di Marco Damilano
Da Cuffaro a Giovanardi. I ras minacciano di lasciare solo il leader. Che invece punta sulle città. E mani libere nelle alleanze locali con uno sguardo al governo
Pier Ferdinando Casini
Sono indipendente, veramente indipendente, dipendentissimo dalla mia coscienza..., giura Pier Ferdinando Casini martedì 5 dicembre citando il costituente Giuseppe Dossetti, emiliano e democristiano anche lui ma di parrocchia correntizia opposta rispetto a quella frequentata dal giovane Pier. Casini uomo di Stato: le più alte cariche, Giorgio Napolitano, Franco Marini, Fausto Bertinotti, lo coccolano con gli occhi nella sala della Lupa a Montecitorio mentre commemora il padre della patria scomparso dieci anni fa. Tono ispirato: "Dossetti ci ha insegnato che la vittoria non sta nel numero di voti, ma nel numero di verità che potremo seminare". Pochi minuti dopo, abbandonati i panni istituzionali, Casini prova a seminare qualche verità al corteo del sindacato autonomo di polizia, sul piede di guerra per i tagli alle forze dell'ordine previsti nella Finanziaria. Si fa largo tra agenti travestiti da befane e babbi natale, una finta cassa da morto ("Dopo una vita di stenti è spirata la sicurezza") e lo striscione: 'Fuori dal carcere i delinquenti, dentro i palazzi i terroristi'. Ma appena mette piede sul palco i poliziotti esplodono. Fischi, ululati. Urla: "Vergogna! Venduto! Giuda!". E anche: "Torna a Palermo" e "Chi non salta democristiano è", un classico. L'ex presidente della Camera si stringe nel loden blu, prende fiato, sfodera quella strana virilità democristiana che lo caratterizza e grida qualcosa di destra: "Respingiamo iniziative dissennate come la commissione di inchiesta sul G8 di Genova. Non accettiamo che a finire sul banco degli accusati sia sempre la polizia". La platea, questa volta, apprezza, parte qualche applauso. Casini scende ringalluzzito dalla performance, si trova davanti il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi e un paio di notabili azzurri e sorride: "Visto? Quando serve in piazza ci vado anch'io".

Martedì 5 dicembre, prime uscite pubbliche del leader dell'Udc dopo lo strappo del fine settimana, la manifestazione di Palermo con Totò Cuffaro mentre Silvio Berlusconi portava in piazza San Giovanni una folla sterminata e le frasi successive con cui Casini ha dichiarato finita l'esperienza della Casa delle libertà. Fischi in piazza e corteggiamento del Palazzo. Pioggia di mail di protesta nelle sedi periferiche dell'Udc e grande curiosità nei corridoi di Montecitorio.

Pier 'Schiena dritta', come si è definito in tv per il coraggio di dire di no a Berlusconi, si gode la ritrovata centralità. Il popolo berlusconiano, quello calato a Roma il 2 dicembre, lo considera meno di un disertore. Bastava ascoltare i cori: "Noi non siamo democristiani!". Un democristiano doc come Bruno Tabacci quasi se ne compiace: "Non sottovaluto quella piazza, ma la prospettiva sudamericana va combattuta. Anche nel '36 il feeling tra Mussolini e il popolo era enorme, ma dove si va a finire con questo ragionamento?".

Il resto dell'Udc, però, è in subbuglio e un po' preoccupato. Per tutti parla Carlo Giovanardi, il capo dell'ala filo-berlusconiana: "Pier è un autorevolissimo amico, ma ci vada lui con la sinistra, io resto qua dove sono". L'ex ministro lo ha ripetuto al leader già sabato scorso sul volo di ritorno Palermo-Roma: "Scusa, Pier, hai un prodotto da vendere e invece di lanciarlo davanti a due milioni di persone lo mostri a 12 mila già convinti?". Casini non si è scomposto: "Quella era la piazza di Berlusconi, non la mia". "Poteva essere la tua, invece", ha replicato Giovanardi: "E se hai paura che il lupo Silvio mangi il tuo gregge, non devi lasciarlo solo".

Una volta tanto, Giovanardi è in folta compagnia. Nelle ore successive allo strappo si sono fatti sentire i dirigenti locali: i siciliani e i veneti, come dire metà del partito. Insieme ai lombardi, governano le rispettive regioni in giunta con Forza Italia, An e Lega e non hanno nessuna intenzione di mollare uno strapuntino per inseguire il miraggio del nuovo polo dei moderati. Il presidente della Regione Sicilia Cuffaro si affretta a far sapere che lui non mollerà mai la sua maggioranza. La direzione regionale veneta conferma la sua fedeltà a Giancarlo Galan. La stessa cosa avviene in Lombardia con Roberto Formigoni. "Non disconosciamo l'alleanza con la Cdl", si ribella il capogruppo centrista del Pirellone Gianmarco Quadrini. Con Casini si schierano la Puglia e le regioni meridionali: tutte regioni di opposizione, però, dove non ci sono assessorati da mollare.
 La fronda minaccia sfracelli e si prepara al congresso di primavera dell'Udc: a fine mese si chiude il tesseramento, seguiranno congressi provinciali, regionali e congresso nazionale. Casini, però, non si preoccupa di contare tessere. Al pari di altri leader cinquantenni, sa che la vera tela si tesse ormai fuori dai partiti: alleanze incrociate, incontri sorprendenti e grande attenzione a quello che succede in campo avversario. Poche settimane fa, per esempio, l'ex presidente della Camera ha incontrato in un pranzo riservato a Milano un parterre di nomi dell'imprenditoria e della cultura: c'erano Francesco Micheli, Jonella Ligresti e Umberto Veronesi. Figure lontanissime da Casini, ma molto incuriositi dalle sue mosse. Più di recente, nella casa romana dell'ex segretario generale del Senato Damiano Nocilla, Casini ha partecipato a una bella rimpatriata scudocrociata: c'erano Tabacci, il vice-presidente del Csm Nicola Mancino, un capo storico come Ciriaco De Mita e perfino l'ex amico oggi nemico di Casini, Marco Follini. Democristiani ovunque allocati che hanno in comune un sogno: chiudere con il bipolarismo, farla finita con Berlusconi e con Prodi, rianimare il centro schiacciato a destra da Berlusconi e a sinistra dal fantasma del Partito democratico.

Pier 'Schiena dritta' si muove in questo quadro. È stato il primo a partire e spera di essere il più fortunato a raccogliere i frutti della sua manovra. "Fa quello che sognano di fare in tanti, non solo lui: scomporre e ricomporre questi schieramenti. Se ci riesce sarà un terremoto anche da noi", osserva un parlamentare ds di lungo corso. Una scommessa ambiziosa: sperare che salti tutto, deragli il treno del Partito democratico e magari anche il governo del Professore.

Nell'Udc preparano le prossime mosse: in Parlamento e nelle giunte locali. In via Due Macelli, sede del partito, sfogliano l'elenco di Comuni per cui si voterà in primavera. Si appuntano una città, in particolare: Parma. Qui il sogno di scomporre gli schieramenti nazionali è già una realtà, da molti anni. Governa infatti il sindaco Elvio Ubaldi, un piccoletto identico allo zio Fester della Famiglia Addams, dotato di un dinamismo quasi demoniaco che gli ha permesso di conquistare alle elezioni due volte la guida del Comune senza allearsi con la Lega e neppure con An e tenendo Forza Italia in uno stato di minorità. Ex dc di sinistra, amico di Casini e di Tabacci, non può ricandidarsi alle prossime elezioni ma potrebbe convogliare i suoi voti personali su una lista civica di centro autonoma dai due schieramenti. La dimostrazione che, come dice Casini, si può vincere anche da soli.

Anche a Verona l'Udc si interroga sul da farsi. Nella città di Romeo e Giulietta da tempo la candidatura del centrodestra è stata promessa a una gloria nazionale, l'ex direttore generale della Rai Alfredo Meocci detto Marzapane, così democristiano che Casini e Follini ancora amici parteciparono da testimoni al suo secondo matrimonio. Non a caso, uno degli ultimi atti della sua gestione al settimo piano di viale Mazzini fu l'apertura della sede Rai a Verona. Lo strappo di Casini ha frenato l'ascesa di Meocci: la Lega non ne vuole sentir parlare, anche Forza Italia si è irrigidita e candida il deputato Pieralfonso Fratta Pasini. In questo caso l'Udc potrebbe andare da sola al primo turno e poi tornare nella Casa delle libertà al ballottaggio. In altre città, al Sud soprattutto, dove comanda De Mita, il dialogo con la Margherita è ben avviato e se son rose fioriranno.

Una tattica movimentista e spregiudicata. In attesa del big bang del sistema politico, sempre rinviato e tanto atteso: la fine del berlusconismo da una parte, il tramonto del Partito democratico di Prodi dall'altro. Per accelerare il crollo del bipolarismo Casini deve dimostrare soprattutto la sua indispensabilità. Far perdere alla Casa delle libertà qualche città, diventare essenziale per tenere in vita il governo Prodi a palazzo Madama. "Prima proverà a farlo dal punto di vista numerico: una votazione in cui senza il loro appoggio il governo sarebbe andato sotto. Diranno che è un fatto numerico, non politico. Ma dai numeri alla politica il passo è breve, molto breve", spiegano allarmati nella Quercia. Se l'incidente si verifica salta Rifondazione, salta l'attuale maggioranza, salta quello che in politichese si chiama il 'quadro politico'. E si avvicina il nuovo sistema per cui lavorano i centristi: un centrosinistra rivisto e corretto, formato dall'alleanza tra Casini-Mastella e una parte della Margherita di Francesco Rutelli e la sinistra riformista, i Ds e altri petali della Margherita. "L'area del buon senso, che ha sempre governato il paese", la definisce Tabacci. Che nel frattempo è candidato a presiedere una commissione bicamerale sulla tutela dei consumatori, dotata di poteri di controllo sulle authority. Ben sponsorizzato da una parte dei Ds e della Margherita, oltre che dall'intero Udc.
L'ultimo passo sarà, come sempre nella politica italiana, sulla legge elettorale. Negli ultimi giorni Casini ha continuato a ripetere che il modello che preferisce è il doppio turno alla tedesca. Ma in realtà si prepara una svolta clamorosa: l'apertura al doppio turno tipico della Francia. Il ministro Vannino Chiti l'ha ripetuto ai suoi anche nel fine settimana: "Attenti, un polo di centro del 15 per cento al secondo turno diventerebbe l'ago della bilancia, quello che decide chi vince e chi perde". La convenienza per l'Udc è evidente, insomma. Per ora tocca però andare avanti così senza perdere un pezzo per strada, neppure Giovanardi. E senza tornare indietro, anche se le sirene e i vitelli grassi di Berlusconi fanno paura: per Pier 'Schiena dritta' la leadership val bene qualche fischio in piazza. E il gusto di dire qualche no. Per una volta almeno nella vita.