A Milano ci sono diciassettemila avvocati. Mille sono iscritti all’albo dei difensori d’ufficio.

 Non tutti, con licenza parlando, sono giovani e carini. E non tutti sanno parlare davanti ad una telecamera senza inciampare, senza perdersi nelle subordinate e aggrovigliarsi nelle consecutio temporum. Insomma, da un punto di vista puramente statistico, le possibilità che i destini di Silvio Berlusconi e di una come Chiara Zardi si intrecciassero erano pari a zero.
Invece, poiché il caso segue strade imperscrutabili, alle dieci di ieri mattina accade l'imprevedibile. E il presidente del Consiglio si ritrova difeso d’ufficio, davanti ai giudici milanesi, da una ventottenne fresca di laurea e di modi. Che dice, naturalmente, di essere sbalordita davanti a quel che l’è capitato. Ma catapultata in mondovisione se la cava senza una sbavatura, una frase fuori luogo, un’incertezza. E quando le chiedono se diventerà anche lei parlamentare, lancia indietro la frangetta e sorride: «Non credo proprio, è stato solo un giorno di gloria».
Il processo è quello per corruzione in atti giudiziari che vede imputato Berlusconi insieme all’avvocato inglese David Mills. Un processo difficile, segnato da una serie di asprezze: prima tra tutte la ricusazione del giudice Nicoletta Gandus, presidente del Collegio, accusata dai difensori del Cavaliere di essere priva - vista la sua conclamata militanza a sinistra - della serenità necessaria a giudicare il premier. Il processo, almeno per quanto riguarda Berlusconi, dovrebbe essere al capolinea: l’entrata in vigore del «lodo Alfano», la legge che sospende i processi alle cariche principali dello Stato, lo congelerà fino al termine della legislatura. Ma è in questo ultimo scampolo di processo che si innesca l’entrata in scena di Chiara.
Ieri i difensori del premier, Nicolò Ghedini e Pietro Longo, sono impegnati in Parlamento. Al loro posto in aula c’è un giovane collaboratore, ancora privo dell’abilitazione a indossare la toga. Si tratta solo di fissare una nuova udienza. Ma, codice alla mano, il giudice Gandus stabilisce che anche questo semplice incombente non può avvenire se l’imputato non ha un difensore. E inizia la caccia al legale d’ufficio. Prima in aula. Poi nei corridoi. Infine attraverso il call center dell’Ordine degli avvocati.
È a questo punto che entra in scena Chiara. Appena ha passato gli esami, due anni fa, si è iscritta all’elenco dei difensori d’ufficio. È la gavetta di chi non ha alle spalle lo studio di papà. «Un lavoraccio», ammette lei. «Più che difendere gli imputati il nostro ruolo di solito è mercanteggiare la pena», dice senza ipocrisie. È un lavoro che si fa nei piani bassi del palazzo, nelle aule delle direttissime, difendendo imputati senza soldi, senza casa, spesso senza volto. Così quando ieri la chiamano e le dicono che c’è da difendere Berlusconi «ovviamente ho pensato a uno scherzo. Poi ho visto la cancelliera agitatissima e ho capito che stava parlando sul serio».
In aula, la Zardi non sbaglia una mossa. «Chiedo i termini a difesa», dice, cioè il tempo necessario a studiare il fascicolo. Il giudice accoglie, e rinvia tutto a sabato prossimo. A meno di colpi di scena, quel giorno a difendere il premier non sarà più lei. Ma intanto si gode il quarto d’ora di celebrità. E lascia sulla giornata il marchio di una ragazza senza fronzoli («non sono su Facebook

perché non voglio che la gente si faccia i fatti miei»), fiera del suo lavoro in difesa dei consumatori (il sito di Liberazione racconta di un suo processo contro l’amianto in fabbrica) ma attenta a non sbilanciarsi né sul pubblico né sul privato («per chi voto e se sono fidanzata non lo vado a dire in giro»). In mattinata, nella foga dell’aula, si lascia scappare che a lei il «lodo Alfano» sembra una scelta giusta, ma nel pomeriggio riassetta quell’unico sbilanciamento («in realtà non l’ho detto»).
E quando le si chiede se, come le spetta, manderà una parcella al premier per l’udienza di ieri dice: «Certo, salatissima! No, scherzo, ci devo ancora pensare. E se gliela mando applicherò le tabelle dell’Ordine». Sveglia e carina com’è, non è detto che non si riparli di lei.