Roma, in 3mila si autodenunciano

 

Andrea Camilleri, scrittore 

Il traffico scatenato per lo sciopero dei trasporti ha paralizzato Roma, ma non ha impedito il successo della manifestazione promossa dall’Arci: «Prendete le nostre impronte, lasciate stare i bambini rom e sinti».

 La provocazione, semplice ma efficace, ha visto cittadini comuni, parlamentari, personalità della cultura e dello spettacolo darsi appuntamento in piazza Esquilino a Roma per farsi prendere le impronte, da mandare al ministro degli Interni Roberto Maroni, in risposta al suo provvedimento che vuole la schedatura dei rom, a partire dai minori. Provvedimento in odore delle pagine più buie della storia novecentesca, secondo le parole di molti - tremila secondo gli organizzatori in sole due ore - che sono accorsi al gazebo per autodenunciasri e farsi schedare come gesto di protesta.

«Siamo umiliati», dice Nazareno Guarnieri, presidente nazionale della comunità Rom. «Il sentimento nei campi è di forte preoccupazione, siamo angosciati» ha proseguito il portavoce della comunità «vorremmo indietro la dignità per tornare a essere protagonisti attivi e propositivi nel confronto con le istituzioni».

Antonio Padellaro alla presa delle impronte, foto Unità
Antonio Padellaro, direttore de l'Unità
Indignato lo scrittore Andrea Camilleri, che ha una giovane amica rom (una bambina) che dovrà farsi prendere le impronte per forza: «Il surplus dell'umiliazione è questa cosa dei bambini, è veramente una doppia umiliazione». Poco più in là a farsi prendere le impronte, anche Dacia Maraini, anche lei denuncia l'intollerabilità di un atto apertamente razzista: «Se si vuol fare un censimento, ebbene, facciamolo a tutti, facciamolo noi».

Per lo scrittore e attore Moni Ovadia «è grave perseguire le colpe individuali scambiandole per colpe collettive. Se Gesù fosse nato oggi, sarebbe stato un rom». Per Ascanio Celestini «considerare come inferiori i rom rispetto a noi, e quindi schedarli, è un presupposto razzista dal punto di vista culturale».

Duri anche i toni dei parlamentari: «È un'idea vergognosa e culturalmente molto pericolosa, va fermata in tutti i modi» ha commentato il numero due del Pd Enrico Franceschini. «È un dovere civico essere qui, basilare, elementare», esordisce al suo arrivo l'ex ministro Livia Turco. Sulla stessa lunghezza d'onda emotiva di Rosy Bindi, che commenta «l'importanza fondamentale di essere qui, a questa manifestazione così bella di cui ringraziamo l'Arci».

Dario Franceschini alla presa delle impronte, foto Unità
Dario Franceschini, vicesegretario Pd

Il senso profondo della manifestazione lo riassume in modo molto efficace, il parlamentare Pd oltre che editorialista de l'Unità Furio Colombo, per il quale è «giunto il momento di mettersi in mezzo, dappertutto». La protesta è contro un «governo che tira fuori il peggio di noi» e, citando una vecchia conferenza americana di Umberto Eco: «Ogni paese ha un fangoso fondo del barile, se lo si scava viene fuori tutto quello che vogliamo». E poiché «rimestare il fondo fa venire fuori il peggio di noi, fa venire fuori la cattiveria»: ecco la necessità di intervenire in modo diretto e con urgenza.

Giovanni Russo Spena di Rifondazione comunista indica nella propaganda martellante sulla sicurezza la volontà politica di «indurre nella gente il bisogno di un nemico», su cui scaricare le frustrazioni dei problemi strutturali irrisolti del Paese, quelli seri. Dai salari, alle narcomafie, all'inflazione all'ambiente, fino ai livelli di convivenza civile - e di servizi - nelle città.

 

Fabio Mussi alla presa delle impronte, foto Unità
Fabio Mussi, Sinistra democratica
La manifestazione è andata bene ma la battaglia, anche culturale, è solo l'inizio. Il presidente dell'Arci, Paolo Beni, è contento. La provocazione culturale ha funzionato, la risposta c'è stata, ma è solo una prima mossa. Auspica che «l'iniziativa si moltiplichi e si diffonda in tutte le città» in modo che su questo tema si possa avviare una «interrogazione profonda». Come dicevano le persone subito dopo il gesto simbolico di farsi schedare, nel togliersi l'inchiostro: «Intasiamo il ministero degli Interni di impronte, le nostre». Allora davvero qualcosa cambierà.