Tracciato il solco, Roberto Maroni lo difende. La linea dei respingimenti degli immigrati clandestini «continuerà finché gli sbarchi non cesseranno», ha annunciato ieri il ministro dell’Interno all’Aquila, alla festa della Polizia.

Anche perché, ha aggiunto, oltre a essere «in linea con le normative europee e i trattati internazionali», questa è una condotta «efficace e largamente condivisa dagli italiani». Insomma, «chi non è ancora entrato nelle acque territoriali italiane verrà rimandato nel suo Paese di provenienza, chi entra nelle nostre acque verrà accolto come sempre, valutando se ha i requisiti per rimanere in Italia», ha spiegato Maroni rispedendo al mittente le accuse ricevute (e non solo dall’opposizione) per la sua linea di fermezza. «Non c’è violazione di norme, le critiche sono immotivate, frutto di mancata conoscenza o addirittura di malafede. E non ci toccano proprio», ha tagliato corto.
Al fianco di Maroni si è schierato il collega di partito e di governo Roberto Calderoli. «Mettiamoci in testa che non si può pretendere che l’Italia, per la sua conformazione geografica, debba farsi carico del Sud del mondo e della sua povertà. Il problema va affrontato a livello europeo e internazionale e non è certo con il falso buonismo che gli si dà risposta, ma con il rigore sì», ha scandito con la ruvida chiarezza che gli è abituale il ministro per la Semplificazione Normativa, aprendo ieri a Vicenza gli Stati Generali della Lega Nord.
«Non capiamo di che cosa si lamentino le Nazioni Unite a proposito del respingimento degli immigrati se si pensa che fino al 2006 la presidenza di turno della Commissione Onu per i Diritti umani era stata affidata alla Libia – ha poi aggiunto polemicamente –. Quindi, se l’Onu le aveva dato questa presidenza, non si vede perché oggi strepiti nei confronti di chi ha riportato i migranti là da dove erano partiti. Li abbiamo riportati da chi per le stesse Nazioni Unite era il massimo esponente dei diritti umani... Non si può insomma farla sembrare una deportazione in Siberia», ha ironizzato strappando un sentito quanto scontato applauso alla «sua» platea in verde.
Una due giorni, quella vicentina del Carroccio, per dar modo al movimento di valutare il cammino percorso quest’anno nella duplice veste di «scorta» degli alleati di governo, ma anche di soggetto sempre pronto (nonché fiero) a rivendicare e mai tradire la propria identità. Un tiremm innanz in salsa padana che nelle ultime consultazioni elettorali, risultati alla mano, sembra peraltro aver dato piena ragione alla Lega. Lasciandola semmai alle prese – i più sinceri tra i suoi esponenti, anche se solo «anonimamente», lo ammettono – con i problemi di una crisi di crescita. Crisi di uomini, più che di mezzi.
Calderoli ha anche rintuzzato chi continua a insistere parlando di prese di posizione vaticane contrarie alla politica della Lega. «Semmai sono posizioni di singoli, nessuno dei quali ha mai parlato a nome della Santa Sede». Quanto alla boutade del collega Matteo Salvini, circa mezzi pubblici da riservare ai soli milanesi, ha detto di non averla condivisa, aggiungendo però che «il problema resta. Bisogna mettersi nei panni di chi ogni giorno ha il diritto di prendere bus e metrò per andare a lavorare, senza per questo dover rischiare violenze o rapine». E ha citato a esempio il sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, che ha messo i vigilantes sui mezzi. «Noi vorremmo esportare questo modello perché funziona e in più si autofinanzia grazie all’aumento degli utenti».

 

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