Che all'estero i giovani trovino lavoro prima che in Italia, non è una novità. Sorprende un po' di più che un buon curriculum, anche in Italia, risulti spesso più utile che procurarsi una raccomandazione.

E anche le inserzioni sui giornali o su Internet possono essere una scelta vincente. Lo svela una ricerca del Censis per il World Social Summit, che si terrà a settembre organizzato dalla Fondazione Roma.

L'indagine ha riguardato i neolaureati che hanno trovato impiego nei primi tre anni dalla fine dell'Università. Certifica ciò che già si sapeva: lavorare all'estero può garantire da subito uno stipendio migliore. Fuori dall'Italia, il 73% dei neo-laureati guadagna più di 1.300 euro. Tra quelli che restano nel nostro Paese, solo il 35%. Addirittura, fuori dai confini italici il 43% dei lavoratori appena laureati va oltre 1.700 euro netti; solo il 9,2% da noi.

Per più di uno ex-studente su quattro il lasciapassare nel mondo del lavoro è stato l'invio del curriculum (per il 28% dei casi). Subito dopo, arriva la famosa «segnalazione» al datore di lavoro da parte di familiari, amici e conoscenti (12,6%), e poi concorsi pubblici (11,6%). All'estero c'è sempre l'invio del curriculum (25,7%) al primo posto mentre la raccomandazione scende al quarto rivelandosi efficace solo per uno studente per 10. Più diffusa è invece l'opportunità di trovare impiego grazie a inserzioni su giornali o via internet. In Italia olo il 9% dei neolaureati è riuscito a trovare impiego in questo mod. Poco efficaci gli stage: in Italia hanno portato un contratto solo al 6,4% mentre all'estero questa percentuale sale al 10,8% degli ex studenti.

Secondo lo studio, nel 2006 il 14,2% dei giovani italiani tra i 15 e 29 anni aveva avuto un'esperienza di studio o di lavoro all'estero. Ci sono infatti almeno 38.690 studenti italiani iscritti in facoltà universitarie straniere, oltre ai 16.389 impegnati nel programma Erasmus.

Non ci sono grandi differenze nei curricula degli assunti all'estero e in Italia. Molto cambia sul riguardo opportunità professionali. A parità di precarietà, i laureati italiani all'estero sono collocati su livelli mediamente più alti dei loro colleghi (32,1% contro il 17,1% di quanti lavorano in Italia è già quadro o funzionario). E soprattutto con un ben più alto livello retributivo.

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