Il presidente del Senato: vogliono minare il dialogo

Non sono bastate nemmeno le scuse in diretta di Fabio Fazio e del Direttore generale della Rai, Claudio Cappon, per ricomporre lo scontro dopo le accuse di Travaglio a Renato Schifani. Sabato sera a «Che tempo che fa», su Rai Tre, il giornalista aveva attaccato il Presidente del Senato: «Ora lo applaudono tutti, ma è un uomo che ha avuto rapporti con noti mafiosi e con persone poi condannate per mafia».

Il centrodestra insorge, ma è in buona compagnia perché anche il Pd, con il capogruppo al Senato Anna Finocchiaro prende le difese di Schifani: «Trovo inaccettabile che possano essere lanciate accuse così gravi, come quella di collusione mafiosa, nei confronti del presidente del Senato, in diretta tv su una rete pubblica, senza possibilità di contraddittorio». Ed è infine il responsabile della comunicazione del Pd, Marco Follini a chiudere: «Travaglio non ci trascinerà nella giungla». In serata poi è lo stesso Schifani a rispondere con un’intervista al Tg1: «Si tratta di fatti inconsistenti o manipolati che non hanno nemmeno la dignità per generare sospetto. La verità è che qualcuno probabilmente vuol minare il clima di dialogo e di confronto costruttivo che ha caratterizzato questo inizio di legislatura». La Rai fa ammenda e nello stesso spazio e allo stesso orario, ma il giorno dopo (cioè ieri, n.d.A.) stigmatizza le parole di Travaglio: prima con un comunicato durissimo di Cappon, poi con le scuse del conduttore Fazio che però esclude che ci siano state «trappole, macchinazioni,o complotti». Il direttore generale esprime «profondo rincrescimento e vivo rammarico per le affermazioni di Travaglio», definisce «deprecabile l’episodio, e ingiustificabile il comportamento», tanto da «aver preso contatti con le strutture aziendali per le iniziative del caso». Cappon «si riconosce nelle parole già espresse dal direttore di Raitre Paolo Ruffini», secondo il quale l’esercizio della libertà di opinione non può mai sconfinare nell’offesa personale, tanto più grave se tutto ciò avviene senza contraddittorio. Tutta l’azienda è in subbuglio. I consiglieri Rai del centrodestra indicano in Cappon il maggiore responsabile: Angelo Maria Petroni parla di «uno dei punti più bassi nella storia del servizio pubblico radiotelevisivo». A suo avviso «di questo sono responsabili gli attuali organi di vertice della gestione dell’Azienda, che hanno da sempre ignorato ogni tipo di richiamo fatto da diversi consiglieri di amministrazione al far rispettare effettivamente le regole». Punta il dito contro il dg anche Giuliano Urbani, secondo il quale «la Rai si ritrova ancora una volta in balia del primo diffamatore di passaggio». Per Urbani le colpe vengono «dal conduttore della trasmissione al direttore di rete, dal direttore generale allo stesso consiglio d’amministrazione che li ha investiti dei rispettivi incarichi». Ma è soprattutto il capogruppo al Senato del Pdl Maurizio Gasparri ad alzare il livello dello scontro: «Non basta una letterina di fronte ad accuse così gravi. Ancora una volta il cosiddetto servizio pubblico della Rai viene messo a disposizione, senza contraddittorio, dalla condotta diffamatoria di Travaglio. Le offese al presidente Schifani troveranno la giusta risposta nelle sedi giudiziarie, ma il problema investe i vertici Rai e in particolare il dg, il cui mandato per fortuna scade, per legge, tra 20 giorni». L'ex ministro delle Comunicazioni insiste sulla necessità del «ricambio immediato in Rai»: «Gentiloni pensava di rinviare a settembre ma sarebbe una violazione. E Cappon non è stato garante di pluralismo e ha fatto tornare pessimi anche i conti». Italo Bocchino rincara parlando di «gravissimo» attacco per cui servono «sanzioni adeguate», mentre Altero Matteoli parla di «vergognosa imboscata». Nella polemica finisce anche Antonio Di Pietro che sul suo blog difende Travaglio e pubblica la «carta d’identità» di Schifani tratta dal libro «Se li conosci li eviti» e in cui si riportano le accuse di collusione. La scheda pubblicata sul blog dell’ex ministro spinge il presidente del gruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto a bollare di Pietro «come uno che cerca la rissa da saloon». Tutti contro tutti, insomma: a venti giorni dalla scadenza del consiglio di amministrazione. Un caso?

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