di Massimo Riva
Secondo il presidente Confalonieri la riforma Gentiloni non sarebbe altro che una vendetta politica contro l'ex premier. Contribuendo così a insinuare che si voglia usare l'impegno politico del Cavaliere come scudo per i suoi affari personali
Fedele Confalonieri
La miglior difesa è l'attacco, devono pensare in Mediaset. Così, anticipando l'avvio del dibattito parlamentare sulla riforma televisiva, il vertice della società è partito lancia in resta contro la proposta del ministro Gentiloni. Due sono i maggiori argomenti messi in campo dal presidente dell'azienda, Fedele Confalonieri. Il primo è che il progetto è pesantemente punitivo perché, ponendo un tetto del 45 per cento alla raccolta pubblicitaria di ogni singolo soggetto, farebbe perdere un quarto del fatturato a Mediaset, che ora controlla il 60 per cento del mercato. Il secondo argomento è tutto politico: il governo Prodi, intervenendo sulle televisioni, persegue un'odiosa vendetta contro il proprio principale avversario.

Che un'azienda sotto il tiro di provvedimenti antimonopolistici cerchi di far valere i suoi interessi è naturale. Peccato che, nel caso specifico, tutto risulti complicato dal doppio ruolo - politico ed imprenditoriale - di Berlusconi, che allunga serie ombre di inquinamento sull'esame parlamentare in corso. Per capirci: gli esponenti dell'opposizione si batteranno contro la riforma Gentiloni in nome di una diversa visione ideale del mercato ovvero per conto dei profitti dell'impresa del proprio leader? La sortita di Confalonieri sul tema della vendetta politica non aiuta di sicuro a fare chiarezza su questo punto. Anzi, insinua la sgradevole impressione che si voglia, una volta di più, usare l'impegno politico del Cavaliere come scudo per i suoi affari personali. In altre parole, si torna così ad utilizzare il patente conflitto d'interessi in capo a Berlusconi non per sciogliere il nodo, ma per renderlo ancora più stringente e intoccabile. Secondo una dottrina dello Stato e del mercato per cui il diritto della forza prevale sulla forza del diritto.

Ma dove questa visione da sfida all'ok corral si rivela ancora più evidente è nella protesta di Confalonieri contro il tetto alla raccolta pubblicitaria. Certo che questo può comportare un danno per Mediaset, favorendo di riflesso i suoi concorrenti. Ma che bella scoperta! Questa è precisamente la logica di ogni iniziativa antimonopolistica da quando la politica anti-trust è stata inventata per favorire la liberalizzazione effettiva dei mercati. Insomma: si vuole o non si vuole superare il dominio duopolistico che Mediaset e Rai esercitano sul mercato televisivo domestico? Se lo si vuole, è del tutto conseguente che si prendano provvedimenti tali da impedire che qualcuno faccia la parte del leone sul mercato ovvero che si taglino le unghie a chi quella parte già sta facendo.

Si può obiettare: ma su questa strada si compromette il principio di neutralità delle scelte politiche rispetto ai soggetti in campo. Altra bella scoperta: l'efficacia di provvedimenti anti-trust si valuta proprio dalla loro capacità di smontare le posizioni dominanti, ricorrendo se del caso a misure asimmetriche per ristabilire le condizioni minime di concorrenza sul mercato in oggetto. Come insegna la secolare lezione antimonopolistica praticata in quel notorio paese di comunisti arrabbiati che sono gli Stati Uniti d'America. Dove la legge del Far West, gradita a Mediaset, è solo un ricordo cinematografico.