Chiedono che sia rispettata la volontà di ognuno a decidere quando la propria vita non merita più di essere vissuta. E non ci si divida in schieramenti più opportunisti che religiosi. La parola agli opinion maker
Scegliere quando porre fine a una vita che non si ritiene più degna di essere vissuta: è un diritto o un peccato mortale? Basta una legge sul testamento biologico o un paese laico e maturo deve poter legiferare sul suicidio assistito? Ecco come la pensano gli intellettuali italiani.

Carlo Bernardini, fisico all'Università di Roma La Sapienza: "Sarebbe quantomeno necessario depenalizzare l'eutanasia come avviene in altri paesi, dove rimane un reato sulla carta, ma di fatto il medico non viene perseguito. Sono assolutamente favorevole, comunque, alla proposta di un testamento biologico".

Remo Bodei, filosofo alle università di Pisa e della California a Los Angeles: "È una questione molto delicata che non si presta a nessun referendum. Penso, comunque, che in presenza di un consenso (anche preventivo) dell'interessato e di un parere di medici e psicologi che accerti l'ineluttabilità del suo destino, l'eutanasia passiva potrebbe essere considerata lecita".

Luigi Luca Cavalli Sforza, genetista della Stanford University: "Ognuno di noi ha diritto a disporre della propria vita, fino a quando questo non danneggia gli altri. Quindi sono favorevole all'eutanasia. Certo servirebbero sistemi di controllo rigorosi per evitare errori, e resterebbe sempre la possibilità di abusi. Ma è un prezzo da pagare per garantire i diritti".

Gilberto Corbellini, bioeticista all'Università di Roma La Sapienza: "Sarei favorevole alla legalizzazione di una qualche forma di suicidio medicalmente assistito. In Italia siamo alle soglie di una legge sul testamento biologico: è un buon inizio se si toglie ai medici la discrezionalità su quanto ha lasciato scritto il paziente, e quindi la possibilità di rifiutarsi di eseguirlo. E se si tiene bene conto del fatto che idratazione e alimentazione artificiali sono trattamenti terapeutici a tutti gli effetti, e quindi il paziente li può rifiutare".

Mario Falconi, segretario nazionale dei Medici di medicina generale: "Sono contrario all'accanimento terapeutico, ma non dico sì all'eutanasia. Se il testamento biologico fosse stato previsto dalla nostra legislazione ora non ci troveremmo a parlare di eutanasia e del caso Welby. Una decisione come questa va presa nella massima lucidità e nel pieno delle facoltà attraverso un testamento biologico, piuttosto che in una situazione di precarietà".

Paolo Flores D'Arcais, filosofo e direttore di 'Micromega': "A chi appartiene la tua vita? A Dio, risponderà qualcuno, ma è una risposta che non può avere forza di legge, può governare le scelte del credente, non del cittadino scettico e dell'ateo. E a quale Dio, del resto? Il Dio cristiano dei valdesi, in determinate circostanze, ammette l'eutanasia. A parlare in nome di un Dio è sempre un uomo, infatti. Dunque, la tua vita appartiene a te, oppure a un altro uomo. Ma in questo caso sarebbe schiavitù. Poiché la tua vita appartiene a te, solo a te spetta decidere quando e come porvi fine. È un diritto personale inalienabile, che fonda ogni altro diritto e senza il quale ogni altro diritto può essere revocato in dubbio".

Massimiliano Fuksas, architetto: "Vorrei una legge con un solo articolo: la persona che si trovi in condizioni in cui ritiene che la sua vita non è più vita ha il diritto di scegliere se continuare o morire. E quando non è in grado lei stessa di decidere, la decisione va delegata alla famiglia. Ogni altro intervento legislativo sarebbe invasivo. E anche l'idea del testamento biologico non mi convince: io non posso sapere cosa succederà e cosa desidererò in futuro".

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma: "La legge ebraica non consente in alcun modo di procurare o accelerare il decesso. Il testamento biologico per la nostra legge è consentito, ma non può lasciare istruzioni per togliere la vita. Il soggetto può però pretendere di non soffrire, quindi chiedere la somministrazione di farmaci anche se questi dovessero in qualche modo accelerare il decesso".

Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri: "Non sono favorevole all'eutanasia: è una discussione prematura se prima non si fa in modo che i malati abbiano tutti le giuste cure. Certo, va riconosciuto però che l'accanimento terapeutico se non è giustificato nei casi singoli, può esserlo nell'ambito di progetti di ricerca più vasti. Senza accanimento terapeutico, non avremmo i trapianti di organi o la dialisi. Penso sia opportuno accordarsi sul testamento biologico, se è un modo con cui un paziente dichiara di non volere terapie aggiuntive. Un conto è dire 'voglio essere ucciso' e un conto è dire 'non voglio determinate terapie in caso di malattia'".
Sergio Givone, professore di estetica all'Università di Firenze: "Siamo di fronte a una strana alleanza tra cultura tecnocratica e cultura religiosa cattolica, entrambe cercano la sopravvivenza a tutti i costi. Ma la cultura cattolica possiede almeno un senso della sofferenza del morente, che è estraneo alla tecnica, interessata soltanto al buon funzionamento dell'apparato. Mentre è alla sofferenza che deve essere riportato il dibattito sull'eutanasia: molti malati chiedono di soffrire di meno anche se questo implica un conseguente abbreviamento della vita. Non ho dubbi: l'ultima parola spetta alla coscienza individuale, all'io che soffre, al mortale".

Beppe Grillo, attore: "Viviamo in un paese in cui non è consentito decidere neanche dove morire, figuriamoci se mi aspetto un dibattito serio sulla libertà di morire. Vedo molta ipocrisia intorno a questi temi, perché l'eutanasia è una pratica molto diffusa, è una pratica del buon senso decisa di accordo tra medici e parenti. Io sono favorevole a lasciare gli individui liberi di decidere. Quello che proprio non voglio è che la televisione si approprii di questi temi. Adesso avremo un'irrispettosa overdose di malati in tv. Bisogna staccare la spina alla televisione, di questo sono certo".

Margherita Hack, astronoma all'Università di Trieste: "Sono favorevole all'eutanasia passiva in primo luogo, quindi alla sospensione delle cure quando non c'è più speranza, ma anche a quella attiva. Ciascuno deve essere padrone di se stesso. Deve poter disporre della propria vita e della propria morte. Se avessi una persona cara in condizione di dover chiedere l'eutanasia, rischierei la prigione pur di consentirglielo".

Giorgio Lambertenghi Deliliers, presidente dell'Associazione medici cattolici di Milano: "I medici cattolici ribadiscono la libertà di intervento dell'operatore sanitario a tutela della salvaguardia della vita umana, e che mai dovrà essere permesso un omicidio medicalmente assistito. Tutto questo non deve riflettersi in un accanimento terapeutico. Mi auguro che nel dibattito parlamentare venga chiarito su quali interventi il paziente ha libertà di azione, e su quali al contrario il medico ha l'ultima parola, come nel caso di alimentazione e idratazione. Se ciò non fosse si arriverebbe a una situazione di eutanasia mascherata".

Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina: "Il testamento biologico è una scelta di dignità. Chiedere di morire quando la sofferenza e la decadenza fisica ci sottraggono la lucidità mentale è giusto. Naturalmente esiste un limite che è relativo alla scelta individuale, possiamo scegliere per noi stessi la pratica dell'eutanasia, mai per un altro essere umano".

Amos Luzzatto, medico ed ex presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane: "Questa discussione non ci sarebbe nemmeno se la nostra società non avesse il terrore della morte. Sul merito: ho serie difficoltà a considerare l'accanimento terapeutico meno crudele dello staccare la spina. Si può danneggiare qualcuno sia agendo, che astenendosi dall'agire. L'autorità sulla propria vita deve rimanere fino a che è possibile al soggetto stesso. Il vero problema sorge quando è necessario investire qualcun altro della decisione sulla propria vita".

Sebastiano Maffettone, filosofo all'Università Luiss di Roma: "Due sono i punti del dibattito su cui c'è accordo: che l'eutanasia sia un percorso di morte, e che la vita sia una valore da difendere. Le spaccature nascono quando si è di fronte a situazioni di 'quasi non vita': si può accelerare la morte? Non credo che l'eutanasia, già molto diffusa quando si limita esclusivamente ad accelerare di poche ore, al massimo di pochi giorni, un processo ormai non reversibile, e il testamento biologico generino enormi problemi sul piano filosofico e etico. Il vero problema è posto dal suicidio assistito. Personalmente immagino delle situazioni in cui vorrei poter ricorrere al suicidio assistito, ma allo stesso tempo credo che qui si annidino questioni per molti versi indecidibili; per esempio: si può obbligare un medico a dare la morte?".
Giacomo Marramao, filosofo all'Università di Roma Tre: "Eutanasia è una parola terribile, fa pensare ai rischi di una società in cui la tecnoscienza decide anche quale sia la soglia della vita e della morte. E a temerlo sono anch'io, un laico radicale. Ma il dissidio vero è tra fautori della qualità della vita e fautori della sacralità della vita. E a volte sono questi ultimi, spesso senza rendersene conto, a calpestare la dignità della vita divenendo disumani. La vita non è sacra, la vita è un diritto inalienabile della persona. Ma per vita occorre intendere una vita vestita di dignità, di prerogative. Il diritto a una piena vita implica anche il diritto del singolo di dire 'quella che sto vivendo non è vera vita'".

Silvio Monfardini, oncologo e presidente dell'Associazione italiana oncologia della terza età: "Per i malati di cancro l'eutanasia è un falso problema: il tumore in fase avanzata, se non è più controllato dalla chemioterapia e progredisce, arriva esso stesso a produrre la morte. Il vero problema è quello di decidere sino a quando insistere con i trattamenti di supporto come alimentazione, idratazione e respirazione artificiali. Può essere molto difficile riuscire a capire la volontà del paziente. Per questo un testamento biologico compilato precedentemente dal paziente stesso sarebbe fondamentale".

Moni Ovadia, attore: "Il diritto alla vita è un valore universale, non religioso ma laico, e dovrebbe implicare il diritto a riconoscere vita quella che si sta vivendo. Laddove la vita diventa calvario, una persona cosciente ha tutto il diritto di non considerare più la propria vita degna di essere vissuta e decidere di porvi fine. Imporre a qualcuno di continuare a vivere in quello che egli considera un inferno mi sembra una forma di crudeltà senza limiti".

Nicola Piovani, musicista premio Oscar: "Il rispetto per la vita non dovrebbe essere un principio astratto, e mai prescindere dal rispetto per l'essere vivente. Onorare le ultime volontà di chi rifiuta l'accanimento terapeutico è un dovere civile, oltre che un gesto profondamente cristiano".

Piergiorgio Odifreddi, matematico alle università di Torino e Cornell: "Sulle scelte politiche, le questioni religiose vanno semplicemente lasciate fuori. I credenti sono ovviamente liberissimi di fare quello che vogliono, ma non hanno il diritto di imporre agli altri le proprie scelte. Se loro ritengono che la loro vita appartenga a qualcun altro, bene, la affidino pure al loro padrone. Ma per un laico il padrone della propria vita è l'individuo stesso. L'istinto di sopravvivenza è un istinto primario, e se una persona decide di voler morire non lo farà certo con leggerezza. Che questo non debba essere permesso solo perché qualcuno legge dei libri di 2000 anni fa provenienti dal Medioriente è inaccettabile".

a cura di Nicola Nosengo e Cinzia Sciuto. hanno collaborato Tiziana Moriconi e Roberta Pizzolante

Siamo uomini
non vegetali

di Cinzia Sciuto
Non crede che un testamento biologico possa essere scritto in piena libertà, ma auspica una legge che lasci all'individuo la libertà di morire. Perché? Ecco come la vede Massimo Cacciari, filosofo e sindaco di Venezia.

Etica e politica tornano a scontrarsi: sarà possibile un accordo?
"Sarà inevitabile. Su questi temi è ormai impossibile rimanere sul piano del dibattito culturale e filosofico generale, bisognerà giungere a dei provvedimenti di legge. Che in democrazia si fanno nei Parlamenti a maggioranza, piaccia o no".

Che tipo di provvedimento auspica?
"Una legge che comprenda le ragioni di chi, avendo perso ogni speranza, chiede di morire. Nessuno può guardare nell'anima di un altro. Se una persona ha davvero perso ogni speranza e per lei la vita è diventata una pura e semplice sofferenza, abbiamo il dovere di credergli. Il politico legislatore dovrà muoversi sì sulla base delle proprie convinzioni, ma dovrà saper formulare una legge che contempli l'insopprimibile libertà dell'individuo. La nostra cultura ha eretto la libertà a criterio supremo, e una decisione contraria alla libertà non avrebbe alcun fondamento".

Dunque è favorevole all'eutanasia?
"Bisogna innanzitutto verificare con il più severo rigore che la richiesta non derivi da alcuna forma di pressione e di necessità, che sia assolutamente libera. Una volta accertato questo, non possiamo limitare la libertà di nessuno. Non possiamo pensare, però, ad una sorta di volontà preventiva. Si può intervenire solo nei casi in cui ci sia una volontà esplicita, libera e attuale. È chiaro che, se mi chiedesse ora cosa voglio che si faccia nel caso in cui io mi trovi in una condizione vegetativa, la mia risposta sarebbe 'sopprimetemi!'. Ma è una risposta dettata soprattutto dal pensiero delle sofferenze che provocherei in chi mi sta intorno. E con questo viene meno l'elemento per me dirimente, l'insopprimibile libertà dell'individuo".

L'esistenza
appartiene solo a noi

di Carlo Flamigni
Sarà vero, come dice la Chiesa cattolica, che la nostra vita non ci appartiene. Ma l'esistenza, quella sì. Per esistenza intendo l'intera vita alla quale è stato attribuito valore. Ha a che fare con la nostra dignità, con i nostri rapporti sociali, con l'immagine che abbiamo di noi stessi e con la nostra volontà o capacità di accettare la sofferenza: ognuno dovrebbe avere il diritto di scegliere il momento in cui essere aiutato ad andarsene se un'esistenza dignitosa non è più possibile.

Naturalmente sono necessarie molte cautele per evitare abusi, ma si deve partire da alcuni dati di fatto. Occorre riconoscere che un'eutanasia già viene praticata, ma è alla portata solo dei pazienti più ricchi e meglio inseriti socialmente. Quindi, c'è una discriminazione da sanare. Inoltre, bisognerebbe riconoscere che preservare la dignità è importante quanto alleviare il dolore. Una persona gravemente ammalata può avere anche accesso alla migliore terapia palliativa, ma può lo stesso accorgersi che il suo corpo è diventato un peso per sé e per i familiari. Che sta lasciando ai suoi cari un ricordo diverso da quello che vorrebbe. Questo colpisce la dignità. E anche la morale cattolica dovrebbe tenerne conto, dare più spazio all'etica della compassione, accanto a quella della verità. È necessario, però, essere concreti: in Italia un dibattito sull'eutanasia è probabilmente prematuro.

Diverso è il discorso su una forma di testamento biologico che consenta a ognuno di prendere almeno alcune delle decisioni sul momento della propria fine: è davvero il minimo indispensabile per preservare la dignità anche negli ultimi momenti.

Quando Luca
decise di dire basta

di Chiara Valentini
Il malato ha sempre diritto all'ultima parola. Parla la moglie di Coscioni: 'Questa è l'eredità politica che lui ci ha lasciato'
colloquio con Maria Antonietta Coscioni

"Chi è malato senza speranza di guarigione ha diritto all'ultima parola. La sua volontà deve prevalere su quella dei medici, dei parenti, degli amici, per quanto dolore possa procurare la sua scelta". Parla senza un filo di esitazione Maria Antonietta Coscioni, la giovane vedova di Luca, che ha condiviso ogni momento del calvario del marito e ne ha raccolto l'eredità politica. In quegli anni tremendi lei e Luca si erano confrontati spesso con Piergiorgio Welby e sua moglie Mina. E anche da questi dialoghi nasce il progetto di legge sul testamento biologico che l'associazione Luca Coscioni si prepara a discutere in Parlamento.

Cosa c'è di diverso nella vostra proposta di legge?
"C'è dentro l'esperienza di un malato colpito da un morbo che non lascia scampo. Che per 11 anni ha vissuto i passaggi successivi che ti portano sempre più vicino al limite, diverso per ogni essere umano, al di là del quale scatta il rifiuto di andare ancora avanti. Potrei dire che il testo è un'eredità che ci ha lasciato".

Che cosa significa in concreto?
"Vede, quando Luca aveva aperto quella busta chiusa dove c'era dentro la diagnosi di sclerosi multipla, la prima reazione era stata di pensare al suicidio assistito. Ma poi è venuta fuori la voglia di trasformare questa tragedia in battaglia politica. E insieme è venuto fuori l'attaccamento alla vita, anche a 'quella' vita, con il corpo che si muoveva al rallentatore, finché era rimasto immobile e senza voce, con solo un sintonizzatore per esprimersi. Nel 2003 Luca aveva accettato la nutrizione artificiale, sapendo bene che così entrava nel campo delle cure invasive. Ma quando, qualche anno dopo, si è sentito dire che per vivere doveva anche farsi intubare ha deciso che non se la sentiva. Ha esercitato un diritto di scelta sacrosanto, che vogliamo garantire a chiunque sia in condizioni simili. Altri progetti di legge invece lasciano in sostanza ai medici la possibilità di dire l'ultima parola".



Con il vostro progetto di legge Welby potrebbe ottenere di essere lasciato morire?
"No, il suo caso è diverso. Anche lui come Luca è arrivato al punto limite. Per poter concludere la sua esistenza però non basta rifiutare un trattamento, bisogna sospendere quello che è in atto. In altre parole, staccare la macchina, praticare l'eutanasia. Ciò richiede una legge diversa. Anche questo testo l'abbiamo già scritto. E lo consideriamo un completamento necessario del testamento biologico".

Entriamo in un campo molto più difficile...
"Me ne rendo conto. Ma nessuno può chiudere gli occhi, ad esempio, sul fatto che intanto in vari ospedali si pratica l'eutanasia clandestina".

 

 

Non sia una crociata
colloquio con Andrea Camilleri

di Cinzia Sciuto
Testamento biologico, eutanasia: distinzioni di lana caprina per il grande scrittore siciliano. Ecco perché.

Maestro, come giudica il dibattito?
"Credo che la distinzione tra testamento biologico, che riguarderebbe la sospensione delle cure per evitare un accanimento terapeutico, e suicidio assistito sia una mera distinzione terminologica. Diciamo le cose come stanno. Entrambe hanno un solo obiettivo: accelerare la morte del paziente. Parlare di testamento biologico significa solo girare attorno al problema, mentre quando ci si trovi di fronte ad una persona che abbia espresso una volontà esplicita di voler porre fine alla propria vita, va rispettato il suo desiderio. Una volontà che può anche essere stata espressa tempo prima, in un testamento biologico, se la persona si trova in uno stato di incoscienza".

Pensa che l'opinione pubblica sia pronta per una legge che lasci libertà di scelta su questi temi?
"Non sono per niente fiducioso. Quale deputato italiano è disposto a mettersi contro i vari cardinal Ruini? Anche mettere su un dibattito onesto e costruttivo sarà difficile, per ragioni di opportunismo. Io temo che si accenda la solita virulenta crociata, e questo sarebbe un atto profondamente irrispettoso nei riguardi delle persone stesse che hanno aperto questo dibattito. Penso a Piergiorgio Welby e a Enrico Canova, che si trovano in condizioni molto simili, ma che hanno desideri diversi: uno chiede di poter morire, l'altro vuole continuare a vivere. Non c'è dubbio che le due posizioni non sono equivalenti, perché mentre all'uno è consentito vivere, all'altro è impedito morire. Si pencola dalla parte di colui che vuole continuare a vivere mentre entrambe le posizioni meritano rispetto".