di Luca Piana
e Marco Ratti
I super bonus per i grandi manager sono finiti sotto la scure del fisco. E adesso le aziende studiano nuovi premi e incentivi
Le sede centrale di Unicredit
A volte la differenza tra fortuna e iella è solo questione di ore. Prendiamo, ad esempio, il caso di Luca Garavoglia, presidente della Campari. Il primo luglio scorso, un sabato, per i dirigenti dell'azienda milanese conosciuta in tutto il mondo per il bitter scattava il periodo valido per esercitare quelle che nel mondo finanziario vengono chiamate stock option. Si tratta di un super bonus collegato all'andamento in Borsa del titolo della società e i manager della Campari aspettavano il momento buono per incassarlo fin dal 2001, quando il piano quinquennale per l'attribuzione dell'incentivo era stato formulato.

Negli stessi giorni, tuttavia, il mondo delle stock option è stato messo a soqquadro dall'intervento del viceministro Vincenzo Visco, che ha radicalmente aumentato le tasse dovute per questo tipo di guadagni. Alla Campari si sono vissuti momenti di grande frenesia: il decreto Visco è entrato in vigore martedì 4 luglio e, complice il fine settimana, a Garavoglia e ai trenta dirigenti coinvolti nel piano è rimasto solo il lunedì precedente per svolgere tutte le pratiche necessarie, beneficiando della vecchia tassazione. Non era cosa da poco. Il presidente della Campari, complice la rivalutazione del 148 per cento segnata dal titolo in Borsa dal debutto del 2001 a oggi, sulle sue stock option aveva un guadagno di circa 8 milioni di euro: chiudendo l'operazione prima del decreto ha semplicemente dovuto applicare l'imposta sostitutiva del 12,5 per cento, versando al fisco un milione di euro; ventiquattr'ore più tardi gli sarebbe toccato iscrivere il guadagno fra i redditi personali, soggetti in questo caso all'aliquota massima del 43 per cento (che si applica sulla parte di reddito superiore a 100 mila euro). Risultato: all'erario avrebbe dovuto lasciare 3 milioni di euro in più.


Il provvedimento del governo, che riflette un ripensamento in atto anche negli Stati Uniti e in Francia, è destinato a produrre grandi effetti sulle strategie che le aziende studiano per legare la paga dei loro manager ai risultati ottenuti e, contemporaneamente, per impedire che i dirigenti bravi fuggano alla prima offerta di lavoro migliorativa. E le stock-option, nelle loro varie declinazioni, sono sembrate finora lo strumento adatto per farlo: a una certa data, il manager beneficiato ha la possibilità di acquistare dei titoli della società a un prezzo predeterminato. Se in Borsa quelle azioni al momento opportuno valgono di più, le può rivendere subito, lucrando la differenza.

Al viceministro Visco, tuttavia, è venuto il sospetto che il loro successo fosse dovuto soprattutto a una tassazione soft. Il governo calcola che per tutte le società quotate in Borsa le plusvalenze relative al 2005 siano pari a 233 milioni di euro. Denari che sono entrati stabilmente nella retribuzione dei manager di molti gruppi italiani. Alcuni dei casi più significativi si trovano nel riquadro di pagina 122, ma non sono certo gli unici. Un altro esempio è quello di Corrado Passera, amministratore delegato di Banca Intesa, che il 12 maggio scorso ha incassato una stock option da 12 milioni di euro, reinvestendola tutta in azioni dell'istituto, come già aveva fatto con le tranche relative ai due anni precedenti. E tanti altri, che riguardano dirigenti grandi e piccoli, vanno da Eni all'Enel, da Unicredit a Capitalia, da L'Espresso a Rcs.

"Le agevolazioni fiscali concesse in passato", dice Tommaso Di Tanno, professore di diritto tributario internazionale a Cassino, "hanno contribuito alla diffusione culturale dell'idea che la retribuzione di un dirigente vada legata ai risultati". Così, dopo il decreto del governo, molti gruppi si ritrovano a dover correre ai ripari. Mediaset, ad esempio, ha annunciato che, dopo la botta di Visco, studierà nuovi "strumenti di fidelizzazione e di incentivazione" dei propri dirigenti. Nessun commento su quali potranno essere le soluzioni alternative: si andrà probabilmente dalla remunerazione in contanti, legata a obiettivi pluriennali, a nuovi strumenti finanziari con una tassazione meno onerosa. Anche l'Enel è stata colta in mezzo al guado: poche settimane fa l'assemblea della compagnia elettrica aveva varato il nuovo piano di stock option di qui al 2009 e il consiglio di amministrazione stava compilando la lista dei circa 500 dirigenti che ne avranno diritto. Il piano va avanti, ma si cercano alternative.
Una soluzione potrebbe essere quella degli 'incentivi a lungo termine' adottati ad esempio in Telecom Italia: il bonus, pagato in contanti, è rivolto a un selezionato numero di manager ed è tarato sia sull'andamento finanziario sia sulla soddisfazione dei clienti. Proprio grazie a questo tipo di incentivi, Marco De Benedetti ha incassato un supplemento di 2,8 milioni di euro alla sua buonuscita quando, nell'ottobre dello scorso anno, ha lasciato il gruppo.

Un'altra possibilità è quella adottata dal Monte dei Paschi di Siena per il nuovo direttore generale Antonio Vigni e per i suoi tre vice. Funziona così: se i quattro manager riusciranno da qui al 2009 a raggiungere gli obiettivi del piano industriale e se, nel contempo, il titolo dell'istituto senese in Borsa farà meglio dei concorrenti, potranno godere di un'assegnazione gratuita di azioni dal valore pari allo stipendio base di circa 3 anni. "Solo un quarto del premio è determinato dall'andamento del titolo in Borsa, proprio perché l'obiettivo è quello di favorire una crescita equilibrata e stabile nel tempo della banca", spiega Vigni a 'L'espresso'. Il sistema non prevede alcuno sconto fiscale: il suo valore è assoggettato al regime di tassazione ordinaria.

Ma come si è arrivati a questa rivoluzione? C'è un aspetto curioso. Era stato lo stesso Visco nel 1998 a dare il via alle stock option, riservando loro il trattamento fiscale di favore. Perché la marcia indietro? "A quell'epoca la loro introduzione si inseriva in un contesto di provvedimenti e agevolazioni fiscali che puntavano a irrobustire patrimonialmente le aziende. Questo sistema, però, è stato scardinato dall'ultimo governo", osserva Francesco Tundo, professore di diritto tributario all'Università di Bologna. Aggiunge Giuliana Polacco dello studio legale Baker & McKenzie: "Il motivo per cui le stockoption sono state istituite, ovvero responsabilizzare i manager, è valido ancora oggi. In qualche caso però il sistema ha dato origine ad abusi".

Parla di abusi anche Maurizia Iachino, partner di Governance Consulting, società di consulenza per le regole di governo societario: "Ricordate la bolla borsistica di Internet di fine 2000? I manager di numerose società appena nate, grazie alla quotazione in Borsa, incassarono stock-option milionarie, senza alcuna correlazione con il lavoro svolto". Dopo lo sboom, tuttavia, molte società hanno fatto marcia indietro, privilegiando altri meccanismi, come appunto l'assegnazione gratuita di titoli. "È però necessario", continua Iachino, "che gli amministratori vigilino affinché non si verifichino abusi, come avviene negli Stati Uniti dove alcuni manager hanno raggiunto una retribuzione pari a 400 volte quella dei colletti bianchi o bonus vicini al budget di un paese africano". Un caso che, in Italia, ricorda un precedente datato 2000: quando, nella vendita per 3 miliardi di dollari all'americana Corning di una piccola controllata della Pirelli, i vertici di allora della società milanese (Marco Tronchetti Provera, Carlo Buora e Giuseppe Morchio) incassarono una stock-option personale da complessivi 487 milioni di dollari.

Il decreto firmato da Visco il 4 luglio, tuttavia, rappresenta una sorta di entrata a gamba tesa, poiché aumenta a posteriori la tassazione su operazioni già impostate. A dispetto delle sollevazioni provocate e a differenza di quanto accaduto con i taxi, tuttavia, il governo non ha fatto marcia indietro. Nella trasformazione in legge del provvedimento, la tassazione agevolata è stata conservata per chi, dopo aver esercitato le sue stock option, conserva i titoli per almeno 5 anni e a patto che il valore delle azioni assegnate non sia superiore complessivamente allo stipendio lordo annuo del manager premiato. Per gli esperti è però poco probabile che i manager, abituati al meccanismo dorato delle stock option, dove incassavano dalla vendita dei titoli senza di fatto dover sborsare un soldo per il loro acquisto, scelgano questa strada: "È difficile che un amministratore compri oggi i titoli senza poterli rivendere prima di cinque anni, solo per risparmiare sulle tasse: è infatti impossibile prevedere come saranno le quotazioni di Borsa dopo così tanto tempo", dice Polacco.
Se la pacchia delle stock option quasi esentasse sembra dunque finita, i consulenti fiscali sono alla frenetica ricerca di nuovi espedienti per permettere ai manager e alle aziende di risparmiare su quanto dovuto al fisco. "Bisogna muoversi con cautela, perché l'aumento delle imposte su questo tipo di guadagni fa parte di un disegno che il governo intende probabilmente completare entro l'anno", spiega Tundo. L'obiettivo di Visco è combattere l'elusione: "Alcuni tasselli di questo mosaico si sono già visti, come il ripristino dell'anagrafe dei conti correnti o il divieto di pagare in contanti le parcelle dei professionisti. Altri però", prevede l'esperto,"seguiranno presto".