di Massimo Riva
Previdenza, sanità, pubblico impiego, enti locali sono settori con margini importanti di spreco. Nascondere questa realtà dietro lo slogan dell'intangibilità della spesa sociale significa fare mistificazione
Il segretario generale della Cisl
Raffaele Bonanni
La spesa sociale non si tocca. Con questo altolà ultimativo Cgil-Cisl-Uil hanno risposto all'annuncio degli interventi che il governo Prodi si ripromette di compiere con la prossima Finanziaria per raddrizzare i guasti di bilancio ereditati dal prodigioso duo Berlusconi-Tremonti. Lo slogan è accattivante. Come si può, infatti, immaginare di ridurre la pensione a chi già fatica ad arrivare a fine mese oppure di tagliare le cure ai malati indigenti ovvero ancora di imporre ai Comuni la chiusura degli asili-nido? Se di questo davvero si trattasse, la posizione dei sindacati sarebbe da condividere e sostenere allo spasimo.

Ma è forse di questo che parla il ministro Padoa-Schioppa quando annuncia interventi sui quattro maggiori capitoli (previdenza, sanità, pubblico impiego, enti locali) del bilancio? Non è che i sindacati stiano prendendo fischi per fiaschi o, peggio ancora, stiano facendo un po' troppo i furbi per non pagare il dazio di un'inevitabile razionalizzazione della spesa pubblica? Nei quattro succitati capitoli di uscite dell'Erario ci sono certamente causali di esborso che meritano la qualifica di spesa sociale. Ma c'è anche altro, molto altro, che chiunque stenterebbe a far rientrare in questa nobile categoria.

Come si fa, per esempio, a sostenere che nel coacervo di spesa farmaceutica, diagnostica e ospedaliera non vi siano margini importanti di inefficienza o di vero e proprio spreco? Ancora: come si può pensare che il costante prolungamento dell'età media non debba avere matematici riflessi su quella del pensionamento? E infine: come si può credere che nella pubblica amministrazione, centrale e locale, tutto vada per il meglio pur con crescenti esborsi per il personale? Nascondere la realtà di questi problemi dietro il generoso slogan dell'intangibilità della spesa sociale significa compiere un'opera di mistificazione proprio di quei principi di equità ai quali i leader sindacali dicono di ispirarsi.


Eppure sembra che i capi di Cgil-Cisl-Uil siano già sul sentiero di guerra. Il più scatenato in proposito risulta il neo-segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, sulla cui bocca la parola sciopero compare ormai un giorno sì e l'altro pure. D'accordo, si può anche comprendere che costui, appena arrivato all'incarico, abbia bisogno di farsi conoscere facendo qualche fuoco d'artificio. Non solo: si può anche capire che il vertice della Cisl abbia da far dimenticare la tragicomica avventura della corsa a sottoscrivere con il governo Berlusconi quel 'Patto per l'Italia', che avrebbe dovuto cambiare le sorti del paese e s'è poi rivelato un penoso buco nell'acqua.

Ma che c'entrano la smania di ribalta di Bonanni o la vergognosa memoria degli errori del passato con uno stato di agitazione che rischia di trascinare i tre maggiori sindacati sullo stesso terreno della protesta dei tassisti? Personalmente stento a credere che ai vertici di Cgil-Cisl-Uil si pensi davvero che nell'80 per cento del bilancio pubblico non ci sia nulla da cambiare né un euro da risparmiare. Ma se così fosse, lo dicano chiaramente. In modo che il paese ne possa riconoscere la grettezza corporativa e la miopia sociale.