La vicenda campana imbarazza il Pd. Ma il governatore non viene trattato come il sindaco di Roma, accompagnato subito alla porta. Il premier tace e il Nazareno esprime solo «fiducia nelle indagini»

Di Luca Sappino

Il punto sono i due pesi e le due misure. A questo pensa il senatore Pd Stefano Esposito, unico che come sempre non si tiene per niente, come ha dimostrato nel breve periodo in cui ha fatto l’assessore a Roma. Esposito lo dice chiaramente, ed è l’unico nel partito: «Renzi applichi lo stesso metro di valutazione usato per Marino. A Roma non abbiamo avuto sconti. Sulla corruzione non vista attorno a lui De Luca ha quantomeno la responsabilità politica».

Renzi però per il momento tace sulla vicenda De Luca, che vede i giudici contestare al governatore e allo staff un’intesa con il giudice Anna Scognamiglio - e il marito Guglielmo Manna - relatore della sentenza con cui il 22 luglio scorso De Luca è stato confermato alla guida della regione Campania nonostante la legge Severino. De Luca dice di esser semmai la parte lesa, minacciato, ma l’ipotesi investigativa è che Manna abbia contattato il capo della segreteria di De Luca Carmelo Mastursi per garantire l’intervento positivo in favore del governatore della moglie giudice, in cambio di una nomina in Sanità. E che De Luca non abbia denunciato la cosa.

Al centro dell'inchiesta le pressioni riguardanti il suo ricorso contro la Severino. Inquisiti anche il braccio destro del governatore e il magistrato che scrisse l'ordinanza che sollevava dubbi sulla costituzionalità della legge

«Governa chi è in grado di governare», disse Renzi di Marino, accompagnandolo alla porta, e lasciando il lavoro sporco - e lungo - a Matteo Orfini, e ai renziani sul territorio. Per De Luca non c’è invece un commento ufficiale, in un giorno in cui di occasioni non sono certo mancate, dai messaggi indirizzati ai parlamentari per ringraziarli del lavoro fatto sulla scuola, alla consueta e-news, all’intervista con tedesco Die Welt, al vertice internazionale di Malta sull’immigrazione.

Che fine ha fatto Marino (e Roma) è noto, che fine farà De Luca, lo è quindi meno. Giustamente i più si mostrano garantisti. Ettore Rosato, il capogruppo alla Camera, attende «con fiducia e rispetto gli esiti dell’inchiesta», Gianni Cuperlo dice invece «non ho ancora letto le carte, io mi occupo di politica, non sono un giudice». Ma per la vicenda scontrini, Marino fu crocifisso dal partito anche prima di esser indagato. E questo notano i 5 stelle («Errori gravi, si deve dimettere», dice Roberto Fico), che come loro abitudine intendono ogni indagine come fosse già una condanna. Anche Alfredo D’Attorre, l’ex Pd di Sinistra Italiana, fotografa polemico la questione: «La gente è allibita», dice a Libero, «non capisce perché Marino l’hanno cacciato e De Luca no». Nell’attesa dei dem, evidentemente, pesa l’avvicinarsi delle elezioni a Napoli, che già vedono il Pd in difficoltà, senza ancora un candidato (il più avanti pare ora Bassolino, un grande ritorno) e con la possibilità di non arrivare, come a Roma, neanche al ballottaggio.

I pm ipotizzano una minaccia contro il governatore campano. E lui si dichiara “parte lesa”. Ma l'accusa di concussione per induzione prevede anche la sua responsabilità penale. Perché avrebbe ottenuto un vantaggio, senza sfruttare la sua capacità di resistere al ricatto

Quanto sia forte l’imbarazzo nel Partito lo dimostra il silenzio forzato di Rosy Bindi, presidente della commissione antimafia, che con De Luca ha avuto in un recente passato forti scontri, sugli “impresentabili” nelle liste per le regionali. Con i cronisti, Bindi si smarca così: «Non dico a una parola, non alzo nemmeno un sopracciglio».

C’è poi la prima pagina de l’Unità a dimostrare la voglia di parlare d’altro, che anima il Nazareno. Il giornale del partito - anzi del governo - è pienamente in modalità goodnews. «Mai più precari», è il titolo di prima, che si concentra sulle stabilizzazioni nella scuola. Al caso De Luca si dedica la colonna destra, con un’intervista del direttore al governatore campano. I toni sono intimi, si usa il “tu” e l’attacco è così: «Sui miei figli posso giurare?».

Poi è tutta materia per Crozza: «Cominciamo pure da questo Manna, da questa parola», dice De Luca, «Io conosco solo la manna dal cielo, la manna della Bibbia». «Io di questo personaggio non so assolutamente nulla», continua De Luca, evocando così un «millantato credito», del consorte del giudice.

 

Fonte L'Espresso