di Diego Pistacchi
da Genova

Lui è in carcere, con l’assistenza dello psicologo perché distrutto. Lei lo scarica insieme agli altri: «Non rappresentano la città». Lui è Stefano Francesca, portavoce e braccio destro del sindaco di Genova Marta Vincenzi. Lei è Marta Vincenzi. Lui si è dimesso da portavoce. Lei lo ha dimesso da braccio destro. Così è iniziata e finita la sesta giornata dall’esplosione del caso-tangenti al Comune di Genova. All’alba la guardia di finanza va in casa di cinque degli indagati e notifica le ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip Roberto Fucigna. Quattro in carcere, una agli arresti domiciliari. Il giudice va oltre, e dispone che vengano tenuti separati il più possibile, in penitenziari diversi perché non abbiano contatti neppure indiretti almeno fino a domani, quando ci sarà l’interrogatorio di garanzia. In cella, oltre a Francesca, anche Massimo Casagrande e Claudio Fedrazzoni, ex consiglieri comunali Ds nella passata amministrazione, e Roberto Alessio, titolare della «Alessio Carni», il colosso alimentare nato da un banco ambulante al mercato di Vercelli e diventato lo chef delle mense di mezza Italia, che, secondo l’ordinanza del gip «prometteva la sua intercessione presso alti esponenti del clero», vantando contatti con il cardinale Tarcisio Bertone, ex arcivescovo di Genova e attuale Segretario di Stato del Vaticano. Per loro l’accusa è di turbativa d’asta e associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Il manager Giuseppe Profiti, ex gestore delle finanze della Regione Liguria, ex vicepresidente (di fatto il numero uno) dell’ospedale Galliera di Genova e oggi presidente del Bambin Gesù di Roma, resterà agli arresti domiciliari solo per turbativa d’asta.
L’inchiesta registra un vero scossone. Perché il gip firma le richieste di arresto del pm ormai a una settimana di distanza dalla fuga di notizie e dalle perquisizioni negli uffici e nelle case degli indagati. E tra gli arrestati c’è anche Casagrande, l’ex consigliere già interrogato dal pm due volte e per circa 20 ore. La possibile spiegazione è che, al di là del rischio di inquinamento delle prove a tale distanza dai primi provvedimenti, sia emerso qualcosa di nuovo. Il magistrato, nella sua ordinanza, spiega anche il perché degli arresti. E assesta un altro colpo alla difesa che in questi giorni ha dato a se stessa il sindaco di Genova.
L’inchiesta potrà essere anche nata negli anni precedenti, ma i sospetti sono tutti concentrati su questi mesi di governo del Comune, su fatti avvenuti durante questa amministrazione. Persino Casagrande e Fedrazzoni, ex consiglieri comunali non più rieletti, secondo il gip avevano creato un comitato d’affari «vantando legami con esponenti della politica locale genovese in ragione della pregressa attività politica espletata nell’ambito del consiglio comunale di Genova nonché nel partito Democratici di sinistra, si mostravano disponibili a prestare la propria attività per consentire ad Alessio di ottenere agevolazioni nell’aggiudicazione di gare d’appalto». E queste gare sono quelle che si sarebbero svolte da qui a poche settimane e per le quali, sempre secondo l’accusa, al braccio destro della Vincenzi sarebbe stata promessa una ricompensa da 20mila euro sotto forma di consulenza per evitare sospetti.
Il ruolo di Francesca? Difficile a dirsi, visto che operativamente non aveva incarichi né poteri di intervento nel campo di assegnazione di appalti. Eppure, scrivono i giudici, era lui che avrebbe fatto in modo di far vincere la ditta di Roberto Alessio. Probabilmente intervenendo su chi il potere di intervento sugli appalti lo aveva. Mentre Forza Italia, visto proprio il ruolo dello stretto collaboratore della Vincenzi, ora chiede le dimissioni del sindaco, lei, il sindaco, scarica: «Mi auguro sia innocente, sennò mi ha tradita».