di Vittorio Malagutti
Incertezza sul riassetto. Malumori tra i manager. Sindacati sul piede di guerra. E gli arresti per le intercettazioni abusive. Ecco l'eredità lasciata da Tronchetti
Un testo breve e incisivo. Poche parole - dedizione, impegno, professionalità - per richiamare all'ordine un esercito disorientato. Nelle intenzioni del nuovo presidente Guido Rossi, la sua lettera ai dipendenti del gruppo Telecom serviva a dare la carica dopo l'ennesimo ribaltone, le dimissioni del numero uno Marco Tronchetti Provera. Risollevare il morale: una missione forse non impossibile, di certo molto difficile. Anche perché la mattina di mercoledì 20 settembre, poche ore dopo la chiamata alle armi di Rossi, un nuovo durissimo colpo è andato a incrinare l'immagine di uno dei maggiori gruppi industriali italiani. Giuliano Tavaroli, ex responsabile della sicurezza di Pirelli e poi di Telecom, un manager che per anni ha goduto della totale fiducia dello stesso Tronchetti, è stato arrestato insieme ad altri 20 indagati per una storiaccia di intercettazioni abusive legate alla violazione sistematica del segreto istruttorio.

In cella è finito anche Pierguido Iezzi, capo della sicurezza di Pirelli, nonché a lungo collaboratore di Tavaroli. La vicenda, su cui alzò il velo per primo 'L'espresso' con un'inchiesta del gennaio 2005, potrebbe avere ancora sviluppi clamorosi. Di certo, Telecom è costretta ancora una volta sulla difensiva, quanto meno sul piano dell'immagine. Sarà un caso, ma uno dei primi atti del dopo Tronchetti è un ordine di servizio organizzativo (disposizione generale n.2 del 18 settembre) che, tra l'altro, ha l'effetto di abolire l'unità di servizio security come entità autonoma. Viene così inaugurata la funzione 'Human Resources, Organizations and Security' affidata a Gustavo Bracco. Lo stesso manager che, come capo del personale, aveva gestito la sicurezza, ma solo ad interim, dopo le dimissioni di Tavaroli. Le novità di questi giorni arrivano proprio mentre sta per partire il piano di riassetto societario, accompagnato da polemiche politiche che hanno messo Tronchetti in rotta di collisione con il premier Romano Prodi.

Qualche top manager se la cava con una battuta. E spiega che adesso in Telecom comincia il gioco delle tre tavolette. Come funziona? Semplice: l'11 settembre scorso il consiglio di amministrazione del gruppo allora guidato da Provera (dimissionario cinque giorni dopo) ha scelto di separare in due nuove società autonome il business dei telefonini e quello della rete fissa, in particolare il cosiddetto ultimo miglio. Facile a dirsi. Perché se è chiaro fin d'ora che l'ex monopolista si fa in tre, resta da capire quali attività verranno collocate nei contenitori societari. La questione non è di poco conto. Ed è una questione di quantità, ma anche di qualità. Per esempio: quanti debiti verranno assegnati alla Tim rinata dalle ceneri di se stessa dopo la fusione in Telecom Italia completata solo l'anno scorso? Due miliardi? Oppure dieci? E perché non 20? E poi, quanti dipendenti avrà la nuova società dei telefonini sugli oltre 85 mila complessivi del gruppo? Per mesi e mesi i vertici aziendali hanno lavorato per eliminare sovrapposizioni tra le attività del mobile e quelle della telefonia fissa. Interventi che sono costati centinaia di posti di lavoro.

E adesso che si torna indietro, molti analisti si chiedono come verrà risolto il problema. Su questi temi nulla è stato ancora deciso. Gli assetti delle due nuove scatole societarie dovranno però essere definiti al più presto. Da una parte lo chiede l'Authority delle comunicazioni, che da tempo preme per una separazione della rete fissa dal resto del gruppo. D'altra parte la ristrutturazione andrebbe completata anche nell'eventualità della cessione parziale o totale dei due business destinati a diventare autonomi. E alla fine il guadagno realizzato da Telecom potrebbe dipendere proprio dal valore degli asset collocati nelle due scatole societarie messe in vendita. Tra i possibili soci-alleati è sfumata l'ipotesi Rupert Murdoch, dopo che il magnate australiano ha dichiarato chiusa ogni possibile trattativa. Nell'ultima settiamana invece ha preso consistenza una nuova pista, quella che porta alla Mediaset di Silvio Berlusconi. Ma sulla strada di questo affare, oltre ai vincoli normativi posti dalla legge Gasparri, ci sono, ovviamente, anche forti controindicazioni politiche.
Nei prossimi mesi non mancheranno novità anche su questo fronte . Intanto, in cabina di regia c'è il nuovo presidente Rossi. Tocca a lui vigilare sull'applicazione del piano delineato nei giorni scorsi. Ma è bastato il semplice annuncio per provocare una tempesta all'interno del gruppo. La reazione dei sindacati, che hanno proclamato uno sciopero per il 3 ottobre, è solo il segnale più evidente del disagio diffuso tra i dipendenti. Molti interrogativi riguardano anche l'esatto ruolo di Rossi. Il professore milanese è considerato uno dei maggiori esperti in Italia di diritto societario e conflitti d'interessi. Nel 1997 lasciò l'incarico di presidente della Telecom appena privatizzata, proprio per uno scontro sulle deleghe di gestione all'interno dell'azienda. Così, ora molti analisti si chiedono come affronterà le questioni aperte in tema di governance del colosso telefonico. È vero che Tronchetti ha fatto un passo indietro, ma l'uscita di scena del presidente ha coinciso con il rafforzamento della posizione del suo braccio destro Carlo Buora, promosso vicepresidente esecutivo da amministratore delegato, carica che condivideva insieme a Riccardo Ruggiero. Buora, che ha ereditato da Tronchetti tutte le deleghe operative nel gruppo di telecomunicazioni, siede anche sulla poltrona di amministratore delegato di Pirelli.

E Pirelli, a cui fa capo indirettamente (tramite la holding Olimpia) la quota di controllo in Telecom, ha interessi potenzialmente in conflitto con quelli del gruppo telefonico. Quest'ultimo per abbattere il pesante indebitamento dovrebbe trattenere la quota maggiore possibile dei propri profitti. La controllante, invece, sarebbe avvantaggiata da una massiccia distribuzione di dividendi, così come è avvenuto finora. Con Rossi cambierà qualcosa su questo fronte? Di certo Buora rappresenta più che una garanzia per Tronchetti, che lo ha inserito nel collegio di probiviri incaricato di vigilare sugli equilibri azionari della finanziaria di famiglia, la Marco Tronchetti Provera & C. La nuda proprietà di questa cassaforte è stata girata ai tre figli dell'ex presidente di Telecom: Giada, Ilaria e Giovanni.

La partita, comunque, non si giocherà soltanto sul filo degli equilibri in consiglio. La ristrutturazione rischia di riaprire le danze ai piani alti dell'organigramma manageriale, che ha già subito un terremoto dopo l'annuncio d'incorporazione di Tim con l'uscita di Marco De Benedetti e Mauro Sentinelli, rispettivamente numero uno e direttore generale del mobile. Nei mesi scorsi molti tra i dirigenti di vertice della società dei telefonini hanno abbandonato il campo. È' il caso di Roberto Pellegrini, Nicola Schinaia, Roberto Vannini, tutti a capo di divisioni aziendali importanti. Senza contare che decine e decine di manager di seconda fila, in grande maggioranza ex Tim, hanno accettato incentivi alle dimissioni. A vincere il match sono stati gli uomini del fisso. Ovvero la squadra di Ruggiero. Una squadra in parte proveniente dalle fila di Infostrada, il gestore telefonico guidato in passato proprio dal futuro amministratore delegato di Telecom. L'ultimo a fare le spese di questo scontro di potere è stato Giuseppe Sala, considerato un fedelissimo di Tronchetti, che lo nominò suo assistente personale nel 2002. Poi Sala è approdato all'azienda di telecomunicazioni come direttore generale per la telefonia fissa e ha finito per entrare in rotta di collisione con il numero uno Ruggiero. Lo show down è arrivato nei primi mesi del 2006, quando Telecom ha subito duri colpi sul fronte commerciale.

Primo fra tutti la sconfitta nella gara per la fornitura di servizi alla Pubblica amministrazione, vinta da Fastweb. Ai vertici del gruppo si è così aperto un confronto sulle responsabilità di questi passi falsi e alla fine, in maggio, Sala è uscito di scena. Adesso però la giostra ricomincia a girare. E tra i manager in ascesa troviamo il giovane, solo 39 anni, Luca Luciani. Al momento sembra proprio lui il candidato più accreditato per guidare la rinata Tim. Approdato in Telecom ai tempi di Colaninno, molto apprezzato anche da Tronchetti, questo ex dirigente Enel è arrivato ai vertici del marketing di Tim fino a quando, l'anno scorso, gli è stata affidata la responsabilità di vendite e servizio clienti dell'intero gruppo. Come numero uno della nuova società della rete si fa invece il nome di Stefano Pileri, un ingegnere cinquantenne che da oltre un anno sta lavorando all'integrazione tra fisso e mobile. Non è detta l'ultima parola. Perché sugli assetti di Telecom regna sovrana l'incertezza. E questa non è davvero la situazione ideale per un'azienda che da un anno vede ridursi i margini di profitto. Compresi quelli della telefonia mobile, considerata la macchina da soldi del gruppo.

Intercettazioni milionarie

Francesco Bonazzi e Peter Gomez
Traffico di tabulati telefonici e investigazioni illegali: i pm indagano sugli affari di Tavaroli, Cipriani e Mancini
Giuliano Tavaroli
Che cosa sapevano i vertici di Telecom delle attività di spionaggio illegale organizzate dall'ex capo della sicurezza Giuliano Tavaroli? È questa la domanda chiave che i magistrati della Procura di Milano stanno ponendo a molti degli arrestati nel blitz che, mercoledì 20 settembre, ha portato in carcere 20 persone. Tra le migliaia di persone messe sotto controllo dagli uomini dall'agenzia di investigazion Polis d'istinto, utilizzata dalla compagnia telefonica e da molte altre aziende, compaiono accanto ai nomi di calciatori e personaggi del mondo dello spettacolo, anche quelli di decine e decine di dipendenti Telecom. Su di loro lavora il detective privato Emanuele Cipriani, massone, grande amico di Tavaroli, e proprietario della Polis d'istinto un'agenzia che nel giro di sette anni ha fatturato nei confronti di Telecom più di 20 milioni di euro. Cifre da capogiro che, secondo la Procura, sarebbero state poi reinvestite grazie all'aiuto del commercialista Marcello Gualtieri. È prevedibile dunque che l'indagine sulla grande centrale di spionaggio, collegata al Sismi (Marco Mancini, l'ex capo della prima divisione del servizio segreto militare era molto amico sia di Tavaroli che di Cipriani), non si chiuda qui. Restano infatti aperti molti filoni: nei mesi scorsi, per esempio, è stata perquista e interrogata una lobbista di Roma incaricata, con un compenso di 100 mila euro l'anno, di tenere i contatti con i ministeri e il mondo della politica. L'ipotesi degli investigatori è che la donna desse una mano alla security Telecom nelle gare di appalto (anche in Iraq) cui partecipava lo staff di Tavaroli.

Un altro fronte delle indagini riguarda poi i rapporti della sicurezza Telecom con altre agenzie d'investigazioni, a partire da quelli intercorsi con la Detector di Marco Bernardini, un ex collaboratore del Sisde che ha messo in piedi una serie di società con Jonh Paul Spinelli, l'ex vice-capo centro della Cia in Somalia. Il modus operandi di queste e altre agenzie è ormai chiaro: si corrompevano poliziotti, carabinieri, finanzieri e in cambio si ottenevano informazioni riservate. Poi c'è il capitolo che riguarda i sistemi informatici di Telecom dai quali, secondo quanto ha raccontato una dipendente, era possibile estrarre tabulati telefonici e altre informazioni senza lasciare tracce.

Un altro dato economico che finora era stato sottovalutato riguarda l'esatta scomposizione della grande torta delle intercettazioni legali, ovvero quelle disposte dalla magistratura. Secondo le ultime cifre fornite dal ministro della Giustizia, Clemente Mastella, si tratta di 265 milioni di euro l'anno. Per molti politici, il vero scandalo. Un business notevole per i privati, certo, ma che non finisce tutto nelle tasche dei gestori telefonici come si crede comunemente. Le varie Telecom-Tim, Vodafone e Wind, infatti, mettono le mani solo sul 10 per cento del totale. Mentre il resto va in tasca a una serie di piccole ditte che danno in affitto le apparecchiature. Cipriani e Tavaroli, secondo quanto risulta a 'L'espresso', avevano messo gli occhi su quel 90 per cento e volevano diventare una sorta di fornitore unico. Per fare questo, serviva una rete di amicizie ben ramificata in tutte le aziende del comparto telefonico. Insomma, secondo quanto emerge dall'inchiesta milanese, in tutti questi anni Tavaroli e Cipriani stavano tentando di mettere su un sistema di potere per controllare di fatto il grande mercato delle investigazioni e delle intercettazioni. Legali e non.