da 1 euro, succhi e biscotti alla cannella in scatole fiabesche.
Ma c'è ancora molto da fare nella grande ristorazione veloce. Un'inchiesta di Altroconsumo (l'associazione per la tutela dei consumatori) in 22 bar di 19 stazioni ferroviarie italiane ha verificato le condizioni igieniche dei locali, controllato le regole basilari di igiene degli addetti ai lavori e ha concluso che sono inadeguate. Che i panini da pendolare, a volte, sono imbottiti di batteri.

Altra storia quella di Giovanni Rana. Il numero uno del mercato della pasta fresca, che ogni anno produce 42 mila tonnellate di tortellini, pansotti, ravioli, tagliatelle e gnocchi, ha appena aperto quattro corner (Sesto San Giovanni, Vimercate, Mantova e Bellinzago) e prevede di inaugurarne altri cento in Francia entro il 2008. Il concetto: gustatevi gli sfogliavelo al prosciutto crudo in un minuto, tempo di cottura necessario, e mangiateveli al tavolo. Il servizio è rapido, la pasta è cucinata sotto i vostri occhi, i costi competitivi, la bontà garantita. Sfida interessante anche quella di Eataly, società di Alba di belle speranze: 'alti cibi a prezzi sostenibili' è lo slogan. L'idea è venuta a Oscar Farinetti che nel 2003 ha ceduto Unieuro (il supermercato che vende elettrodomestici, telefonia, computer) e si è buttato nell'avventura gastronomica ubbidendo ai principi di Paul Bocuse, il patriarca della nouvelle cuisine che ha sempre usato prodotti freschi, brevi cotture per esaltare i sapori e presentazioni 'emozionali' dei piatti. Ha comprato un ex opificio di Torino e lo ha trasformato in un gigantesco tempio di ghiottonerie (11 mila metri quadri) dove, da gennaio, venderà solo cibi di piccoli produttori indipendenti, pane, focaccia, pizza e pasta fatte in casa. Otto i ristoranti tematici. Molto fast e, promettono, altrettanto good.