La Germania: «Si continua a trattare»

 

Si sta trasformando in una odissea, anche per i parenti in attesa di notizie, la vicenda dei turisti rapiti in Egitto, probabilmente da una banda in cerca di un riscatto.

Per due volte in una giornata lunghissima di lunedì sembrava che fossero stati liberati e invece, nella tarda serata di ieri, la delusione: i cinque turisti torinesi, i cinque tedeschi e la rumena, insieme con 7-8 operatori turistici egiziani sequestrati venerdì scorso nel profondo deserto sahariano, al confine tra Egitto, Libia e Sudan, sono ancora nelle mani dei rapitori e si trovano in territorio sudanese.

La giornata di lunedì si è dipanata tra mille voci incontrollate, annunci di liberazione puntualmente smentiti ed indiscrezioni che facevano trapelare la possibilità di un blitz da parte delle forze di sicurezza egiziane. Purtroppo niente di tutto questo: solo in serata è venuta la conferma ufficiale dell'Egitto - ed anche della Farnesina e del ministro degli Esteri Franco Frattini - che nulla era cambiato da stamane e che le trattative proseguono.

Era stato l'ambasciatore d'Italia al Cairo, Claudio Pacifico, a precisare una prima volta che i turisti non erano stati liberati spiegando che la notizia è stata data con un telefono satellitare da uno dei rapiti - l'operatore turistico che ha organizzato la spedizione, Ibrahim AbdelRahim, titolare della compagnia di viaggi nel deserto Aegyptus - alla moglie Kristen Butterweck-AbdelRahim, che si mantiene in contatto con le autorità egiziane e quelle diplomatiche italiane e tedesche.

La precisazione dell'ambasciatore faceva sfumare le speranze che nel pomeriggio erano state alimentate in modo via via più consistente da informazioni provenienti dalla tv satellitare del Qatar, Al Jazira, e poi da altre fonti, secondo le quali i turisti e i loro accompagnatori erano stati letteralmente spogliati di tutti i loro averi e delle loro auto - su 4 jeep gliene avrebbero lasciata una sola - e poi rilasciati. Qualche fonte aveva dato il gruppo già in viaggio dal sud verso Assuan.

In serata una nuova illusione, questa volta venuta da una fonte ben più autorevole della tv satellitare del Qatar: «i rapiti sono stati liberati, sono in salvo e stanno tutti bene», ha clamorosamente annunciato il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Abul Gheit da New York dove si trova per partecipare all'Assemblea generale dell'Onu. Ore di illusione, di frenetici contatti tra Roma, New York ed il Cairo, e poi, faticosamente, le prime smentite, sia dall'Egitto che dall'Italia.

Abbiamo sbagliato, dicono in sostanza dal Cairo, le trattative vanno avanti e i turisti non sono liberi.

In questo clima non poteva mancare neanche l'incertezza sulle richieste dei sequestratori: sembra smentita infatti anche la notizia della richiesta di un riscatto di 15 milioni di dollari per tutti i rapiti. Pare che di milioni ne sarebbero stati richiesti sei (qualcuno sale fino a 8).

Smentita inoltre una voce secondo la quale a questi sei milioni si sarebbe aggiunta la richiesta al governo tedesco della liberazione di un sudanese imprigionato in Germania, appartenente forse a qualche formazione politica. «È una grossa bufala», hanno risposto in merito fonti dei servizi segreti interpellate al Cairo, di solito non facili a commenti.

Di certo c'è un'attività ininterrotta e costante di una «cabina di comando» operativa congiunta tra le ambasciate italiana e tedesca al Cairo, così come la costituzione di una cellula di crisi del ministero del turismo egiziano, della quale ha dato notizia lo stesso ministro Garana. «I rapiti sono in Sudan, nell'area denominata Karkur Talh - ha detto il ministro all'agenzia di stampa ufficiale, Mena - e i rapitori hanno negoziati in corso con il governo tedesco su una somma di danaro per il riscatto. Le cifre riportate dai mass media - ha aggiunto - oscillano tra gli otto e i 15 milioni». Garana ha aggiunto che egli stesso sta seguendo personalmente gli sviluppi della vicenda, 24 ore su 24, in collegamento con tutte le autorità straniere coinvolte.

Da fonte tedesca si è appreso anche che alcune autorità egiziane avrebbero pensato di avviare un'azione di forza per liberare gli ostaggi, ma sarebbero state dissuase dagli interlocutori stranieri. «È buffo che si pensi ad un'azione di forza - ha commentato una fonte diplomatica al Cairo - quando in quella zona la sorveglianza del territorio è impossibile e non vi sono strumenti adeguati per individuare il punto in cui rapitori e ostaggi si stanno muovendo».

Conosciuta al grosso pubblico per alcune immagini del film «Il paziente inglese», sulla vicenda di un militare britannico durante la seconda guerra mondiale, l'area di Jebel Uwainat, una montagna di 1934 metri d'altezza, che segna grosso modo confini molto labili tra Egitto, Sudan e Libia, è frequentata da carovanieri, trafficanti di migranti clandestini e spedizioni di turisti avventurosi. «Otto giorni di Sahara, attraversando il Deserto Bianco ed alla ricerca di grotte con graffiti rupestri e monumenti che ricordano le gesta degli inglesi che in quella zona avevano un campo di atterraggio durante la guerra è un'esperienza irripetibile», è scritto in uno dei blog di esploratori dilettanti appassionati di deserto.