Piazza Santa Appollinare, inizio e fine di una storia lunga venticinque anni. A Santa Apollinare, a pochi passi da Piazza Navona, c'era la scuola di musica frequentata da Emanuela Orlandi

  

L'ultima volta è stata vista lì nel pomeriggio del 22 giugno 1983. Chiesa di Santa Apollinare, nella sua cripta è sepolto Enrico De Pedis, detto Renatino, indiscusso boss della Banda della Magliana morto ammazzato il 2 febbraio del 1990.

 Tutti i segreti sono così custoditi in quella tomba. Segreti che non riguradano solo le gesta della Banda della Magliana, ma anche tutto quell'intreccio di affari loschi che la gang romana ha tenuto con il sottobosco degli apparati dello Stato e non solo.

Ora entra in scena Sabrina Minardi, ex moglie del bomber della Lazio Bruno Giordano, madre di Valentina Giordano, la giovane protagonista, insieme al fidanzato Stefano Lucidi, del tragico incidente sulla Nomentana in cui morirono Alessio Giuliani e la sua ragazza Flaminia Giordani. Amante di De Pedis, colta da una crisi di coscienza ha deciso di raccontare quanto sa sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Lo fa citando luoghi e fatti. Parlando nel suo romanesco sboccato ricorda e a volte inciampa su date e nomi. Ma il suo «racconto è credibile» sostiene la Procura di Roma. «Inattendibile» sostengono invece gli avvocati Krog e Piromallo che assistono la famiglia Orlandi. Certo è che ora la «fuga di notizie» ha vanificato accertamenti e riscontri. E forse anche il raggiungimento della verità. Non solo, ma la testimone volontaria avrà necessità di essere tutelata. La supertestimone, per ora ha confermato la Procura, non beneficia di alcun regime di protezione, «non è indagata, così come nessuno altro è finito sotto inchiesta sulla base di quanto da lei stessa detto».

Protagonista di un passato avventuroso, Sabrina Minardi non avrebbe chiesto agli inquirenti nulla in cambio della sua lunga audizione.
Il racconto di Sabrina riporta a quei a giorni di giugno di 25 anni fa. «Io arrivai lì al bar Gianicolo con una macchina - racconta - Poi Renato, il signor De Pedis, con cui in quel tempo avevo una relazione, mi disse di prendere un'altra macchina, che era una Bmw e di accompagnare... cioè arrivò questa ragazza, una ragazzina, arrivò questa ragazza e se l'accompagnavo fino a sotto, dove sta il benzinaio del Vaticano, che ci sarebbe stata una macchina targata Città del Vaticano che stava aspettando questa ragazza. Io l'accompagnai: così feci. Durante il tragitto... non so quanto tempo era passato dal sequestro di Emanuela Orlandi... la identificai come Emanuela Orlandi... era frastornata, era confusa sta ragazza. Si sentiva che non stava bene: piangeva, rideva. Anche se il tragitto è stato breve, mi sembra che parlava di un certo Paolo, non so se fosse il fratello. Va bè, comunque, io quando l'accompagnai c'era un signore con tutte le sembianze di essere un sacerdote, c'aveva il vestito lungo e il cappello con le falde larghe. Scese dalla Mercedes nera, io feci scendere la ragazza: "Buonasera, lei aspettava me?" "Sì. Sì, credo proprio di si"». Su chi ordinò il sequestro, la Minardi non ha dubbi: «Quello che so è che (la decisione, ndr) era partita da alte vette... tipo monsignor Marcinkus... È come se avessero voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro».

Il racconto descrive luoghi e persone che all'epoca gravitavano nella «paranza» di De Pedis. Lo stesso Renato assomiglia in modo impressionante al «biondino» descritto come l'uomo che avvicinò Emanuela per offrigli un lavoro all'Avon. I verbali arrivano anche a dare indicazioni sulla «prigione»: «Un'abitazione, vicino a piazza San Giovanni di Dio, che aveva un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all'ospedale San Camillo». Di case così non ce ne sono molte: e una, vicina a giardini pubblici e collegata con un sotterraneo all'ospedale di Monteverde, esiste davvero.

Ma il racconto diventa meno preciso quando non descrive il giorno dell'«eliminazione». Sette mesi dopo la scomparsa, rivela la Minardi. Lei e Renatino vanno a pranzo a Torvajanica: dopo, invece di tornare a casa, Renatino le dice di cambiare strada e finiscono in un cantiere. «Mi fermai e arrivò Sergio con la sua macchina il quale portò quel bambino: Nicitra; il nome non me lo ricordo e a un certo punto misero in moto la betoniera. Vidi Sergio con una sacco per volta. E dopo chiesi a Renato: aho, ma che c'era dentro a quel... Ah, è meglio ammazzalle subito, levalle subito le prove, dice. E chi c'era?». De Pedis non risponde rivelerà tutto alla sua donna solo dopo essere stato stordito dalla cocaina e dal sesso. Ma in questa parte del racconto in tutti i suoi macabri dettagli, qualcosa non funziona. Infatti Domenico Nicitra, il bambino di 11 anni, figlio di Salvatore, imputato al processo per i delitti commessi dalla banda della Magliana, scomparve invece il 21 giugno 1993 assieme allo zio Francesco, fratello del padre. E De Pedis a quell'epoca era già morto, ucciso il 2 febbraio del '90. Quel sacco allora poteva contenere qualcun altro. Ma chi e perché Sabrina Minardi parla solo oggi? E soprattutto perché la fuga di notizie prima dei necessari riscontri. Il mistero accoglie altri dubbi.

Maurizio Piccirilli

 

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