Ci sono i fiori del «piccolo Matteo», poggiati sulla bandiera tricolore. Ci sono le rose e i gigli della famiglia, dei parenti, degli amici ma anche di quei genovesi che si sono presentati, richiamati nella cappella della caserma di Bolzaneto dal dolore e dal rispetto di cui questa storia tragica trabocca, pur senza conoscerne il protagonista, anzi la vittima.

 E ci sono le lacrime di tanti, tantissimi poliziotti senza nome e senza stellette che sfilano a testa bassa, chi da solo chi mano nella mano con la moglie, compagna di tante notti insonni, e in qualche caso con un bimbo o una bimba in braccio.

La camera ardente in onore e in ricordo di Daniele Macciantelli, il poliziotto di 36 anni ucciso con una coltellata a tradimento da uno squilibrato in una casa di Pontedecimo giovedì sera, è stata questo, per tutta la giornata di ieri, alla vigilia dei funerali che saranno celebrati stamane alle 9 nella cattedrale di San Lorenzo dall’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco. È stato un ritorno all’unità e all’orgoglio di corpo, per la polizia genovese, e al contempo una grande anche se discreta ma sincera dimostrazione di gratitudine della città verso i suoi eroi silenziosi.

Eroi come quei poliziotti che lavorano ogni giorno e ogni notte con serietà e impegno, in condizioni limite, mettendo spesso del proprio per colmare le lacune lasciate dallo Stato. Agenti lasciati a fronteggiare a viso aperto situazioni potenzialmente rischiose, rese rischiose da leggi che molti, qui giudicano inadeguate e da servizi pubblici spesso carenti. Come capita, ad esempio, per le persone con problemi di salute mentale, seguite sì dalle Asl ma lasciate, perché non è possibile fare altrimenti, in ambienti familiari spesso connotati da disperazione e impotenza.

Nel silenzio della camera ardente per Daniele Macciantelli riecheggiavano questi pensieri, anche ieri. Incredulità, indignazione, disperazione per una morte senza senso come senza senso era la violenza che l’ha causata. Sentimenti comuni a tanti agenti che, dopo le autorità, che hanno visitato la salma sabato, hanno cominciato a raggiungere la caserma del Reparto mobile alla spicciolata, quasi tutti senza divisa, soprattutto ieri, stretti attorno alla famiglia, al fratello, alla fidanzata la barista Loredana Arena.

Sue le parole più toccanti e al contempo indignate, pronunciate con misura sì ma anche con determinazione: «Quel ragazzo deve essere punito per ciò che ha fatto. Per la società non era un pazzo, visto che andava in palestra, giocava a calcio, usciva di casa liberamente. Per colpa sua il mio Daniele non c’è più, a causa sua Daniele è morto». La giovane ha gli occhi lucidi mentre guarda la salma del suo uomo, coperta dalla bandiera tricolore e vegliata dal picchetto d’onore di due colleghi.

«Stavamo insieme da quattro anni - racconta - ed era giunto il momento di avere un figlio nostro. Me lo aveva chiesto l’estate scorsa. Sempre più spesso negli ultimi tempi parlavamo di matrimonio. Io ho due figli, che lui aveva preso ad amare come fossero i suoi. Daniele era un compagno eccezionale, discreto e generoso, gentile, amorevole, galante, premuroso, sempre presente. Non posso credere che ora non ci sia più».

Loredana Arena e Daniele Macciantelli si erano conosciuti nel bar dove la donna lavora, in piazza Paolo da Novi alla Foce, non distante dalla questura. «Lui era silenzioso e riservato - racconta la barista - Veniva a prendersi il caffè, si sedeva in un angolo e si nascondeva dietro al giornale. Ma io sapevo bene che veniva per me, per vedermi. E così abbiamo iniziato a parlare, a conoscerci. Tra noi è sbocciato l’amore, un amore vero e grandissimo».

Tutto finito con una coltellata vibrata a distanza ravvicinata, improvvisamente, al culmine di un servizio rischioso ma come tanti, nella casa dove era stata segnalata una situazione di tensione in famiglia, dove un giovane squilibrato si era asserragliato impedendo ai genitori di entrare. «Daniele non sarebbe dovuto essere lì...», si limita a sospirare la fidanzata. In effetti nell’abitazione di Danilo Pace e della madre erano già intervenuti gli agenti di una volante. Questi avevano tentato di chiedere alla questura dei rinforzi ma non erano riusciti a mettersi in contatto con la centrale operativa. Allora avevano chiamato direttamente al telefonino uno degli agenti di una pattuglia del reparto prevenzione crimine del Reparto mobile, che sapevano essere nelle vicinanze. Tra loro Daniele Macciantelli, senza saperlo, andava incontro al suo tragico destino.

 

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