Denis Verdini
Berlusconi all’opposizione di se stesso è fatto normale, del suo partito è spettacolo inedito.

Per negare la delusione descritta dai giornali per un Pdl da rifare, il Cavaliere ha dichiarato ieri che «non c’è nulla da cambiare perché va tutto bene». Immediatamente dopo, però, ha sferrato l’affondo che dà ragione a chi descrive un movimento in piena «balcanizzazione». Difendendo a spada tratta Denis Verdini, indagato per corruzione, il premier si è scagliato contro i «giochi di potere personali» interni al Pdl. E ha inviato, così, un segnale preciso ad un partito che Berlusconi stenta «a riconoscere» come suo. Che lo osanna con le parole, ma con i fatti sembra sfuggirgli di mano, come dimostra la scelta «subita» di candidature regionali che il Cavaliere giudica poco competitive.

L’occasione per le bacchettate, appunto, è la difesa a spada tratta di Verdini. Non solo, a ben vedere, un atto dovuto preelettorale imposto dalle indiscrezioni che descrivevano il Cavaliere furente con il coordinatore Pdl su cui indaga la magistratura fiorentina. La difesa di Verdini, in realtà, rappresenta un cambio di passo che contraddice i proclami anti-corruzione che consiglierebbero maggiore cautela in presenza di inchieste della magistratura. Il Presidente del Consiglio stesso, ieri, è tornato ad assicurare che «la prossima settimana» sarà varato il disegno di legge per la politica pulita che il governo intende «rendere migliore e più articolato». È un fatto, però, che i primi segnali concreti di moralizzazione coincidano con la riabilitazione di Cosentino e con la difesa - a scatola chiusa - di Verdini. Atti che danno il segno che il premier deve fare i conti con i «potentati» del partito.

E se è vero che il Cavaliere cambierebbe «tutto» per far tornare il Pdl allo spirito forzista del ‘94, questa strada appare più che mai impervia. Anche perché, al momento, come dimostra il dietrofront su Verdini, la sua leadership non è assoluta. «Ha dedicato troppo tempo a cavarsi fuori dai guai giudiziari e poco al partito», spiegano dal Pdl. Alla fine, poi, ha deciso di gettarsi in prima persona nella campagna elettorale, preoccupato dalle ricadute d’immagine che le inchieste possono produrre nell’elettorato Pdl, malgrado continui a sostenere di non esserne «preoccupato». E puntando al risultato positivo delle regionali anche per ristabilire una leadership assoluta dentro il partito. Per vincere, tuttavia, il Cavaliere non può fare a meno dei tanti Verdini, chiacchierati o meno, dei quali vorrebbe fare a meno, mettendo in campo una nuova generazione di «eredi».

«Denis», uno degli uomini «forti» del Pdl,<CS9.6> per il momento ha avuto buon gioco a richiedere pubblica solidarietà al premier. Berlusconi lo ha ricevuto, ieri, a Palazzo Grazioli e ha smentito, poi, «ricostruzioni pittoresche, ai limiti della fantascienza», su «presunte e mai pronunciate critiche» nei confronti di Verdini («un galantuomo») e del coordinamento nazionale.

L’affondo al Pdl, quindi. «Credo che la responsabilità non sia più solo della stampa - spiega il Cavaliere - Ma di chi la usa per giochi di potere personali, per cercare di indebolire chi, come l'on. Verdini, si è speso e si spende giorno per giorno per costruire la struttura del Pdl difendendolo con determinazione dagli attacchi esterni e, magari, interni». Non è un mistero, tra l’altro, che Verdini sia tutt’altro che amato. L’ala ex forzista gli imputa condiscendenza nei confronti di La Russa nella elaborazione delle liste, mentre intorno a Bondi si è coalizzata un’area - Frattini, Gelmini, Lupi e altri - che professa ortodossia berlusconiana. Non a caso al Cavaliere vengono attribuiti disegni post elettorali per una transizione con un coordinatore unico. Bondi stesso, tra l’altro, avrebbe chiesto al Cavaliere di non partecipare più alle riunioni di coordinamento con La Russa e Verdini. Ma per vincere, oggi, Berlusconi non può fare a meno di «Denis».

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