di Alessandro Milan

 

Leone Massa lo ripete di continuo, come un mantra: «Articolo 35 della Costituzione, ultimo comma: la Repubblica tutela il lavoro italiano all'estero.

 La verità è che Gheddafi ha saputo difendere benissimo i diritti dei suoi cittadini, Berlusconi non ancora. Ci sono molti imprenditori, come il sottoscritto, che vantano crediti da Tripoli e non hanno mai ottenuto un euro».
Lo storico accordo Italia-Libia, siglato sabato scorso a Bengasi, non piace a tutti. Non a Massa, 76enne napoletano, che presiede l'associazione italiana per i rapporti italo-libici e dal 2000 porta avanti la battaglia di 21 aziende italiane creditrici per oltre 250 milioni di euro. Soldi che sono frutto di commesse mai incassate o di strutture sequestrate dal governo Gheddafi tra la fine degli anni 70 e l'inizio degli anni 80, quando il Colonnello iniziò ad avanzare pretese insistenti sui risarcimenti coloniali da parte dell'Italia. «Fu allora che iniziarono gli espropri» ricorda Massa, all'epoca titolare di un'impresa che costruiva impianti elevatori.
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«Io ho lavorato bene in Libia fino al 1982, poi mi sono state sequestrate le strutture da un giorno all'altro. In quel momento avevo commesse per 1 milione 152mila dollari». Massa ha portato avanti la sua causa anche nei tribunali libici e la Corte Suprema gli ha addirittura dato ragione: «Mi hanno riconosciuto crediti per 407mila dollari, anche se me ne spetterebbero 951mila, ma la verità è che non ho ancora ottenuto nulla». Da allora è un elenco di riunioni, di comitati tecnici italo-libici, di tentativi mai andati in porto di trovare un accordo.
Quella delle imprese italiane in Libia non è solo una battaglia economica. Dietro a ogni contenzioso c'è una storia umana, spesso di sofferenza, che Massa ricorda: «Le potrei raccontare vicende incredibili: un imprenditore, dopo che gli fu sequestrato tutto, tornò in Italia e venne rimproverato dalla famiglia che si trovò improvvisamente sul lastrico. Ha finito i suoi giorni come un barbone alla stazione Termini. Ne ricordo un altro di Figline Valdarno: i libici gli presero tutto e lo misero in carcere tre anni e mezzo con l'accusa di concussione. Tornato in Italia, poco dopo si tolse la vita. Conservo ancora l'ultima sua lettera in cui mi scrisse: "Lunedì prossimo compra la Nazione" dove avrei letto la notizia del suo tragico gesto. E che dire di Edoardo Seliciato: lavorava a Tobruk quando fu arrestato e accusato di attentare alla vita di Gheddafi. Sua moglie si incatenò davanti alla Farnesina e alla fine il governo italiano riuscì a farlo tornare ma in cambio concedemmo la libertà a tre libici. Seliciato non si è più ripreso da quell'esperienza traumatica ed è ancora oggi in cura».
Massa in questi anni le ha provate tutte per ottenere i crediti spettanti dalla Libia: «Ho parlato più volte con le istituzioni italiane e ho fatto parte di vari comitati tecnici. Una settimana prima dell'accordo siglato da Berlusconi ero in Libia per l'ennesima riunione. C'erano il nostro ambasciatore, il viceministro libico agli esteri e il viceministro all'economia. I libici continuavano a dire che la questione dei crediti è politica, che è inutile fare cifre e che ogni governo deve tutelare i propri cittadini. Beh, a quel punto io mi sono alzato e ho abbandonato la trattativa». Massa ne ha abbastanza di riunioni e di discussioni: «Nell'accordo siglato sabato scorso non c'è nulla che risolva la nostra situazione, tutto è rimandato a ulteriori negoziati. Ma ora basta: se entro l'autunno la politica italiana non ci darà una risposta denunceremo tutto, con documenti, perché vuol dire che non viviamo in uno Stato di diritto». Già, lo storico accordo Italia-Libia che pone fine a 40 anni di rapporti a corrente alternata tra i due Paesi: «Cosa ne penso? - commenta Massa - Dire che sono arrabbiato è poco. Sa, io non mi sono mai piegato. Nel 1969, quando la camorra mi occupò uno stabilimento, denunciai tutto in Procura e un anno dopo il mio fascicolo sparì. Da allora ho capito che devi sempre tenere la schiena dritta. E ho capito un'altra cosa: se paghi una volta, come fa ora l'Italia con la Libia, finirai per pagare sempre».