di Guido Quaranta
I dispositivi elettronici per sorvegliare a distanza i detenuti agli arresti domiciliari giacciono ammucchiati negli scantinati delle questure. Il ministro dell'Interno Giuliano Amato ha deciso di riprovarci e ne ha ordinati altri
Giuliano Amato
Pochi sanno, forse, cosa sono i 'braccialetti elettronici'. Sono una specie di manette che, applicate alle caviglie dei detenuti sottoposti agli arresti domiciliari e collegate elettronicamente alle questure di ogni città, dovrebbero permetterne la sorveglianza a distanza e costante. Furono introdotte nel 2001 dall'ex ministro dell'Interno Enzo Bianco, come forma alternativa di detenzione e, pur costando diversi milioncini allo Stato (e, quindi, ai contribuenti) furono salutate con interesse. Ma, sorpresa, appena utilizzate, risultarono inefficaci e finirono, all'italiana, ammucchiate negli scantinati delle questure: anche con quell'aggeggio ai piedi, i detenuti messi sotto controllo fra le mura domestiche se la svignavano. Soldi buttati, quindi. E, da allora, per carità di patria, di 'braccialetti elettronici' non si è parlato più. Sennonché, di recente, malgrado quella dispendiosa figuraccia, il nuovo titolare dell'Interno, Giuliano Amato, ha deciso di riprovarci e ha ordinato l'acquisto di nuovi 'braccialetti'. Sembra che, oggi, siano più sofisticati di quelli di cinque anni orsono. Ma, dati i precedenti, c'è il fondatissimo timore che finiscano anch'essi in qualche scantinato.