di Paolo Forcellini
Nelle case. Nelle fabbriche. Nelle scuole. Sulle spiagge. Sono 30 mila le tonnellate di amianto ancora da rimuovere in Italia. Mentre cresce il numero delle vittime
Inestinguibile: l'amianto, minerale ignifugo ed economico, pare proprio indistruttibile, come indica la parola greca da cui deriva il termine tecnico, asbesto, o il marchio della sua utilizzazione industriale più nota, l'Eternit. A 14 anni dalla legge italiana che lo metteva al bando, per via dei suoi terribili effetti cancerogeni, si stima che in Italia esistano ancora 2,5 miliardi di metri quadri di lastre di cemento-amianto da rimuovere. E il numero delle vittime continua a crescere al ritmo di 4 mila all'anno solo nella Penisola e di circa 100 mila nel mondo: si calcola che il picco di mortalità arriverà intorno al 2025 o anche oltre. È un problema diffuso dappertutto: sono centinaia di migliaia, forse milioni le case coloniche col loro bravo ripostiglio ricoperto d'amianto, o i garage, le intercapedini, le condutture idriche, i capannoni industriali, le scuole e gli ospedali foderati di Eternit. E ci sono interi quartieri, spiagge, poli produttivi dove le invisibili microfibre del minerale assassino volteggiano nell'aria in grande quantità prima di depositarsi nei polmoni. Sono i punti bollenti di una guerra combattuta da anni, non sempre con la necessaria determinazione e gli appropriati mezzi. Eccone alcuni esempi.

La 'morte bianca' ha colpito almeno 500 marinai. Bianca si fa per dire: "Non c'è nulla di pulito nel morire soffocati a causa di un cancro che si è sedimentato giorno dopo giorno al lavoro, in mare". Per il capitano di fregata Alessio Anselmi, presidente del Cocer Marina, è la battaglia della vita. È un fronte, quello dei militari uccisi dall'amianto, di cui si parla poco. Le 500 vittime della Marina ora sono cartelle cliniche che giacciono sugli scaffali della procura di Padova, da anni impegnata in una mega-inchiesta che proprio in questi giorni sta arrivando in porto e prospetta, sorretta dal lavoro di un pool di magistrati creato ad hoc, il processo per i vertici degli Stati maggiori accusati di omicidio colposo e omissione. Anche La Spezia è al lavoro. Sbirciando il registro tumori, si scopre che la città ha un record poco invidiabile: il tasso di malati per amianto più alto del mondo. Quando si chiede in giro indicano tutti il porto, dove da sempre sono ormeggiate e mantenute le fregate militari. Davide Ercolani, pm militare spezzino, fa il punto della situazione: "Nel 1986 a tutta la Marina fu richiesta la mappatura e bonifica dei siti contenenti amianto. Solo a La Spezia erano in giacenza 84 tonnellate di crisotilo, il cosiddetto amianto blu, il più pericoloso". Ma il 4 maggio 1989 la direzione generale costruzione armi e armamenti navali corresse il tiro: "Sulle unità navali non dovranno essere più impiegati materiali di amianto blu e bianco. Ma per quanto concerne i componenti tipo tubi e giunti rivestiti di tela di amianto bianco sigillata da calza metallica installati a bordo o disponibili in magazzino, dovranno essere impiegati fino al completo esaurimento scorte". Si gioca sul filo di queste date la battaglia legale di 43 procure.

In questi anni sono stati celebrati numerosi processi contro datori di lavoro colpevolmente o dolosamente 'distratti' nei confronti di rischi noti da decenni. A giugno le Ferrovie sono state condannate dal Tribunale di Palermo per la malattia del macchinista Carlo Castronovo. E all'orizzonte c'è un esercito di ferrovieri che potrebbero rivendicare gli stessi diritti. A cominciare dai lavoratori dell'Ogr di Bologna che prima riparavano carrozze e poi si trovarono a 'scoibentarle', cioè ripulirle dall'amianto. Risultato: decine e decine di mesioteliomi e carcinomi polmonari. Ma tutti i processi impallidiscono in confronto ai numeri e alle accuse che sta per lanciare il pm torinese Raffaele Guariniello che ha preso di mira direttamente la 'cupola dell'amianto', i proprietari della Eternit: cinque stabilimenti in Italia e almeno 3 mila morti per cancro. Stephan Schmidheiny, suo fratello Thomas e il barone belga Louis De Cartier hanno creato un impero basato sull'asbesto che è stato utilizzato ovunque, ma soprattutto nell'edilizia. Insieme a una decina di dirigenti e amministratori degli impianti italiani (Cavagnolo, Casale Monferrato, Reggio Emilia, Bagnoli e Siracusa) devono rispondere di disastro colposo. Solo a Casale, dove vent'anni fa ha chiuso una delle fabbriche principali, 622 ex dipendenti sono morti per patologie riconducibili alla fibra killer. E tra la popolazione si riscontrano 511 decessi in più rispetto a quelli attesi. Guariniello ha imposto a tutti gli ospedali della zona di sua competenza di segnalare i casi di mesotelioma pleurico o asbestosi.
 A Casale il 30 marzo scorso è cominciata la demolizione dei 100 mila metri quadri dell'ex stabilimento Eternit, sorto nel 1904. Al suo posto sorgerà un parco, ma gli abitanti della zona pensano che non sia ancora arrivato il momento della memoria. Bisogna prima ottenere giustizia. Non solo per gli ex operai, ma anche per i loro familiari e in genere per gli abitanti della zona: circa i due terzi tra i colpiti da mesotelioma, infatti, non lavoravano nella fabbrica della morte. Non aiuta l'atteggiamento contraddittorio dei proprietari di Eternit: prima rifiutano la liquidazione del danno alle vittime italiane (la Eternit italiana ha portato i libri in tribunale negli anni '80), poi annunciano - il 3 ottobre - l'istituzione di una fondazione per aiutare le vittime elvetiche con un milione e mezzo di franchi.

Altri punti caldissimi sono i dintorni delle ex cave di Balangero, in Piemonte e, nella stessa Regione, l'ex Sia (Società italiana per l'amianto), alcuni stabilimenti di Venezia-Porto Marghera, l'ex base aeronautica di Monte Venda sui Colli Euganei, Broni e Seveso in Lombardia, la Breda di Sesto San Giovanni e quella di Pistoia dove si fabbricavano i convogli ferroviari imbottiti di asbesto, i cantieri navali di Trieste e la Fincantieri di Monfalcone con centinaia di casi di mesotelioma (l'incidenza normale è di un caso all'anno per ogni milione di abitanti), la ex Sacelit siciliana e quella di Volla, in Campania, l'intera cittadina di Biancavilla, ai piedi dell'Etna, dove fino a meno di dieci anni fa lo sfruttamento di una cava ha diffuso polveri di amianto in ogni angolo, la ex fabbrica Fibronit di Bari, stabilimento in mezzo alle case, i cui residui di asbesto sono stati per anni scaricati in mare, cosicché a poco a poco le fibre si sono depositate su una spiaggia frequentata dai baresi.

Fra i risvolti di questa carneficina, uno tocca da vicino i conti dello Stato: la legge prevede una pensione privilegiata, ottenibile in un numero di anni inferiore al normale, o un assegno aggiuntivo per quanti abbiano lavorato in mezzo all'amianto per almeno dieci anni e per i loro congiunti superstiti. Ulteriore condizione: la richiesta deve avvenire entro cinque anni dalla cessazione del servizio. Una condizione capestro: il mesotelioma ha tempi di latenza lunghissimi, spesso oltre i 20 anni. Anche per questo si spiega il fioccare di vertenze giudiziarie e richieste di risarcimenti. Malgrado i limiti posti dalla legge, nel corso degli anni sono state presentate ben 607.764 domande, tramite Inail. Per ora ne sono state evase solo una parte (circa 253 mila, di cui molte respinte) e non si può escludere che dietro a questa montagna di pratiche si nascondano anche pressioni dei datori di lavoro desiderosi di alleggerirsi dalla manodopera in eccesso. Ma comunque numeri di tal fatta la dicono lunga sulle dimensioni sociali del fenomeno.

La legge del '92 resta ancora in larga parte disattesa: benché grandi quantità di amianto siano state rimosse, ne restano in giro per l'Italia più di 30 milioni di tonnellate. Per giunta la rimozione e il deposito in discariche speciali, come previsto dalle norme, sono tutt'altro che semplici e risolutive. Vi sono impacci burocratici, costi elevati e pericoli persistenti. Non solo perché capita che le ditte adibite alla bonifica raccolgano i pannelli e poi li gettino in discariche comuni. Anche le lastre sigillate entro teli di plastica e depositate nei siti speciali possono provocare guai seri. Sia perché al momento di confezionare i 'pacchi', soprattutto se il materiale è deteriorato dalla vetustà, può esserci dispersione di fibre, sia perché sul lungo periodo, quando gli agenti atmosferici penetrano nelle discariche ne possono uscire 'percolati', fluidi che diffondono le fibre nell'ambiente e nelle acque.

Si potrà mai uscire vittoriosi da questa guerra? All'orizzonte si profilano due iniziative che potrebbero fornire nuove armi per combattere i devastanti effetti della fibra killer, una sul terreno legislativo e un'altra su quello tecnologico. Il senatore diessino Felice Casson è il primo firmatario di un disegno di legge, attualmente all'esame della commissione Lavoro del Senato, che mira a integrare le norme del '92. "Viene estesa la platea dei soggetti risarcibili, anche sul piano previdenziale: non più solo i lavoratori delle industrie che trattavano l'asbesto, ma anche quelli che si occupano del suo smaltimento e tutti i cittadini che per motivi familiari o abitativi sono entrati in contatto con le fibre del minerale", spiega l'ex magistrato, noto per le sue inchieste in difesa della salute e dell'ambiente: "Non vi è più un limite di tempo per ottenere riduzioni nell'anzianità che dà diritto alla pensione, il beneficio viene modulato in relazione agli anni di lavoro a rischio ma spetta anche a chi vi è stato esposto per pochi mesi (la possibilità di ammalarsi, del resto, esiste anche per dosi minime di fibre inalate, ndr.). Vengono inoltre eliminati i limiti temporali per la richiesta di risarcimenti, stabilita la gratuità delle prestazioni sanitarie e dell'assistenza legale, fissati incentivi decennali per il risanamento degli edifici privati e molto altro ancora".
Sul piano tecnologico, proprio in Italia è stato messo a punto, da un docente dell'Università di Modena, Alessandro Gualtieri, un brevetto di valore mondiale per trattare l'amianto in forni ad altissime temperature. Permette di conseguire due risultati fondamentali. Spiega Gualtieri: "Il nostro forno consente il trattamento di pacchi completi di lastre di amianto, senza bisogno di rompere le confezioni di plastica sigillate né di macinare il materiale, ciò che provoca inevitabilmente dispersione di fibre. Al termine del ciclo termico il minerale diviene innocuo, con la completa distruzione delle parti fibrose, e può essere persino riciclato come materia prima per altri processi industriali (piastrelle, cemento, ecc.)". Se tali forni verranno realizzati presto e in numero cospicuo - il primo dovrebbe sorgere dalle parti di Balangero - potrebbero essere utilizzati in futuro anche per convertire l'amianto attualmente depositato nelle discariche speciali che, come si è visto, saranno anche speciali ma non sono affatto sicure al cento per cento.

ha collaborato Stefania Divertito

Dai persiani
a Marco Polo

L'utilizzazione dell'amianto si perde nella notte dei tempi. Lo usavano persiani e romani per cremare i cadaveri: le ceneri risultavano infatti più pure e candide. Nel suo 'Il Milione', Marco Polo racconta un particolare procedimento che permetteva di ricavare dall'asbesto filati e stoffe. Boezio, medico del Seicento, è probabilmente il primo a usare il minerale in alcuni preparati medicinali, un'utilizzazione che si svilupperà assai a lungo,

fino agli anni '60 del secolo scorso. Gli usi industriali iniziano alla fine dell'Ottocento, soprattutto nei trasporti: un grande impiego se ne fa nella metropolitana parigina, per coibentare le carrozze ma pure per i freni, e poi in quella londinese e nel transatlantico Queen Mary. L'Italia segue presto l'esempio, anche perché vi è una larga disponibilità del materiale che viene estratto soprattutto dalla miniera di Balangero, nei pressi di Torino.

Le principali applicazioni dell'amianto sono quelle dell'edilizia (intonaci, controsoffittature, coperture, ecc.), come isolante nelle centrali termiche, negli impianti frigoriferi e in quelli elettrici, nelle condutture degli acquedotti. Ma le fibre killer entrano ancor più direttamente nelle case poiché sono state impiegate in piccoli elettrodomestici come gli asciugacapelli, i forni, i ferri e i teli da stiro, i tessuti ignifughi per l'arredamento e per sipari di cinema e teatri. Addirittura vi si fabbrica sabbia artificiale per i giochi dei bambini, assorbenti igienici interni e, per chi avesse voluto aspirare ancor più direttamente una boccata di asbesto puro, entra in alcuni filtri per sigarette (ad esempio le Kent al mentolo).

2,2 milioni di tonnellate
in giro per il mondo

Buona parte del mondo ha messo fuori legge l'amianto, consapevole dei suoi effetti venefici. Ma in alcuni altri paesi lo si continua a produrre e a esportare ed è, anzi, un'attività particolarmente fiorente. In testa alla graduatoria troviamo la Russia, con 875 mila tonnellate nel 2004 e il 39,2 per cento della produzione mondiale. Segue la Cina con il 15,9 per cento del totale e il Kazakhstan con il 15,5. Anche un paese come il Canada non scherza e ne produce 200 mila tonnellate all'anno, superando il Brasile e lo Zimbabwe. L'estrazione va a gonfie vele: tra 2000 e 2004 è aumentata del 16,6 per cento in Russia, del 12,7 in Cina, di ben il 48,6 in Kazakhstan. In tutto il pianeta, secondo le stime dello United States Geological Survey, la produzione mondiale ammonta a 2,2 milioni di tonnellate. Allo smaltimento ci penseranno i posteri.