di Denise Pardo
Il centrosinistra vuole imporre i suoi. Ma il centrodestra controlla il cda. Così i due Poli sono costretti a cercare un accordo. Tra risse e cene, minacce e ambasciatori
Prove tecniche di accordo forzato. Obbligati a trovare un'intesa in un clima sempre più surriscaldato tra insulti incrociati e 'pizzini' spuntati al momento giusto. Costretti a cercare una via d'uscita perché l'alternativa è lo stallo o il rovesciamento del tavolo. Benvenuti alla Rai, dove la partita delle nomine si gioca a metà tra la corrida e la blandizia. E dove per convincere il Polo a non bloccare i ricambi al vertice si punta su una componente nuova, estranea ai corridoi di Saxa Rubra e al palazzo del Cavallo contaminati finora solo dalla peste delle epurazioni tout court: il risarcimento, la disponibilità a pagare il prezzo dello scambio. "Non ci saranno più disoccupati in Rai", ha dichiarato il presidente Claudio Petruccioli.

Encomiabile intenzione, pillola ben indorata. In realtà, per la tivvù pubblica e per i suoi vertici, il presidente e il direttore generale Claudio Cappon, la tappa è obbligata. Sic stantibus rebus, l'esperimento va tentato, costi quel che costi. D'altra parte, l'alternativa è la paralisi. A fine luglio, poco dopo il suo insediamento, Cappon ha affrontato subito una delle pratiche più spinose: la direzione delle Risorse Umane. E ha chiesto cortesemente a Gianfranco Comanducci, agguerrito capo del personale più che berlusconiano che da anni governava nell'ombra la Rai, di farsi da parte (Cappon allibito ha avuto come risposta un diluvio di singhiozzi dall'uomo che ha sempre fatto tremare dipendenti e precari). Ma allora si credeva ancora che il convitato di pietra, l'ostacolo al giro di boa dell'Unione in Rai, l'algido Angelo Maria Petroni, consigliere nominato dall'azionista, il ministero dell'Economia, sarebbe stato rimosso. Ribaltando così la maggioranza nel cda a favore del centrosinistra. Il consigliere in pectore prodiano Alessandro Ovi stava già scaldando i muscoli.


Ma il notevole dossier di pareri legali che ne dichiarano l'intoccabilità messo su da Petroni, il signorile distacco del ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa, guru finanziario poco affezionato al volgare spoil system, e forse, secondo i maliziosi, la strategia prodiana di dimostrare che la situazione è così complicata ("Più del Libano", ha detto) da indicare come unica soluzione il mandare tutti a casa, hanno lasciato spazio solo a un esperimento di biopolitica: il tentativo di larghe intese. In soldoni, dente per dente. Cioè poltrona per poltrona, nomina contro nomina. Un percorso tra due fuochi incrociati. Risarcire il Polo che altrimenti nella tetra sala del consiglio Rai al settimo piano blocca tutto, ma risarcire anche Prodi, che nella Rai ideale decisamente non voleva Petruccioli e più blandamente Cappon (perché almeno il direttore generale voleva sceglierlo lui).

Così per una candidatura di Gianni Riotta al Tg1 (appoggiato da Prodi, con tutte le mosse giuste in curriculum: dichiararsi figlio spirituale del cardinal Angelo Scola, firmare una grande intervista prima a Romano Prodi, poi a Massimo D'Alema, mentre 'il Foglio', perfido, segnala che tanta bravura merita un giornale tutto suo) c'è il rovello dei tessitori e il negoziato sul filo del rasoio se sia meglio spostare Clemente Mimun a Rai Sport o a Rete Due. Per un Gianfranco Comanducci che deve cedere il passo a Maurizio Braccialarghe (ex dirigente della Cisl, ex direttore di Radio Rai, arrivato con Pier Luigi Celli, benvoluto a Palazzo Chigi), c'è l'altalena su quale sia il miglior risarcimento da parte dei consiglieri azzurri preoccupati di non accettare la prima offerta e di voler capire fino a che punto possono chiedere di più. Per una Giuliana Del Bufalo benvista alla direzione delle Relazioni Esterne, c'è un Guido Paglia targato An a cui proporre il posto di amministratore delegato di Rai Sat. E un Roberto Sergio direttore dei Nuovi Media, figura cara all'Udc che, maggiormente valorizzato, riempirebbe di gioia il cuore del consigliere Marco Staderini. E così tutto. Casella per casella, fra maggioranza e opposizione e poi all'interno di ciascuno schieramento.
Per uscire dall'impasse Petruccioli e Cappon stanno dando il fegato al paese. Nel senso che le trattative sono spesso oggetto di lunghe e appetitose colazioni. Una girandola di incontri con un rituale preciso: prima il faccia a faccia con ognuno dei consiglieri del Polo, Petroni, Giuliano Urbani, Giovanna Bianchi Clerici, Gennaro Malgieri, Marco Staderini. Poi la riunione del conclave della Casa delle libertà. Stessa tecnica anche con i consiglieri del centrosinistra: Sandro Curzi, Nino Rizzo Nervo, Carlo Rognoni. Petruccioli o Cappon indicano un nome. La reazione è sempre di grande apprezzamento. "Bene. Ma lo votate?", è la domanda che segue. La risposta è più nebulosa di un l'I Ching: "Dobbiamo parlarne a fondo. La situazione è complessa, il cammino problematico".

Anche perché la partita delle nomine rientra in uno scenario molto più ampio e coinvolge personaggi e interessi di ben altra portata. La Rai dell'Unione si intreccia con il dibattito sull'annoso problema del conflitto d'interessi che il centrosinistra deve per forza affrontare rispettando il suo programma, soprattutto dopo averne fatto un refrain senza tregua anti-Silvio Berlusconi. Ma il vero timore di Mediaset e dell'ex premier è la presa della legge Gasparri da parte del ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni. "Il nodo centrale sta nel fatto che il centrosinistra vuole cambiare il Sic e il tetto della pubblicità", dicono a Cologno Monzese. Questa volta, la situazione può davvero precipitare. Gentiloni non è un politico tuttologo che ha bisogno di tempo prima di assimilare e appropriarsi in modo adeguato della materia. Il neo ministro conosce quella legge in tutti i suoi cavilli, e già quando ha giurato al Quirinale aveva le idee molto chiare su come intervenire e cosa eliminare. Anche se poi alla fine ci sarà da fare i conti con la scarsità dei voti al Senato. E con un Cavaliere che si batterà allo sfinimento usando ogni mezzo a disposizione.

La strada del dialogo non suscita entusiasmo e si scontra con continui focolai di polemica. Anche se gli appelli del Quirinale ogni giorno spingono per la pacificazione nella vita politica, il rischio in Rai è di dare vita alla fine solo a un nuovo Grande Inciucio. Il direttore generale Cappon, uomo molto più interessato al progetto di una Rai all'altezza del servizio pubblico che alle nomine, si è trovato in un cul de sac. E non può fare altro che tentare un accordo per rimettere in moto l'azienda. Curzi sulla faccenda si è sgolato. Petruccioli sente la freddezza del premier e cerca di far quadrare il suo cerchio. Ma una buona parte dei ds teme il disegno neocentrista e di essere completamente esclusa dalla partita.

Massimo D'Alema, che non parla mai per caso, è arrivato al punto di dichiarare che bisognava essere più decisi nell'affrontare il problema Rai. E ha fatto esplodere le ire di Gianfranco Fini per una volta d'accordo con il sindacato dei giornalisti Rai. Altri hanno commentato che è stato uno sbaglio allarmare così presto la gens berlusconiana sul conflitto d'interessi e sulla Gasparri. Che però potrebbe essere l'asso nella manica del centrosinistra per risolvere il groviglio. Cambiando le procedure di nomina del cda e mandando all'aria le prove tecniche di larghe intese.