Il tribunale di sorveglianza di Napoli ha accolto la richiesta del procuratore generale e della difesa ed ha concesso il differimento della esecuzione della pena a Bruno Contrada

 

 

L'ex poliziotto potrà lasciare il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere dove si trova detenuto dal 12 maggio dello scorso anno per scontare la pena di 10 anni inflittagli dalla Corte d'appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa.

 Gli sono stati concessi gli arresti domiciliari per gravi motivi di salute.
Contrada si stabilirà a Napoli, a casa di una sorella.

Contrada fu arrestato alla vigilia di Natale del 2002 ( un caso eccezionale) e dopo 31 mesi di detenzione preventiva presso il carcere militare di Palermo, riaperto soltanto per lui ha subito uno dei più lunghi processi della storia giudiziaria italiana. Dopo la conferma del giudizio d'Appello di condanna da parte della Cassazione nel maggio dello scorso anno, è ritornato in carcere il 12 maggio del 2007. Deve ancora scontare circa cinque anni. Al suo processo sfilarono una ventina di pentiti, che non riferirono alcun fatto al quale avevano partecipato direttamente ma del quale avevano appreso soltanto de relato da boss e mafiosi tutti deceduti.

In oltre 150 udienze, 139 uomini di stato testimoniarono a suo favore, ma il «de relato» dei pentiti convinse i giudici. La sua vicenda giudiziaria è rimasta per molti aspetti piena di ombre e dubbi, ed è rimasto il sospetto che le «disgrazie» giudiziarie di uno dei poliziotti più famosi dell'epoca iniziarono per lo scontro interno al Viminale fra le cordate che si opponevano all'ex capo della polizia Vincenzo Parisi che all'indomani della caduta del muro di Berlino voleva affidare al Sisde compiti antimafia, soprattuto per la ricerca dei latitanti, ridimensionando la nascente Direzione investigativa antimafia (Dia) sponsorizzata da Luciano Violante e dalla sinistra. Parisi difese apertamente il suo funzionario, ma il pool antimafia, guidato allora da Giancarlo Caselli, in decine di migliaia di pagine riuscì, con i pentiti, a farlo condannare.

 

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