di Thomas L. Friedman
Pechino dovrà allentare le briglia e fare molti progressi se vorrà essere un Paese davvero innovativo
Ho partecipato recentemente a un seminario sull'istruzione organizzato a Pechino dall'Asia Society, durante il quale gli educatori cinesi hanno esposto la loro 'nuova strategia nazionale'. L'obiettivo, come ha dichiarato il vice ministro della Scienza e della Tecnologia, Shang Yong, è di elevare questo Paese al rango di quelli più innovativi, entro il 2020. Mi sono detto allora: "È molto meglio un governo proiettato verso traguardi, di uno radicalmente avverso al progresso scientifico". Nello stesso tempo, ho provato un certo scetticismo.

La Gran Bretagna ha dominato il XIX secolo, l'America il XX, ora è la volta della Cina. Non c'è niente da fare. Mi dispiace, però non sono pronto a cederle questo primato. Per quanto sia riuscita, con immensi sforzi, a vincere l'analfabetismo e ad accrescere il numero di diplomati e di nuove università, continuo a credere che sia molto difficile sviluppare una cultura dell'innovazione in un Paese che continua a censurare Google: questo per me equivale di fatto a soffocare il pensiero e l'immaginazione. Si può sviluppare un'istruzione scientifica più avanzata, ma non una capacità d'innovazione a comando. Rigore e competenza, senza libertà, non permetteranno di andare oltre. La Cina dovrà allentare le briglie, senza perdere il controllo della situazione, se vorrà essere un Paese innovativo.

Ma se non potrà progredire senza cambiamenti molto più profondi, lo stesso vale anche per noi. Provate a chiedervi: se l'Iraq non fosse stato il tema predominante delle ultime elezioni americane, di che cosa si sarebbe discusso in alternativa? Probabilmente di questo: perché un imprenditore, in qualsiasi parte del mondo, paga gli americani per eseguire un lavoro altamente qualificato, quando esistono, ovunque, persone altrettanto istruite, nei Paesi in via di sviluppo, che prendono la metà dei nostri stipendi? Se non riusciamo a rispondere a questa domanda, in un'epoca in cui il lavoro di routine, compreso quello dei colletti bianchi, può essere sempre più informatizzato, automatizzato e trasferito in paesi lontani, allora, per dirla con Marc Tucker, presidente del National Center on Education and the Economy, "è difficile immaginare come riusciremo, alla lunga, a mantenere il nostro tenore di vita attuale".

C'è una sola risposta a un interrogativo del genere: in un'economia integrata su scala mondiale, i nostri lavoratori otterranno un premio solo se loro stessi o le imprese da cui dipendono offriranno un prodotto o un servizio innovativi, che richiede una forza lavoro qualificata e creativa per concepirlo, progettarlo, produrlo e commercializzarlo, ovvero capace di riqualificarsi continuamente. Non possiamo restare indietro rispetto agli altri paesi avanzati in ogni test scientifico, matematico o linguistico e a ogni livello di diffusione di Internet e pensare poi di disporre di una forza lavoro in grado di meritarsi stipendi elevati. La libertà, senza rigore e competenza, non ci porterà molto lontano.

Qualche giorno fa, il centro studi di Tucker ha pubblicato un rapporto intitolato 'Dure scelte o tempi duri', che propone una profonda revisione del sistema di istruzione vigente negli Stati Uniti, con un chiaro obiettivo: sfornare più lavoratori - dagli autisti dei corrieri privati agli ingegneri informatici - capaci di pensare creativamente. "La creatività si sviluppa quando persone che hanno acquisito competenze in due o tre campi usano la forma mentis applicata in uno di essi per ripensare in modo nuovo gli altri", leggiamo nel rapporto, che cerca di escogitare sistemi per "introdurre questo concetto in ogni grado di istruzione".

Ciò significa rinnovare una pedagogia elaborata nel '900 per chi doveva svolgere un lavoro di routine, riadattandola all'esigenza di formare persone capaci di immaginare cose prima inesistenti e di inventare campagne pubblicitarie e di vendita ingegnose, scrivere libri, fabbricare mobili, produrre film e progettare sistemi informatici "in grado di conquistare l'immaginazione dei consumatori e diventare indispensabili per milioni di persone".
Tutto questo è impossibile senza più alti livelli di competenze linguistiche, matematiche, scientifiche, letterarie e artistiche. Ma non abbiamo scelta, secondo Tucker, poiché siamo entrati in un'epoca in cui "la capacità di elaborare idee e concetti nuovi è il passaporto per un buon lavoro, e creatività e innovazione sono la chiave del successo". L'economia non è come la guerra. Tutti possono vincere. America, Cina, India e Europa hanno tutte buone chances. Ma il successo arriderà soprattutto ai paesi che sapranno sviluppare il miglior sistema di istruzione generale e sapranno formare il maggior numero di persone capaci di inventare e produrre cose che oggi neppure immaginiamo. La Cina deve ancora fare molti progressi per raggiungere questo traguardo. Ma anche noi.

'New York Times' - 'L'espresso' - traduzione di Mario Baccianini