Dopo la decisione del ministro delle pari opportunità Mara Carfagna di togliere il patrocino del ministero al Gay Pride arriva un altro stop per il movimento gay. Il Pride a Roma previsto per il prossimo 7 giugno non potrà concludersi, come l'anno passato, in piazza San Giovanni, nonostante fosse già stata data l'autorizzazione. Così ha deciso la questura di Roma in una riunione tecnica con il Comune.

«Ad appena nove giorni dallo svolgimento - rende noto il circolo di cultura omosessuale di Roma Mario Mieli- la questura di Roma ha ritirato l'autorizzazione, concessa originariamente in data 11 aprile, a concludere la parata a Piazza San Giovanni. Del problema sul percorso siamo venuti a conoscenza solo mercoledì, durante un incontro tecnico al Comune di Roma e nel conseguente incontro in Questura, senza che nessuna autorità competente l'abbia comunicato prima, nonostante siano passati quasi due mesi dall'autorizzazione originaria e dall'ampia notorietà pubblica data all'evento e al percorso. Siamo stupiti e amareggiati per l'evolversi degli eventi - concludono - e per l'incredibile ritardo della comunicazione».

Anche l’Arcigay tuona contro la questura: «Non è ammissibile - commenta il presidente nazionale Aurelio Mancuso - che dopo che l`autorizzazione è stata data dalla questura l'11 aprile, il Comitato Organizzatore venga a scoprire solo il 28 maggio, che la stessa è stata ritirata. Come l'anno passato - ricorda - quando il Pride romano era nazionale, le associazioni romane lgbt che promuovono l'evento, hanno deciso di concludere la manifestazione nella stessa piazza. Com`è possibile – continua Mancuso - che a soli dieci giorni dalla parata cittadina improvvisamente negare un diritto sancito dalla Costituzione? Se, com'è stato riferito, ciò è dovuto al fatto che all'interno dei palazzi Lateranensi si tiene un Convegno internazionale, con un concerto conclusivo dentro la Basilica, ciò si prefigurerebbe come un inutile ed incomprensibile provocazione politica».

Il coordinamento delle associazione “Facciamo breccia” assicura che in ogni caso «il movimento lgbt sfilerà comunque fino a Piazza San Giovanni in un Pride festoso, autodeterminato e politico, collegato alle lotte sociali, che sarà anche una risposta di piazza contro sessismo, fascismo e razzismo...».

Anche la sinistra insorge contro la decisione di vietare la piazza. Paolo Ferrero, ex ministro della solidarietà sociale, afferma: «La società democratica, non la dittatura della maggioranza, è tale se permette alle diverse soggettività di esprimersi. Negare prima il patrocinio e poi l'agibilità al Gay Pride è una operazione antidemocratica e incivile, proprio di chi attraverso il tema dell'orientamento sessuale costruisce discriminazioni e capri espiatori. Ovviamente - aggiunge Ferrero - nel dare il nostro pieno sostegno agli organizzatori del Gay Pride ci impegniamo sin da ora che la manifestazione si possa comunque tenere».

Un «diniego inaccettabile»: così i Radicali Rita Bernardini, Marco Perduca e Sergio Rovasio commentano l’accaduto. «Riteniamo del tutto inaccettabile la scelta di vietare la piazza e ci auguriamo che le autorità rivedano questa loro decisione, nella quale si potrebbe scorgere un profumo d'incenso per gratificare le gerarchie vaticane che, lo ricordiamo, non sono proprietarie della piazza».

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