«Oggi? Col detersivo abbiamo vinto una bicicletta e un forno.

 Ma lei, mi scusi, per quale giornale lavora? Perché tutta questa pubblicità non aiuta la nostra attività. Se la voce si sparge, arriva la concorrenza e ci ruba il lavoro». Carmela Giardina ha 49 anni, vive a Canicattì, in provincia di Agrigento, un’area dove la disoccupazione (43,5%) uccide la gioventù e i sogni (con gli stagionali si arriva a quota 61,4%). Eppure la sua è la storia di necessità che fa virtù, la dimostrazione vivente che ognuno può diventare imprenditore di se stesso, che crederci serve davvero e un mucchio di altri luoghi comuni.

Sulla carta, in casa Belluardo, entrano 250 euro al mese, la pensione di invalidità del marito di Carmela, l’unico che porta un reddito certificato in famiglia. Con tre figlie da crescere (due si sono felicemente sposate) dire che la vita rischiava di essere dura per queste «piccole donne» disoccupate sarebbe un eufemismo. Così mamma Carmela, casalinga, ha trovato la sua strada: il gioco. Niente a che fare con chi si rovina con l’azzardo. Lei ha capito che partecipare a quiz, attaccarsi al telefono durante i programmi tv, fiondarsi al supermercato e passare il pomeriggio a ritagliare e raccogliere punti può trasformarsi in un lavoro in grado di sfamare cinque bocche e - perché no - di trasformare una noiosa vita di provincia (ancor più noiosa quando si è disoccupati) in una frenetica full immersion imprenditoriale.

Mamma Carmela ha diviso i compiti: Elisabetta, 28 anni, è la centralinista di casa. Sta inchiodata al telefono per prendere la linea - «impresa non da poco», precisa mamma - e tenta di partecipare ai programmi tv a premi. Giovanna, 34 anni, è la donna del computer - «abbiamo vinto anche quello dieci anni fa e ancora funziona» -. Lo usa per andare a caccia di concorsi e opportunità. Eleonora, 22 anni, va e viene dai supermercati. A lei spetta l’incarico di girare città e provincia. «Oggi ha comprato quaranta bottiglie di detersivo, per esempio. Abbiamo un magazzino per tenere dentro tutte queste cose e i premi che vinciamo».

I premi sì: perché col proprio «lavoro» la famiglia è riuscita a garantirsi ricariche telefoniche, buoni benzina, radiosveglie, orologi d'argento, monete d'oro, frigoriferi, computer, barche, forni a microonde, lavastoviglie, moto, macchine fotografiche, navigatori satellitari, televisori, anelli di pietre preziose. E un’automobile pure. «L’ho vinta in un centro commerciale di Caltanissetta. È una Micra 1200 della Nissan. Quella volta mi sono portata a casa anche 62 macchine del caffè Moka Espresso e due televisori al plasma», dice Carmela.

Coi premi, infatti, non solo in casa Belluardo si riesce ad arredare l’abitazione, a mangiare («abbiamo gli armadietti pieni di merendine, chissà mai quando le finiremo»), a godere di tutti i comfort offerti dalla tecnologia, ma si riesce anche ad avere liquidità. «Il metodo è semplice - spiega la mamma -. Vendiamo i prodotti di troppo. Tanta gente ormai sa cosa facciamo. Ci chiama e ci dice: che ci offrite oggi?».

Da perfette libere professioniste le quattro donne di famiglia non hanno certezza degli incassi mensili. In puro stile «Mulino Bianco» tengono una cassa comune dalla quale ognuna attinge senza problemi in base alle proprie esigenze. «Tra quindici giorni dovremo rallentare l’attività. Le ragazze partono per un viaggio premio negli Stati Uniti», spiega Carmela. E non è affatto una novità. Cuba, Capo Verde, Crociere sul Nilo o più banalmente Sardegna, Toscana. Tutto all inclusive, «ci mancherebbe altro», precisa Elisabetta. Che pure a un certo punto si fa prendere dalla malinconia: «Certo che a noi piacerebbe lavorare davvero. Anche noi abbiamo dei sogni, ma qui realizzarli è un miraggio. Io vorrei avere il mio lavoro e semmai fare questa cosa come passatempo. Ma fino a che la situazione non cambia...».

Intanto la manager di famiglia taglia corto. «Basta pubblicità, così ci roviniamo la piazza. Se siamo troppi a partecipare, io smetto di vincere». Mamma Carmela in quindici anni ha imparato: è la dura legge della concorrenza.

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