Segnale forte ai leader: gli slogan e gli striscioni raccontano il disagio e la protesta crescente di milioni di italiani. Molte le analogie, a ruoli invertiti, con la manifestazione di Berlusconi del 2006 contro il governo Prodi

 

 

Finalmente, in piazza. Presto o tardi? L'Altan di giugno: "Si va in piazza in autunno" "A che ora?". Il Massimo Cacciari di ieri: "E' una manifestazione fatta con cinque mesi d'anticipo". Sembra sempre impossibile mettere insieme le tante anime del centrosinistra. Ma Veltroni c'è riuscito. Presto o tardi, erano moltissimi, una marea che ha riempito l'enorme Circo Massimo oltre ogni previsione.
Il Partito Democratico, con appena un anno di vita, per giunta assai travagliata, a soli sei mesi da una sconfitta tremenda e in fondo a un tunnel di depressione, ha dimostrato, anzitutto a sé stesso, di poter mobilitare più persone di qualsiasi altra forza politica europea e forse occidentale. Per il Pd la giornata di ieri vale come l'atto fondante delle primarie e forse di più. E' il segnale forte dell'elettorato di andare avanti, magari con più coraggio. Molto più coraggio. E perché no? Con un po' d'allegria.
La piazza del 25 ottobre ha due soli paragoni possibili negli anni recenti. Con altre due piazze della capitale che hanno cambiato il corso della storia: la manifestazione della Cgil nel marzo del 2002 e il comizio di Berlusconi a Piazza San Giovanni nel dicembre del 2006. Il parallelo con la piazza di Cofferati ha ossessionato, com'era ovvio, la vigilia. E' lo stesso il teatro, d'immensa suggestione, il Circo Massimo. E' lo stesso il clima politico. Il governo Berlusconi viaggiava sulle ali di una lune di miele seguita a un'ampia vittoria, l'opposizione pareva annichilita. E' identico l'organizzatore, il mitico Achille Passoni, ex Cgil e ora senatore Pd, una specie di mago delle piazze.
Perfino l'ingombrante presente di Sergio Cofferati nel retropalco, garantiva il tocco decisivo di revival. Quella manifestazione, come questa, fu la risposta coraggiosa e vincente di una grande forza in grave difficoltà, la Cgil, scelta dal governo dell'epoca come capro espiatorio della crisi e martellata da una poderosa campagna mediatica. Il successo della giornata rovesciò il clima politico, decretò la fine della luna di miele governativa.
Dimostrò la fragilità del decisionismo berlusconiano quando si tratta di passare dall'immagine, dalla facciata, alle azioni concrete e serie nel corpo sociale, come la sciagurata guerra sull'articolo 18.
In realtà sono molte anche le analogie, sia pure a ruoli invertiti, con la San Giovanni del 2006. Un capolavoro politico di Berlusconi, fra i più notevoli della sua parabola. Nel momento di maggiore crisi del centrodestra, a pochi mesi dalla sconfitta elettorale e in piena bagarre dentro il Polo, con Casini che manifestava altrove e parlava apertamente di fine del berlusconismo, l'ormai settantenne Cavaliere rovesciò il tavolo con un colpo spettacolare. In un solo giorno dimostrò da un lato agli alleati l'inevitabilità della propria leadership e dall'altra all'avversario l'intatto fascino esercitato dal suo populismo su milioni d'italiani. "L'asso pigliatutto" era il titolo del commento di Eugenio Scalfari. San Giovanni fu il primo e decisivo passo di un'efficacissima strategia che riportò Berlusconi a Palazzo Chigi in appena un anno e mezzo.
Walter Veltroni non ha oggi all'interno del suo campo la forza e l'ascendente del Berlusconi del 2003 e il suo avversario è assai più compatto e deciso, rispetto all'arlecchinesca coalizione che sosteneva, si fa per dire, l'ultimo governo Prodi. Ma la folla del Circo Massimo gli ha fornito uno strumento formidabile per cambiare la storia. A patto di servirsene. I temi, le parole, gli slogan erano ieri davanti ai suoi occhi. Scritti sugli striscioni, urlati dalla gente, sottolineati dagli applausi ogni volta che il discorso dal palco li toccava o sfiorava.
Là davanti. Non dietro, sul palco dov'era schierata la nomenclatura e dove da quindici anni si esaurisce il dibattito politico del centrosinistra. Ma fra le persone normali. Come nel 2002 il governo Berlusconi sta scivolando sulla buccia di banana di una battaglia ideologica. All'epoca fu l'attacco al sindacato, attraverso l'insensato (anche da un punto di vista economico) assalto all'articolo 18. Oggi il governo è partito alla guerra contro il mondo della scuola, considerato riserva di caccia della sinistra.
Senza rendersi conto di aver creato in poche settimane un fronte di protesta assai più ampio e trasversale del previsto. Un fronte che va dagli studenti universitari ai professori, ai maestri, fino al cuore delle famiglie. Non è una lotta politicamente etichettata. Al Circo Massimo c'erano più giovani del solito ma sarebbe truffaldino sostenere che vi fossero masse di studenti, semmai molti insegnanti e genitori mobilitati in questi mesi contro i tagli scolastici. E tuttavia la protesta della scuola è politica, vera politica.
Altrettanto politico è il disagio crescente di milioni d'italiani né di destra né di sinistra che si vedono ogni giorno scippare un pezzo di stato sociale pagato con le tasse, per finanziare improbabili ricette da vecchio capitalismo di stato, rottamazioni, salvataggi di banche, ponti in odore di mafia e oscure cordate tipo Alitalia.
Basta ascoltare il disagio. "Ascoltare" è uno dei verbi più usati nei discorsi dell'idolo di Veltroni, Barack Obama. Non solo di Veltroni. "Obama, Obama" è il grido che ha salutato ieri il bellissimo, appassionato discorso di Jean Renet Bilongo, un uomo del Camerun che vive a Castel Volturno. Il genio del senatore Barack Obama è stato l'aver ascoltato per anni il disagio del ceto medio e averlo tradotto in politica, riuscendo a far passare soprattutto un concetto, uno solo ma decisivo: l'inadeguatezza dei repubblicani ad amministrare la crisi economica.
Ora, l'inadeguatezza di Berlusconi è un dato scontato in tutto il mondo, tranne che in Italia. Nella battuta più felice del discorso, Veltroni ha fatto notare che se Merkel, Sarkozy o Gordon Brown avessero detto le stesse follie sparse dal nostro premier lungo tutta la crisi, ci sarebbero state reazioni enormi all'estero. "Mentre se le dice Berlusconi non succede nulla, perché sanno chi è". Lo sa anche il quaranta per cento degli italiani. Bisogna convincere qualcun altro. Da oggi sarà un po' meno difficile. In ogni caso la risposta della piazza dice che non è impossibile.

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