Gardini e i padrini
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di Giuseppe Lo Bianco
e Piero Messina
Due colpi esplosi dalla sua pistola. Le pressioni degli uomini di Riina. E il legame con l'uccisione di Borsellino. Ecco perché è stata riaperta l'inchiesta sulla morte e Piero Messina
Totò Riina
Quando negli ultimi giorni del giugno 1992 Leonardo Messina accettò di collaborare con il pm Paolo Borsellino, primo mafioso a pentirsi dopo la strage di Capaci, Raul Gardini era ancora il timoniere del Moro di Venezia: l'imprenditore di successo che aveva tenuto gli italiani incollati davanti al televisore per le dirette notturne della Coppa America, trasmesse dalla 'sua' tv. Ma in quell'interrogatorio Messina, piccolo boss dalle rivelazioni sconvolgenti sulla rete planetaria di Cosa nostra, disse senza mezzi termini: "Totò Riina i suoi soldi li tiene nella calcestruzzi". All'inizio venne verbalizzato con la 'c' minuscola, come se si trattasse di una qualunque fabbrica di cemento, ma l'uomo d'onore precisò subito: "Intendo dire la Calcestruzzi spa". Ossia il colosso delle opere pubbliche, leader italiano del settore posseduto dall'ancora più potente famiglia Ferruzzi ma, secondo quel mafioso della provincia nissena, controllato in realtà dal padrino più feroce. Borsellino rimase colpito da quelle parole: all'indomani dell'uccisione di Giovanni Falcone aveva riaperto il dossier del Ros sul monopolio degli appalti. Una radiografia dell'intreccio tra cave e cantieri che costituisce il polmone di Cosa nostra: permette di costruire relazioni con i politici e con la borghesia dei professionisti, di creare posti di lavoro e marcare il dominio del territorio. E guadagnare somme sempre più grandi. "Ma se ci sono tante persone che possono riciciclare qualche miliardo di lire", dichiarò Borsellino all'indomani dell'interrogatorio di Messina, "quando bisogna investire centinaia di miliardi ci sono pochi disposti a farlo. Imprenditori importanti, di cui i mafiosi non si fidano ma non possono nemmeno fare a meno. È uno dei fronti su cui stiamo lavorando". Il magistrato siciliano non ebbe il tempo di andare avanti: 19 giorni dopo fu spazzato via dall'autobomba di via d'Amelio. Un anno più tardi, anche Gardini uscì di scena. Due morti che, secondo la Procura di Caltanissetta, sono direttamente collegate. Per questo i magistrati nisseni hanno riaperto l'inchiesta sulla fine di Gardini. E lo hanno fatto con la convinzione che sia stata Cosa nostra a determinare la scomparsa del 'Contadino' che aveva sfidato la finanza e la politica, per poi mollare tutto dopo il fallimento dell'affaire Enimont. I pubblici ministeri hanno ordinato agli investigatori della Dia di ripartire da zero, senza trascurare nulla. Chiedono una nuova perizia balistica, nella speranza che le tecnologie odierne possano ricostruire meglio la dinamica dello sparo. Lo fanno sottolineando un'ipotesi inquietante: la pistola esplose due colpi. Una modalità insolita per un suicidio. Tanto più che nessuno sentì le detonazioni: secondo la ricostruzione, solo dopo diversi minuti il corpo venne trovato in un lago di sangue dal maggiordomo. Accanto a lui, sul letto, l'arma. Sul mobile un biglietto: i nomi dei figli e della moglie, seguiti da una sola parola 'Grazie'. Un biglietto che, secondo un esperto, poteva anche essere stato scritto mesi prima. Ma tutta la scena del crimine era stata sconvolta dai soccorritori: impossibile trovare riferimenti certi. Per questo la Procura chiede che i periti chiariscano la questione dei proiettili. Ma vuole anche far risentire dalla Dia tutti i familiari e i protagonisti di quelle giornate del luglio 1993, l'estate del terrore quando tra stragi, crac finanziari, morti e arresti eccellenti cambiò la storia d'Italia. La prima a venire interrogata come teste sarà Idina Ferruzzi, la moglie che non ha mai creduto al suicidio.
La strage di via D'Amelio
Tanti fantasmi siciliani, a cui Sergio Cusani non ha mai dato credito: "La Calcestruzzi godeva di una autonomia assoluta perché Lorenzo Panzavolta l'aveva creata e la gestiva come un autocrate", ha spiegato in un'intervista: "A un certo punto, dopo un attentato, saltò fuori il nome di questo Buscemi. Gardini fu molto seccato da questa storia e all'interno del gruppo si aprì un'inchiesta. Cusani ricorda che Panzavolta presentò Buscemi "come un manager dell'azienda comprata in Sicilia". E descrive Gardini turbato, tanto da pensare di liberarsi dell'azienda: "Mi disse: 'Vendo la Calcestruzzi e così vendo anche Panzavolta'". Ma era qualcosa che Gardini poteva fare? Si poteva dire di no ai soci palermitani? E si poteva licenziare Panzavolta, l'ex comandante partigiano romagnolo che teneva i rapporti tra Ferruzzi e Pci, ma soprattutto gestiva i grandi appalti nazionali della famiglia di Ravenna?