di Vittorio Malagutti
Debiti alle stelle. Utili in calo. A cinque anni dal suo ingresso in Telecom, il patron della Pirelli cerca una via d'uscita. Tra vendita dei telefonini e scorporo della rete
È l'ultima scommessa di Marco Tronchetti Provera. L'ultima e decisiva mano di poker di un imprenditore che cinque anni fa ha giocato il suo destino e la sua credibilità personale sul rilancio di quelli che furono i telefoni di Stato, scalati, sedotti e poi abbandonati dalla cosiddetta Razza Padana di Roberto Colaninno e Chicco Gnutti. La partita vera si è aperta lunedì 11 settembre quando, dopo settimane di indiscrezioni sapientemente alimentate nella quiete distratta della Borsa estiva, Tronchetti ha svelato i contenuti della riorganizzazione del gruppo Telecom Italia. Nessuna vendita del business dei telefonini. E neppure un accordo globale con il magnate dei media Rupert Murdoch. L'annuncio tanto atteso dalla comunità finanziaria riguarda un riassetto per linee interne. Lo scorporo della telefonia mobile e di alcune attività di rete fissa da collocare in due società separate. Entrambe poste sotto il controllo della capogruppo quotata. Insomma, un semplice trasloco da un piano all'altro del condominio telefonico. Con una evidente inversione di marcia rispetto a un paio di anni fa, quando (dicembre 2004) fu inaugurata in pompa magna l'era della convergenza tra fisso e mobile, che portò alla scomparsa di Tim come entità autonoma. Niente di clamoroso, quindi. Almeno a prima vista. Se non fosse che gli osservatori più attenti, a cominciare dal mondo politico, hanno colto in questo riassetto un segnale ben preciso. Quasi una sfida lanciata da Tronchetti, consapevole, questa volta più che mai, di giocarsi il tutto per tutto.

In sostanza, separando parte della rete fissa dal resto del gruppo, il patron di Pirelli viene incontro alle richieste di parte del mondo politico (soprattutto a sinistra) e dell'Authority delle Comunicazioni, che negli ultimi mesi ha più volte bloccato le nuove offerte commerciali del colosso telefonico. D'altra parte, però, con la manovra sulla telefonia mobile, il capo di Telecom fa capire di essere pronto anche all'extrema ratio. Cioè alla vendita della rinata Tim, che quasi certamente passerebbe sotto controllo straniero. Come dire: se d'ora in poi politici e regolatori non accoglieranno con maggiore attenzione e benevolenza i nuovi progetti targati Telecom, allora tanto vale tirare i remi in banca, sganciarsi dai telefonini e con il ricavato veleggiare altrove, magari verso quella media company (banda larga + televisione) da più parti evocata in queste settimane.

Ecco, in estrema sintesi, il messaggio che molti addetti ai lavori hanno letto tra le righe dello stringatissimo comunicato ufficiale che dava conto del riassetto. C'è poco da sorprendersi, allora, se martedì 12 settembre un Romano Prodi visibilmente irritato si è dichiarato "sorpreso" delle novità in vista nel maggiore gruppo di telecomunicazioni nazionale. Aggiungendo che solo dieci giorni prima, nel corso di un faccia a faccia, Tronchetti non gli aveva minimamente accennato all'imminente riassetto. La sortita del presidente del Consiglio è stata accompagnata da un pesantissimo fuoco di sbarramento dei partiti della maggioranza di governo che, con toni più o meno accesi, hanno criticato i progetti del gruppo telefonico.

Lunedì 11 settembre, durante la riunione del board, anche alcuni consiglieri di amministrazione di Telecom avevano espresso la loro sorpresa e un certo sconcerto di fronte al cambio di rotta, soprattutto per quanto riguarda la telefonia mobile. Tronchetti, però, ha avuto buon gioco richiamando tutti alla difesa di quella che ha descritto come una cittadella assediata. Un gruppo bersagliato, a suo dire, dai politici, dalle authority (Antitrust compresa), dalla magistratura. Che fare, allora? Meglio ingranare la retromarcia, azzerare le novità introdotte solo due anni fa nella speranza che i mercati finanziari apprezzino il progetto dopo mesi e mesi di ribassi impietosi.

Questa la nuova rotta proposta dal capoazienda, affiancato dai suoi due più stretti collaboratori, gli amministratori delegati Carlo Buora, l'esperto di finanza, e Riccardo Ruggiero, l'uomo della rete. Una svolta piena di incognite, che lascia in sospeso dubbi e interrogativi. "Non c'è nessuna trattativa per la vendita delle attività mobili", assicura Tronchetti. Ma una mossa come quella dello scorporo sembra studiata apposta per favorire una cessione. In Borsa circola già il nome della banca d'affari che dovrebbe gestire l'asta: sarebbe la Lehman. L'operazione, però, appare tutt'altro che agevole. Nel mondo, infatti, sono ben poche le aziende di telecomunicazioni in grado di digerire un boccone del valore stimato intorno ai 30-32 miliardi di euro. In Europa, solo la spagnola Telefonica, forse. Mentre sembrano escluse Deutsche Telekom e France Telecom. Un'operazione tanto onerosa appare fuori della portata anche dei fondi di private equity, a meno che non scelgano di coalizzarsi tra di loro per formare una cordata di acquirenti. Non per niente nei giorni scorsi sono circolate indiscrezioni su contatti per una possibile alleanza tra cinque pesi massimi internazionali come i fondi Apax, Blackstone, Carlyle, Kkr e Permira.
Vendita a parte, nel breve termine la resurrezione di Tim potrebbe creare problemi sul fronte gestionale. Perché in base agli annunci di questi giorni si prepara un nuovo ribaltone delle stesse strutture aziendali già messe a dura prova dalla riorganizzazione varata due anni fa, che portò a migliaia di sovrapposizioni di uffici da un capo all'altro della Penisola. Senza contare che l'incertezza sul destino del gruppo non funziona certo da stimolo per i manager. I precedenti non sono incoraggianti. A maggio del 2004, in un'intervista, Tronchetti definì insensata a livello industriale e anche finanziario una eventuale fusione tra Telecom e Tim. Poco più di sei mesi dopo quella stessa operazione venne annunciata al mercato. E adesso si torna indietro.

Se il futuro appare pieno di incognite, il passato recente offre pochi spunti di ottimismo. I risultati della ormai abortita integrazione tra telefonia fissa e mobile stanno scritti nero su bianco nel bilancio del 2005. Per assorbire la controllata Tim, la capogruppo Telecom Italia si è caricata di 12 miliardi di nuovi debiti e i suoi oneri finanziari (gli interessi da pagare ai creditori) sono aumentati di un miliardo. D'altra parte la stessa Telecom Italia, assorbendo i ricchi profitti del mobile, l'anno scorso è riuscita a incamerare oltre 500 milioni di utili in più che sono andati a remunerare gli azionisti, a cominciare da quelli di controllo, cioè Pirelli.

E i vantaggi industriali? Quelli non si sono proprio visti. Perché i margini di guadagno del gruppo, già al livello di guardia, si sono ulteriormente assottigliati anche per effetto degli interventi dell'Authority e delle altre novità normative. Per esempio le nuove regole sulle chiamate al 12, oppure i tagli alle tariffe di terminazione per il traffico dagli apparecchi fissi a quelli mobili. I risultati del primo semestre del 2006, resi noti nel dettaglio lunedì 11 settembre dopo le anticipazioni di fine luglio, confermano il trend preoccupante dei conti. Un dato su tutti: l'utile netto in calo del 15,7 per cento rispetto a un anno prima. A giudizio di buona parte degli analisti, le speranze concrete di una rimonta sono ridotte al lumicino. Nonostante i forti investimenti, anche pubblicitari, nei nuovi servizi Internet in banda larga, a pesare sui conti restano soprattutto i tagli tariffari, che, anzi, dovrebbero aumentare nei prossimi mesi.

Infine, a condizionare ogni passo futuro, c'è la zavorra del debito, che naviga intorno ai 41 miliardi di euro, anche per effetto dei prestiti contratti nel 2005 per finanziare l'acquisto dei titoli Tim in mano ai piccoli azionisti."Il debito non è un problema né per Telecom né per Pirelli", non si stanca di ripetere Tronchetti. Il gruppo avrebbe quindi la capacità di far fronte a tutti i suoi impegni, compresa, per Pirelli, l'eventuale prossima svalutazione, imposta dalla Consob e dalle regole contabili, della partecipazione nel gruppo telefonico, attualmente in bilancio a prezzi quasi doppi rispetto a quelli correnti in Borsa. Certo è che un simile fardello di debiti rende di fatto impossibile mettere in cantiere qualunque progetto di espansione. E a questo punto sembra sempre più difficile dare un taglio netto a questa voce passiva. Il motivo è semplice: dopo cinque anni di tagli, c'è rimasto ben poco da vendere per incamerare nuove risorse.

In effetti, la trottola delle cessioni gira da tempo a tutta velocità. Si è mossa Pirelli, innanzitutto, che a partire dal 2002 ha quotato in Borsa le attività immobiliari, si è liberata della divisione cavi e poche settimane fa, fallito lo sbarco sul listino, ha ceduto a un gruppo di banche una quota di minoranza della divisione pneumatici. Sono state cedute le attività sudamericane in Venezuela, Cile, Perù. Resta un forte presidio in Brasile, definito strategico solo pochi mesi fa. Ma adesso anche Tim Brasil, valutata almeno cinque miliardi di euro, è finita sulla rampa di lancio per la cessione, con la spagnola Telefonica che pare il più accreditato tra i possibili compratori. In Italia invece Tronchetti ha rinunciato a Seat Pagine Gialle e allo storico presidio di Finsiel. Cedute le attività in Spagna, in Austria, in Grecia, in Turchia, insieme a una lunga serie di partecipazioni minori. Anche l'imponente patrimonio immobiliare di Telecom è stato sacrificato per far fronte ai debiti. Centinaia di palazzi, terreni e altri asset hanno cambiato padrone. Anche se, a ben guardare, non sono andati troppo lontano. Come controparte, nel ruolo di compratori, quasi sempre c'erano fondi gestiti da Pirelli real estate, il braccio operativo di Tronchetti nel settore immobiliare.
Risultato: Telecom ha cambiato volto, è dimagrita. E Pirelli ha rinunciato a buona parte dei suoi business tradizionali per finanziare l'espansione nelle telecomunicazioni. Il debito, però, è ancora lì. Quello ereditato dalla gestione Colaninno, che fece la sua scalata con i soldi delle banche. E quello nuovo, targato Tronchetti. Che adesso è arrivato alla resa dei conti con il mercato. I prossimi mesi saranno decisivi e la strada appare quanto mai insidiosa. Non per niente da qualche tempo tra le banche d'affari circola un progetto che prevede l'ingresso in Telecom di un gruppo di investitori forti di un pacchetto del 20 per cento del capitale, a cui andrebbero aggiunte altre deleghe da raccogliere in vista di un prossima assemblea. Obiettivo finale: sfiduciare il management espresso da Pirelli e mettere nuovi dirigenti al timone del gruppo telefonico. Fantafinanza? Forse. Ma fino a pochi mesi fa nessuno in Borsa avrebbe preso in considerazione un'ipotesi simile. Adesso invece la musica è cambiata. E c'è chi studia il ribaltone.

Tra vendite e fusioni

Luglio 2001 La Pirelli di Marco Tronchetti Provera prende il controllo del gruppo Olivetti-Telecom con un investimento di circa 7 miliardi di euro per il 23 per cento del capitale. L'azienda, messa in vendita dalla cordata Colaninno-Gnutti viene pagata quasi il doppio del valore corrente in Borsa. All'operazione partecipa anche la famiglia Benetton per il 20 per cento dell'investimento totale insieme a Unicredit e Banca Intesa (10 per cento).

Giugno 2002 Pirelli colloca in Borsa la controllata Pirelli Real estate con un incasso di oltre 260 milioni.

Dicembre 2002 Tronchetti si allea con Gnutti che con la finanziaria Hopa compra il 16 per cento di Olimpia, la holding a cui fa capo il gruppo Telecom.

Marzo 2003 Tronchetti annuncia la fusione di Pirelli & C. con Pirelli spa e di Olivetti con Telecom.

Agosto 2003 Telecom vende Seat Pagine Gialle a un gruppo di fondi internazionali per 3 miliardi di euro.

Dicembre 2004 Tronchetti annuncia la fusione di Telecom con la controllata Tim. Banca Intesa e Capitalia entrano nel capitale di Pirelli e della controllante Camfin.

Febbraio 2005 Telecom vende Finsiel al gruppo Tripi per 165 milioni.

Aprile 2005 Cessione della attività telefoniche in Grecia per 1,1 miliardi.

Giugno 2005 Pirelli vende il settore cavi a fondi internazionali per 1,3 miliardi.

Agosto 2005 Telecom cede Tim Perù. A marzo era stata ceduta anche Entel Chile.

Gennaio 2006 Venduto il gruppo Buffetti.

Maggio 2006 Cessione di Digitel Venezuela.

Giugno 2006 Per circa 500 milioni Pirelli ricompra la partecipazione della Hopa di Gnutti nella holding Olimpia

Luglio 2006 Tronchetti vende il 35 per cento del settore pneumatici di Pirelli a un gruppo di banche.

Settembre 2006 Telecom annuncia la separazione della attività di telefonia mobile da quelle fisse. Anche la rete finirà in una società ad hoc.