di Antonio Carlucci
Gli stessi fondi, 3 miliardi, stanziati per due diversi lavori. Lunardi e Tremonti sapevano. Ecco l'inchiesta interna svolta da Di Pietro
Antonio Di Pietro
Nella migliore delle ipotesi il buco è di 3 miliardi, 479 milioni, 691 mila e 659 euro. Nella peggiore potrebbe arrivare a 4 miliardi e 700 milioni di euro. Un profondo rosso generato dalle Grandi opere del governo di Silvio Berlusconi, del suo ministro dell'Economia Giulio Tremonti e di quello delle Infrastrutture Pietro Lunardi. Che hanno sfornato progetti, aperto cantieri, posato prime pietre senza avere un soldo in cassa. O, meglio, facendo figurare che li avevano, mentre erano già stati impegnati per altre opere in corso di costruzione.
Il gioco è durato fino a quando gli elettori non hanno mandato a casa il governo di centrodestra. Poi, in nove giorni, dal 12 al 20 giugno, è apparsa nitida la fotografia della bancarotta dell'Anas, la società per azioni controllata dallo Stato che si occupa di costruire strade e ponti. Quella fotografia, quei conti in rosso che valgono una Finanziaria, hanno portato il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro a suggerire al presidente del Consiglio Romano Prodi e al ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa il commissariamento dell'Anas e il rifinanziamento della società. A patto che ci sia già un nuovo vertice in carica per evitare altre perdite attraverso funambolismi contabili. Di Pietro, dopo aver spiegato tutto quanto alle commissioni Lavori pubblici e Ambiente del Parlamento, ha messo in moto una coda di carattere giudiziario: l'intero dossier Anas è stato spedito sia alla Corte dei conti che alla Procura della Repubblica perché verifichino l'esistenza di illeciti amministrativi e reati penali.

Il vertice dell'Anas, a cominciare dal presidente Vincenzo Pozzi, il ministro Tremonti, il ministro Lunardi, il suo vice Ugo Martinat sapevano assolutamente tutto del buco. Erano perfettamente a conoscenza che nel 2004, allorché l'Anas fu trasformata in società per azioni, era cominciato un gioco delle tre carte in grande stile con i fondi denominati residui passivi. 'L'espresso' è in possesso delle due pagine datate 9 novembre 2004 e firmate dalla responsabile dell'Ufficio amministrazione e bilancio Carmela Tagliarini e dal responsabile dell'Unità organizzativa contabilità e bilancio Antonio Graziani. Sotto la dizione "analisi della fattispecie concernente la problematica dei residui passivi pari a euro 12.524 milioni", i due funzionari spiegano in modo assai semplice il giochetto finanziario. Scrivono innazitutto che di quei 12 miliardi e 524 milioni, 6.642 sono "fondi vincolati per lavori", 4.475 sono "fondi considerati disponibili essenzialmente a fronte di impegni ritenuti rescindibili e riclassificabili", 1.407 sono "altri fondi".


Cosa hanno escogitato all'Anas? La risposta è sempre nel documento letto da 'L'espresso'. I 4.475 miliardi qualificati come disponibili sono stati utilizzati, dopo aver sottratto 1.023 miliardi di spese già effettuate, per aprire il capitolo Grandi opere per il triennio 2003-2005, la bandiera che Berlusconi e i suoi hanno sventolato per dire quanto volessero modernizzare il Paese. Ma i due funzionari avevano già avvertito nel 2004: "Considerati i pagamenti effettuati a oggi e quelli ancora da effettuare la situazione finanziaria presenta un importo privo di copertura per 3 miliardi e 362 milioni di euro. Oggi non esistono ulteriori disponibilità finanziarie per fronteggiare le fatture che sicuramente perverranno a fronte delle commesse oggetto di virtuale disimpegno".

Il giochetto era assai semplice. Sulla carta sono stati cancellati lavori per oltre 3 miliardi di euro e quella cifra è stata iscritta a bilancio per aprire la stagione delle Grandi opere. Ma i lavori ritenuti non più urgenti non sono stati fermati, sono andati avanti ben sapendo che prima o poi sarebbero arrivate fatture da onorare. Tutto questo è andato avanti fino al 12 giugno, quando il ministro Di Pietro, avendo trovato le casse vuote, ha ordinato una inchiesta interna affidandola al Servizio per l'alta sorveglianza delle Grandi opere. I risultati sono stati raccolti in 26 pagine che mettono in luce il ruolo di chi sapeva e di chi ha coperto il dissesto delle finanze dell'Anas. Gli investigatori ministeriali hanno trovato tutti i documenti necessari. E in più sono stati aiutati da quattro gole profonde interne la cui identità è stata rivelata solo alla magistratura contabile e a quella penale.
"In accordo con i ministri competenti, Infrastrutture e Trasporti ed Economia e Finanze", ha raccontato quello che chiamiamo 'Testimone numero 1', " le somme sono state destinate al programma Straordinario 2003-2005... Oggi ci si rende conto che un certo numero di opere che erano destinatarie di residui passivi 'assegnati' non sono state cancellate - sebbene considerate 'non più realizzabili' - nonostante fosse intervenuto lo storno dei fondi necessari alla loro realizzazione". Come sia stato possibile coprire il gioco lo spiega sempre il 'Testimone numero 1': "Non è avvenuta la cancellazione nella contabilità gestionale dei lavori (SIL, ovvero sistema informativo lavori) tenuta dall'Anas e quindi essi appaiono come interventi tuttora in essere, mentre invece è avvenuta la cancellazione dei residui passivi nella contabilità finanziaria. Il SIL come strumento gestionale fino a dicembre 2004 non era integrato con la contabilità finanziaria. Fino a tale data, essendo l'Anas strutturata in compartimenti e posto che i due sistemi non si scambiavano informazioni, la struttura operativa ha continuato a portare avanti i vecchi lavori per i quali non c'era più alcun finanziamento".

Di allarmi interni però ne scattarono parecchi. E furono regolarmente disattivati. Racconta il 'Testimone numero 2': "La riclassificazione dei residui passivi è stata coordinata dal ragioniere Virgilio Pandolfi, in qualità di Direttore centrale amministrativo Anas. Dichiaro di avere immediatamente avversato le modalità di utilizzo delle risorse finanziarie oggetto di riclassificazione, rappresentando la non legittimità delle modalità operative... Ho chiesto di non essere coinvolto nelle fasi di definizione e quantificazione dei residui passivi e ho anche rappresentato in forma verbale e per iscritto al ragioner Pandolfi di non volermi occupare della vicenda". Aggiunge il 'Testimone numero 2': "La rilevazione fatta al 31 dicembre 2005 ha determinato l'importo complessivo della mancata copertura finanziaria delle opere in circa 3 miliardi e 800 milioni di euro di cui, nel corso dell'ultimo trimestre è stata data certamente informativa al Direttore generale (Claudio Artusi si è dimesso pochi giorni fa, ndr) da parte del direttore centrale amministrazione e finanza Piciarelli ed anche, ritengo, ai ministeri vigilanti".

Altre importanti rivelazioni sono arrivate dal 'Testimone numero 3': "L'Anas si trova nella situazione di non poter completare gli investimenti che si è impegnata a fare nell'ambito del contratto di programma 2003-2005 perché mancano 3 miliardi e 500 milioni di euro di fondi necessari... Di questa situazione non è stata mai data alcuna informazione né alcuna rendicontazione al Consiglio di amministrazione da parte di nessuno degli organi competenti: presidente, direttore amministrazione e finanza direttore generale e collegio dei sindaci".

Il 'Testimone numero 4', infine, pur tra molte reticenze e solo dopo che gli vengono poste specifiche domande, fornisce un importante contributo sul livello di conoscenza ministeriale: "All'inizio del corrente anno... omissis... riservatamente di questo problema con l'allora vice ministro delle Infrastrutture Ugo Martinat, che mi risulta lo abbia fatto presente all'allora ministro dell'Economia Tremonti". E ancora: "Nel corso di colloqui informali il presidente dell'Anas (Pozzi, ndr) ha riferito di una due diligence, una verifica contabile, in corso da parte del ministero dell'Economia".

Nella ricostruzione degli investigatori messi in moto dal ministro Di Pietro, appare chiaro che tutto è cominciato nel momento in cui fu insediato il nuovo vertice Anas e la società fu trasformata da ente economico in Spa con azionista unico il Tesoro. Ma quel cambio deciso dal governo di centrodestra ha portato da tempo a una indagine della magistratura contabile contro l'ex ministro Pietro Lunardi che sembra essere svanita nel nulla.

All'ex titolare delle Infrastrutture la procura generale della Corte di conti ha recapitato una citazione a giudizio con la richiesta di restituire alle casse dello Stato 2 milioni 757 mila 877 euro e 34 centesimi. Più, naturalmente, gli interessi. L'atto porta il numero di protocollo 062444, è stato notificato a Lunardi il 26 aprile 2004 e reca la firma del vice procuratore generale Rita Loreto. Ma tutto si è inspiegabilmente fermato alla fissazione della prima udienza che avrebbe potuto gettare luce sul modo in cui il governo di centrodestra aveva deciso di gestire l'Anas.
Lunardi, pur di togliere di mezzo ogni impedimento all'arrivo di persone a lui fedeli, decise di liquidare all'ex presidente Giuseppe D'Angiolino un milione 539 mila 37 euro e 42 centesimi e ai quattro componenti del consiglio di amministrazione un totale di un milione 342 mila 797 euro e 12 centesimi. Una cifra senza alcuna giustificazione visto che nessuno avrebbe potuto contestare la scelta di nuovi dirigenti.

Ma bisognava fare tutto senza che ci fossero clamori, anzi con gli uscenti che presentavano educate lettere di dimissioni. In cambio tanti soldi. A D'Angiolino, oltre a centinaia di migliaia di euro sotto la voce "risarcimento e patto di fedeltà e non concorrenza" furono anche accordati 309 mila 874 euro (pagati solo 154.935) per consulenze. Ha scritto il procuratore nella citazione: "Risulta che siffatti importi sono stati pagati pur non essendo stati attribuiti i relativi incarichi". Ma al ministero delle Infrastrutture ci sono i mandati di pagamento disposti da Lunardi che affermano la regolarità delle consulenze fatte da D'Angiolino.

A questo punto la sorte dell'Anas è nella mani non solo del governo Prodi ma anche della magistratura contabile e penale. Davanti alle commissioni parlamentari il ministro Di Pietro ha detto chiaramente che al vertice della società può essere attribuito il falso in bilancio e la false comunicazione sociali. Basta leggere l'ultimo bilancio Anas approvato solo poche settimane fa. Il presidente Pozzi sostiene che il deficit è di soli 496 milioni di euro.