Momenti di commozione nell'ultimo giorno del congresso. Il presidente della Camera affronta temi difficili, non tutti lo apprezzano. Tutti d'accordo, invece, sui valori e l'impegno da portare nel Pdl

 

ROMA - Chi l'ha vista come una spinta decisa verso il futuro, chi l'ha presa male e non l'ha capita; di certo si può dire che Gianfranco Fini ha dato una bella scossa al congresso di An e la reazione della platea dei delgati è venuta di conseguenza.

 Applausi, sì, ma solo sui temi tipicamente di destra, complessivamente tiepido quello finale (tanto che La Russa è costretto a chiedere un'ovazione-bis), abbracci abbastanza di circostanza e solo un po' di commozione tra vecchi amici che chiudono una lunga esperienza di decenni e, comunque, non si separano. Ma il discorso di Fini che ha concluso l'ultimo congresso di An è forse volato un po' troppo alto e lontano per i gusti della platea.
Il congresso era certamente disponibile ad accettare lo scioglimento nel Pdl, pronto a sentirsi spiegare che la fusione, dopo 15 anni "di battaglie in comune", dopo la manifestazione del 12 dicembre e dopo le ultime vittoriose tornate elettorali, era nei fatti. Meno propenso, in verità ad ascoltare le profezie del presidente della Camera sulla società "multietnica e multireligiosa" dei prossimi decenni. "La nostra stella polare è l'amore per questa terra, per la Patria" dice Fini e tutti si spellano le mani; "Una società multietnica ci pone problemi che non si possono risolvere con lo scontro di civiltà" continua il leader e la gente si guarda poco convinta. Roberto Menia, l'unico che, ieri (tra sentiti applausi) ha detto di non essere d'accordo con lo scioglimento del partito, oggi è altrettanto poco convinto delle indicazioni di Fini: "Discorso alto, di grandi contenuti - conviene - Ma adesso, lui torna a imbalsamarsi alla presidenza della Camera e noi ci sciogliamo nel Pdl. E Fini non ha spiegato perché dobbiamo finire in questo modo". Quindi? Quindi, alla fine, Menia preferisce l'umanesimo identitario" di Alemanno alla visione multiculturale del futuro disegnata da Fini.
La seconda giornata dell'ultimo congresso di An vive proprio su questi temi. E nella grande sala della Fiera di Roma appare palpabile la differenza tra Fini e i suoi antichi "colonnelli" felici del grande passo nel Pdl mentre lui, che pure l'ha costruito, lo riempe di contenuti tanto importanti quanto difficili da digerire. La commozione che tutti volevano spiare c'è stata, ma abbastanza contenuta. L'ha portata Mirko Tremaglia, all'inizio con un discorso sugli italiani all'estero e col ricordo del figlio Marzio prematuramente scomparso, l'ha ammessa lo stesso Fini, dopo la conclusione quando qualche lacrima gli ha rigato le guance mentre scendeva la scaletta verso la paltea e verso l'abbraccio della sua compagna Elisabetta Tulliani: "Sono veramente svuotato, mi sento come dopo una difficile immersione subacquea", ha spiegator. "Non è stato facile - ha ammesso - E' stato un discorso difficile, ma l'ho fatto con convinzione. Sono stati giorni di tensione ed emozione. Ora, dopo un'ora e dieci di discorso a braccio, vado a riposarmi. E' stato bellissimo".
Ma il resto del congresso è vissuto tra lo scontro più o meno esplicito tra schemi diversi, scontro che, ovviamente, avviene su un terreno comune: quello della decisione di entrare nel Pdl con una propria identità e di portare nel nuovo partito l'impegno, la storia e la capacità di militanza della destra italiana.
C'è una bella differenza, a dirla tutta, tra Alemanno che, pur ammonendo sulla necessità di evitare "l'abisso xenofobo" indica la questione dell'identità culturale italiana per creare un "umanesimo nuovo" cui gli immigrati devono adeguarsi e Fini che descrive una società con dentro tante diversità che il nuovo partito dovrà gestire (insieme agli altri partiti che sono "avversari" e non "nemici") costruendo le strade per evitare lo "scontro di civiltà". E c'è differenza tra Gasparri che spiega come, in un prossimo futuro, si parlerà di "destra" e non più di "centrodestra" per indicare il Pdl e Fini che snocciola a uno a uno i valori del Ppe (a partire dal primato della dignità della persona) come riferimenti per il domani. Poi, è vero, tutti sono d'accordo sul fatto che la fusione andava fatta perché, dopo 15 anni di lavoro in comune, fra i due partiti c'è identità, sul fatto che il Pdl non dovrà essere un partito di organigrammi ma di impegno, che non avrà un "pensiero unico", che la sinistra ha sbagliato tutto e la destra, adesso, ha spazi enormi in cui muoversi, che non dovranno esserci correnti e che Berlusconi è il leader riconosciuto.
E Fini? Tutti dicono, giustamente, che Fini non ha bisogno di regole e di statuti per essere riconosciuto come leader dovunque si muova. Ma, poi, c'è, appunto, chi lo vede "imbalsamato" alla Camera, chi proiettato in Europa a costruire grandi scenari... Pochi sembrano aver capito cosa andrà a fare davvero Fini nel Pdl.
Il resto sono formalità e adempimenti. La Russa fa votare il documento con il quale An si scioglie e, insieme a Forza Italia e ad altri, costruisce il nuovo partito. Poi, una ventina di punti (dal quoziente familiare, alla riforma presidenziale, dall'espiazione delle condanne nei paesi d'origine per gli stranieri alla libertà d'espression e all'università) che An intende proporre, tra una settimana al congresso fondativo del Pdl.
In serata, Berlusconi (che aveva mandato un sentito messaggio al congresso) fa sapere di aver apprezzato l'accenno di Fini a "mettersi tutti in discussione, a cominciare da me". Ai suoi collaboratori, il premier avrebbe detto: "Esattamente il mio pensiero: l'era della nomenclatura è finita". Poi, una telefonata a Fini per manifestargli apprezzamento per il discorso e per parlare del congresso del Pdl. Quanto al pensiero unico, la risposta è venuta da Schifani ("non c'è mai stato").
A Berlusconi, si dice, sembra non sia piaciuto il passaggio sullo "sdoganamento". "Nessuno ci ha fatto regali, nessuno ci ha sdoganati - ha detto Fini - E' stata la forza delle nostre idee". Il premier avrebbe preferito un ringraziamento. Ma forse, uno dei punti di maggiore distanza, è la riforma istituzionale: Berlusconi vorrebbe un Parlamento "legicificio", Fini lo vede più agile e snello (una sola Camera) ma con un forte ruolo di controllo sull'esecutivo.

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