Sono elezioni nazionali, gli italiani anche questa volta devono fare una scelta di campo...».

Il Cavaliere rompe gli indugi e si getta a capofitto nella mischia, con l'obiettivo di trasformare le regionali in un referendum pro o contro Berlusconi. Idea coltivata nei momenti bui degli strascichi imbarazzanti del caso D'Addario, dalle tensioni con Fini e dello schiaffo della Consulta sul lodo Alfano. Quelli, a ben ricordare, che fecero squillare il campanello d'allarme dei sondaggi prima dell'aggressione di Piazza del Duomo. Oggi, a dispetto del «68,3%” di gradimento che sbandiera il premier, il consenso reale torna a scricchiolare e Palazzo Chigi teme che l'effetto Tartaglia possa venire travolto dalla “nuova tangentopoli”. Fiducia in calo secondo Ipr Marketing, appena superiore a quella di novembre, in flessione rispetto a dicembre e a gennaio. Una conseguenza delle inchieste – sulla Protezione civile e non solo - che agitano fantasmi intorno al Pdl, a maggior ragione alla vigilia delle regionali. Per questo, per evitare che l'impatto delle vicende giudiziarie che coinvolgono uomini del suo partito condizioni le urne a suo sfavore - come lasciano presagire i sondaggi - il Cavaliere «ci mette la faccia», e promette una campagna elettorale in prima persona, convinto com'è che il richiamo della sua leadership sarà in grado di modificare l'agenda dei temi che condiziona l'opinione pubblica in queste ore.

Il Cavaliere gioca d'azzardo e muta d'impeto il disegno originario di marcare un certo presidenziale distacco dalle piazze e, assieme, da candidati governatori Pdl che considera «non vincenti» in regioni che possono fare la differenza con l'opposizione. Una campagna elettorale in salita, in ogni caso: un responso delle urne negativo per il Pdl verrà collegato direttamente al premier. Ieri, presentando le candidate Pdl alla presidenza delle Regioni – con l'intento di puntare al cuore dell'elettorato femminile - il Presidente del Consiglio non si è lasciato andare ai soliti attacchi contro i magistrati. «Stamattina, quando mi sono alzato – ha esclamato – mi sono detto: devi scrivere quel che dici...». E così, per la prima volta da molto tempo, Berlusconi ha letto un testo preconfezionato. Ha spiegato che il prossimo test elettorale avrà una valenza “nazionale” e che gli italiani dovranno decidere tra la sua politica – “del fare” - e quella della sinistra e delle “parole”, fra un governo “che risolve le emergenze” e un'opposizione “che sa dire solo di no”, tra il centrodestra che vuol fare “le riforme” e il campo avverso che “sparge solo pessimismo e autolesionismo".

Sarà questo il motivo dominante della campagna elettorale del Cavaliere, collegato all'attacco alla sinistra che vuole “lo Stato di polizia tributaria”, che intende “far ritornare le imposte sugli immobili”, che pretende di "raddoppiare le imposte statali sui buoni del Tesoro” o “la patrimoniale” e che non permette alle famiglie di ingrandire la propria abitazione “senza dover passare nell'inferno burocratico delle pratiche comunali”. E sponsorizzando le candidate “rosa” del Pdl (Annamaria Bernini, per l'Emilia Romagna, Renata Polverini per il Lazio, Monica Faenzi per la Toscana e Fiammetta Modena per l'Umbria) Berlusconi ha assicurato che nelle regioni rosse “sta esplodendo una stanchezza antica” contro le amministrazioni di sinistra e che anche lì il centrodestra ha “forti chance per vincere”, con un programma che punta su "meno burocrazia, più verde, meno tasse e più sussidi". Il Cavaliere all'attacco delle regioni “rosse”, quindi. Grazie, anche, ad “un esercito di donne gradevoli e brave". Prova provata, parola di premier, della “maschile inferiorità” nei confronti di quel gentil sesso sul quale Berlusconi intende insistere in modo particolare per allontanare dal Pdl il pericolo di un insuccesso elettorale.


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