Ancora una clamorosa protesta per la 73enne preside coraggio Lucia Salvati, che da tempo chiede verità e giustizia per una vicenda che vede coinvolti pezzi deviati delle istituzioni, i quali hanno coperto soggetti in rapporti  con la mafia. Vessata anche da alcuni vigili e minacciata di morte da un noto esponente malavitoso accompagnato dai vicini di casa che aveva denunciato

Roma - Non si placa la tenace protesta di Lucia Salvati, l’anziana ex preside che, ormai da tempo, sta denunciando una triste storia di omissioni e falsi da parte di alcuni vigili urbani e dipendenti dell’ufficio tecnico di Ostia, per coprire una serie di abusi edilizi perpetrati dai vicini ai suoi danni. Questa volta si è presentata in catene presso il Comando Generale della Polizia Locale di Roma Capitale, dove ha chiesto di essere ricevuta dal comandante Raffaele Clemente, che era assente ed è stata perciò ascoltata da vari vigili appartenenti alla segreteria, a cui ha raccontato la sua triste vicenda storia.

La pensionata 73enne aveva presentato un esposto, credendo di trovarsi in un paese normale dove chi ha il compito e l’obbligo di accertare avrebbe naturalmente perseguito gli abusi commessi. Niente di tutto questo.

 

I vigili sollecitati - afferma la Salvati -, non solo hanno fatto finta di non vedere, e chiunque può agevolmente riscontrare, addirittura in alcuni casi ictu oculi, gli illeciti posti in essere, ma addirittura hanno perseguitato me e la mia famiglia con una serie interminabile di vessazioni, recandosi quasi quotidianamente presso la nostra abitazione con motivazioni di controllo rivelatesi sempre infondate, finanche  per verificare il trattamento riservato al nostro cane, fino a denunciarci per inesistenti abusi edilizi, che probabilmente regnavano solamente nella loro fantasia in un progetto intimidatorio artatamente congegnato, visto che il procedimento si è concluso con un’assoluzione perché “il fatto non sussiste”, mentre avevano disinvoltamente dichiarato di aver sottoposto a controllo la parte immobiliare dove gli abusi e gli illeciti erano presenti davvero e di aver riscontrato tutto regolare. Sono a disposizione di chiunque voglia seriamente accertare quanto sia falso ciò che è stato attestato. Solo chi possiede un senso di impunità assoluta può spingersi a questo”.

E i miei vicini non si sono fermati a questo - continua -. Si sono presentati a minacciarci di morte sotto casa  con un noto boss mafioso, accompagnato da loro in macchina. Per le identiche minacce da parte della stessa persona la giornalista Federica Angeli di Repubblica si trova a vivere sotto scorta. Salvo poi denunciare noi con dichiarazioni che sfiorano il ridicolo e che nessuno ha pensato di verificare seriamente. Vista la pericolosità del soggetto, mio figlio, i signori hanno fatto nascondere il boss tutto impaurito nella loro autovettura. E ancora non si sono sentiti ridicoli a denunciare, un mese dopo quest’episodio, un’inventata aggressione addirittura con armi, da parte di mio figlio,  che sarebbe avvenuta un anno e mezzo prima. Non ci crederebbe neanche un bambino che, di fronte a una cosa del genere, nessuno abbia pensato di  interessare le forze dell’ordine e che qualcuno possa attendere addirittura un anno e mezzo prima di denunciare. Io personalmente, mi sarei barricata in casa, e se non fossi stata colta prima da infarto, avrei chiamato immediatamente il 113. I miei vicini hanno potuto permettersi anche questo e qualcuno li ha anche considerati credibili. Ho servito lo stato per 42 anni di onorata carriera, prima come insegnante e poi come dirigente scolastico, e ho insegnato che viviamo in uno stato di diritto, ma forse, alla luce di questi fatti, mi sbagliavo. C’è qualcosa che devia da tale concetto in un tessuto sociale dove, per colpa di cellule deviate delle istituzioni, i delinquenti diventano vittime e le vittime delinquenti. Il crimine istituzionalizzato è più odioso e subdolo di quello propriamente detto. C’è qualcosa che stride fortemente quando le istituzioni si trovano a proteggere i crimini di persone in rapporti con esponenti di un clan. E in questo caso, in primis alcuni vigili, ma anche altri, e chiunque sapeva e ha taciuto e ancora tace, hanno fatto proprio questo. E lo affermo senza tema di smentita. Basta entrare nell’immobile in questione, dove tra l’altro con varie motivazioni non è stato mai permesso di entrare, nemmeno in sede di espletamento peritale ordinato in seguito a ricorsi giurisdizionali, per verificare e accertare ciò che dico. Venga a verificare di persona il sindaco Marino, che è venuto a Ostia a gridare ai quattro venti la sua ferma posizione nella lotta alla criminalità organizzata, ha notato la mia protesta in catene nella sala del consiglio municipale, ha detto che mi avrebbe invitata in Campidoglio, ma ancora sto aspettando, ed è passato quasi un anno. Forse le coperture istituzionali a persone in rapporti con quel clan che ha dichiarato di voler combattere non rientrano nella lotta alla criminalità? Di una cosa sono certa, non mi fermerò e continuerò la mia protesta per portare alla luce, agli occhi dell’opinione pubblica i fatti gravissimi che denuncio, fino a quando non sarà accertata la verità e avrò ottenuto giustizia, nonostante l’atteggiamento omertoso delle istituzioni e la censura di alcuni organi mediatici, che viene opposta. La mia dignità e quella della mia famiglia deve essere restituita a chi la deteneva legittimamente, come uno dei miei figli, che è stato definito, in una costituzione di parte civile, un “soggetto potenzialmente molto pericoloso, in quanto esperto di arti marziali” e accusato di aver colpito con un colpo di “carate”, scritto con la c e non con la k, la signora della coppia dei vicini. Peccato che lo stesso figlio non abbia mai messo piede in una palestra e sia affetto da una grave patologia invalidante alla colonna vertebrale. Ebbene quei vicini in rapporti con un clan mafioso, tanto da essere in grado di accompagnarne il capo in automobile a minacciarci di morte, non hanno perso mai occasione per dichiarare di essere impauriti dai miei figli, e per convincere riescono a esternare dichiarazioni ai limiti del grottesco. E pensare che c’è anche chi è capace di credere, o magari far finta, a certe assurdità”.