di Stefano Livadiotti e Maurizio Maggi
Papà ha creato l'azienda, loro dovranno gestirla. Sono i rampolli del capitalismo italiano. Che hanno studiato in Usa ma affronteranno la Cina. Come lo faranno?
Una cantina Ferrari
Andrea Recordati è un milanese doc. Eppure, 34 anni fa, è nato a Londra. E non per caso. Ha deciso così suo padre Arrigo, capo dell'omonimo gruppo farmaceutico lombardo, che lo voleva bilingue. E, soprattutto, con doppio passaporto. Il giovane Recordati è uno dei rappresentanti della giovane generazione di imprenditori che, avendo deciso di seguire le orme paterne, è finita in prima linea sul fronte del processo di internazionalizzazione dell'azienda di famiglia, tappa ormai obbligata anche per i più piccoli.

In un paese dove 82 aziende su cento sono ancora a capitale familiare (secondo l'economista Riccardo Faini) e dove oltre l'80 per cento dei proprietari di imprese (Fonte Banca d'Italia) ha ormai superato la cinquantina, la loro è una scommessa decisiva. Anche perché, indipendentemente dalle qualità dei singoli, le statistiche messe a punto dai 'consulenti per la successione' delle grandi banche d'affari dicono che il passaggio generazionale è sempre traumatico e comporta un elevato tasso di mortalità aziendale. Tanto più nel momento in cui la competizione avviene in campo aperto, con nuovi e agguerriti concorrenti.

Il futuro del sistema imprenditoriale nazionale è insomma in buona parte nelle loro mani. Per vedere come se la stanno cavando, 'L'espresso' ha ricostruito vita e opere di dieci campioni di questa nuova generazione. Ecco come si sono fatti le ossa. Su quali strategie hanno puntato. E quali risultati sono stati in grado di portare a casa.

Eduardo l'americano Ad assumerlo in Fiat, nel 1990, è stato il grande capo dell'epoca Cesare Romiti. Ma Eduardo Teodorani Fabbri, un gigante di quasi due metri figlio di Maria Sole Agnelli e Pio Teodorani Fabbri, a Torino c'è rimasto solo due anni. Poi ha cominciato a viaggiare. E non ha smesso più. Ha iniziato con la Spagna, dove per quasi tre anni s'è occupato di credito al consumo alla Fidis, la società di servizi finanziari della Fiat. Poi l'Avvocato gli ha chiesto di trasferirsi a Londra per curare il piano strategico della New Holland, la divisione macchine agricole e movimento terra del gruppo. Una nuova svolta è arrivata nel 1999, con l'acquisto, da parte della New Holland, dell'americana Case e la nascita di Cnh.

Nominato responsabile dell'integrazione aziendale e del piano di dismissioni (in due anni ha fatto cassa per 200 milioni di dollari), Eduardo s'è stabilito per tre anni a Chicago, facendo la spola con l'Europa. Studi al Collegio navale Francesco Morosini di Venezia, primo stage negli uffici newyorkesi della banca d'affari Lazard Frères e servizio militare come ufficiale dei carabinieri al Sismi di Roma, oggi Eduardo, a 41 anni, vive tra Londra e gli Stati Uniti (con qualche puntata a Torino e, più raramente a Roma). Ed è vice presidente del gruppo, che è quotato alla Borsa di New York e vanta un giro d'affari di 14 miliardi di dollari. Responsabile del settore commerciale e delle nuove attività, nel 2000 ha guidato lo sbarco di Cnh Global in India, dove sono state messe in piedi una fabbrica e una rete commerciale. E tre anni dopo ha formalizzato un'importante serie di accordi di joint-venture in Cina, a partire da quello con il colosso Saic. Sul suo tavolo adesso ci sono tre dossier: Medio Oriente, Russia e Corea.

La scommessa di Francesco jr Quando, nel 1994, il ventiseienne Francesco Caltagirone junior è arrivato alla Cementir, l'azienda di famiglia aveva un giro d'affari che dipendeva al cento per cento dall'Italia. Oggi l'80 per cento viene dai mercati esteri: secondo il rapporto R&S di Mediobanca la Cementir è, a livello nazionale, l'azienda che nel 2005 ha fatto i maggiori passi avanti sulla via dell'internazionalizzazione. Per centrare l'obiettivo, il primogenito del costruttore-finanziere-editore Francesco Gaetano ha messo sul piatto un miliardo di euro per una campagna di acquisizioni di cinque anni.

Schivo com'è nel costume della famiglia, ex provetto giocatore di basket, gran tifoso della Roma e appassionato di golf, Francesco jr non ha sempre guidato lungo una strada in discesa. Anzi. A metà degli anni Novanta l'azienda, che la famiglia aveva da poco rilevato dall'Iri, ha attraversato un momento difficile. Colpa di Tangentopoli, che aveva messo in ginocchio l'industria nazionale delle costruzioni, ma anche dei vincoli contrattuali che gravavano la Cementir, impegnata a garantire un certo flusso di investimenti e costretta a non ridurre gli organici. Francesco jr, che ha sposato quest'anno una ragazza russa, ha tenuto duro. E adesso, dopo una massiccia campagna di acquisizioni tra Turchia, Danimarca e Cina e la costituzione di avamposti in Russia e negli Stati Uniti, il gruppo è presente in 70 paesi e conta 12 stabilimenti. Nel 2005 il fatturato è salito del 117 per cento.
La gavetta di Antonio Negli stabilimenti del gruppo di famiglia Antonio Marcegaglia, classe 1963, figlio di Steno, ha cominciato a ficcare il naso fin da quando studiava economia aziendale alla Bocconi di Milano. Dopo la laurea, entrato in azienda a tempo pieno, s'è fatto quattro anni di gavetta prima di essere nominato amministratore delegato, grado che condivide con la mamma Mira e la sorella Emma: le riunioni all'ora del breakfast con il papà-presidente sono ormai entrate nella leggenda di Gazoldo degli Ippoliti, quartier generale del gruppo mantovano che nell'ultimo decennio ha registrato un tasso medio di crescita annua del fatturato del 15 per cento (arrivando a quota 3,3 miliardi; il 50 per cento all'estero).

Ad Antonio, appassionato di auto d'epoca, tennis e vela (ma non ha una barca sua) e collezionista di arte egizia e cinese, sono toccate le deleghe sulle strategie per lo sviluppo industriale e sull'internazionalizzazione. Lui s'è rimboccato le maniche. Venti anni fa l'export degli stabilimenti italiani era pari al 10 per cento del totale della produzione. Ora è salito al 48 per cento.

Nello stesso periodo di tempo il gruppo, prima chiuso dentro i confini nazionali, ha spostato una buona quota della produzione all'estero, nell'ottica di una crescita sui mercato di sbocco più che di semplice delocalizzazione alla ricerca di salari più bassi: oggi gli stabilimenti di Gran Bretagna, Stati Uniti, Brasile e Polonia fatturano 250 milioni di euro. E il giro d'affari straniero è destinato a triplicare nell'arco di tre anni. Sempre sul fronte estero, l'azienda ha messo mano al portafoglio per diventare partner di due acciaierie in Germania e in Inghilterra. E garantirsi così quasi un terzo del fabbisogno annuo di materia prima a un prezzo prestabilito. Una garanzia indispensabile per un gruppo che in un anno ingoia circa 4 milioni di tonnellate di acciaio, sfornando ogni giorno 5.500 chilometri di tubi.

I brindisi di Matteo Il boom, lo scorso anno, delle vendite in Russia è il fiore all'occhiello del trentaduenne Matteo Lunelli, amministratore delegato di Vinifin, la holding di famiglia che controlla il gruppo Ferrari-Lunelli, leader sul mercato italiano del metodo classico, con una quota del 27 per cento.

Bocconiano, cinque anni di scuola negli uffici di Zurigo, New York e Londra della banca d'affari Goldman Sachs, il giovane Lunelli, che ama la vela e la fotografia, s'è dato un obiettivo: raddoppiare in cinque anni le esportazioni del gruppo, che oggi realizza oltre confine il 10 per cento del fatturato (60 milioni), vendendo soprattutto in Germania, Giappone, Stati Uniti, Russia e Gran Bretagna lo spumante scelto dal Quirinale, dalla nazionale di calcio e dalle star di Hollywood per la notte degli Oscar. Ora Matteo, che nel frattempo è sbarcato in Cina, sta cercando un partner locale con cui cimentarsi in India. Ma non perde di vista l'est europeo, a partire dalla Polonia.

Le fotocopie di Federica Nei prossimi mesi la sua meta più frequente sarà il Sudamerica. Federica Guidi, figlia trentatreenne di Guidalberto e direttore per gli acquisti e la logistica della Ducati Energia di Bologna (100 milioni di fatturato tra condensatori, generatori e biglietterie elettroniche; l'80 per cento all'estero), ha messo gli occhi sul Brasile, dove cerca un partner locale per farsi spazio nel business delle forniture a ferrovie e autostrade.

Entrata in azienda a 24 anni (si vanta di aver fatto anche le fotocopie), dopo un master in Business administration e un'esperienza in una merchant bank, Federica viaggia molto, soprattutto in Croazia e in Romania, dove la Ducati Energia ha due insediamenti. Questa estate, in pieno agosto, è volata in India, per firmare una joint-venture per la produzione di volani, centraline elettroniche e sistemi di accensione per veicoli a due e tre ruote.

Andrea e la valigetta Andrea è diventato bilingue come voleva il padre e ora colleziona incarichi nelle attività internazionali della Recordati, un gruppo che quest'anno fatturerà circa 600 milioni di euro, per il 60 per cento realizzati fuori dall'Italia. Laureato in storia al Royal Halloway College di Londra, è presidente e amministratore delegato della Recordati Ireland a Cork - dove ha avviato la produzione della Lercanidipina, il principio attivo che ha fatto la fortuna dell'azienda - e dove è stata trasferita l'attività di controllo di tutte le licenze internazionali: in Irlanda, la società milanese ha investito 25 milioni di euro.
Tutte operazioni pilotate da Andrea, che adesso è anche responsabile del mercato inglese e della tedesca Merckle, acquistata qualche mese fa. Cacciatore e velista, sposato con un'americana, subito dopo la laurea Andrea ha lavorato per tre anni nel colosso Glaxo Smithkline, facendo un po' di tutto. Anche, per un anno, l' informatore sanitario nei sobborghi sud-est di Londra. Valigetta sotto il braccio, andava a proporre i medicinali negli studi, affollati di pazienti pakistani, dei medici della mutua.

In volo con Massimiliano Ottocento salti col paracadute in un paio d'anni: è l'ultima passione sportiva di Massimiliano Tabacchi, sciatore a livello agonistico da ragazzo e provetto sub. Il figlio di Vittorio Tabacchi (destinato a ereditare la guida della Safilo, uno dei giganti italiani dell'occhialeria con marchi come Armani, Dior e Gucci) sta schiacciando l'acceleratore sul Far East. Trentasei anni, laurea in ingegneria a Padova, prima di entrare nell'azienda familiare ha lavorato alla Otis, multinazionale degli ascensori. Alla Safilo è arrivato nel 2001 e ha salito rapidamente i gradini dell'organigramma, fino al fresco incarico di amministratore delegato, che condivide con un manager.

La società veneta realizza fuori dall'Italia l'85 per cento dei circa 1.200 milioni di euro di ricavi . Il primo obiettivo di Massimiliano è l'Estremo Oriente: a Hong Kong ha creato una struttura che acquista parti e prodotti finiti, per tenere d'occhio le molte imprese cinesi ormai in grado di realizzare componenti e occhiali di alta qualità. E produce, per i mercati asiatici, versioni particolari dei suoi occhiali, disegnati per meglio adattarsi ai tratti somatici dei compratori.

Gianluca il cinese Lo stabilimento aprirà i battenti nei primi mesi del 2007. Un impianto modulare, inizialmente piccolo: un primo assaggio per capire se puntare forte sulla Cina anche per la produzione di vasche idromassaggio di lusso. Gianluca Guzzini, presidente della Teuco, rappresenta la quarta generazione di una famiglia di imprenditori marchigiani che opera nel campo dell'illuminazione e delle vasche.

In azienda c'è già stato il cambio generazionale. E così al timone c'è lui, che ha 45 anni e da quando ne aveva 30 lavora nelle imprese di famiglia, girando il mondo alla ricerca di distributori. Oggi l'export rappresenta il 34 per cento del fatturato, che nel 2006 dovrebbe arrivare a 112 milioni di euro. L'export crescerà nel 2006 almeno del 10 per cento, ma Guzzini spera di fare di meglio nel prossimo triennio. Grazie ai nuovi ricchi di Cina e Russia. Se centrerà l' obiettivo, allora darà il via a un ambizioso piano per lo sbarco in nord America: la terra della Jacuzzi.

Lo shopping di Paolo Dopo la Bocconi, due anni di McKinsey, in Spagna. È cominciato così, a Madrid, negli uffici della blasonata maison della consulenza direzionale, il percorso internazionale di Paolo Merloni, 38 anni, figlio di Francesco, ex ministro e oggi presidente di Mts Group, di cui Paolo è amministratore delegato dal 2004. Sciatore con una passione per la caccia, è entrato in azienda nel 1995, con il compito di allargare il business del gruppo marchigiano. In quegli anni il giovane Merloni ha puntato sulla climatizzazione, girando come una trottola per l'Europa.

Poi, nel 2001, è arrivata la svolta: con una raffica di acquisizioni in Francia, Germania e Olanda - seguite di persona da Paolo - il gruppo ha raddoppiato in un anno il suo giro d'affari, che arriva a sfiorare il miliardo di euro. Oggi, con 22 stabilimenti in dieci paesi, Mts è una vera multinazionale, che ha la base a Fabriano ma potrebbe benissimo essere a Parigi, visto che come ricavi la Francia ormai pesa più dell'Italia. Nel 2005, il fatturato di Mts Group è stato di 1,1 miliardi di euro. Che per l'83 per cento viene dall'export.

Alessia cerca casa È nata a Losanna, ma sta cercando casa a Shanghai. O forse a Hong Kong. Nelle due megalopoli asiatiche, del resto, la trentenne Alessia Antinori, la più giovane delle tre figlie del marchese Piero Antinori, è di casa. Enologa con laurea in Agraria all'università di Milano, rappresenta la ventiseiesima generazione di una famiglia che produce vino da oltre sei secoli e dall'inizio del 2005 si occupa di alcuni tra i mercati esteri più importanti per il business di famiglia: Cina e India, ma anche Australia, Thailandia, Malesia e Vietnam. Un primo colpo lo ha già messo a segno diventando fornitore dell'esclusivo network di alberghi Shangri-la. Ma non le basta. Così, ora ha deciso di mettere su casa. E di imparare il mandarino.

Strategia
per una successione

"Proprio la sempre più marcata internazionalizzazione delle imprese italiane, anche di quelle ancora controllate dai fondatori o dai loro discendenti, è una delle ragioni che spinge i giovani figli e nipoti di imprenditori a lavorare nel gruppo di famiglia". Lo sostiene Guido Corbetta, docente della Bocconi e responsabile della cattedra AIdaf, intitolata ad Alberto Falck e dedicata all'analisi delle strategie delle aziende familiari.

Professor Corbetta, da quando si è sviluppata questa tendenza?
"Direi negli ultimi cinque, dieci anni. Le aziende italiane sono ormai quasi tutte orientate a operare oltre confine, attraverso l'export o la presenza diretta di filiali o di società acquisite. Sviluppi professionali che esercitano una certa attrazione per i giovani di casa, oggi sicuramente più interessati a immaginare un futuro dentro il gruppo di famiglia di quanto lo fossero i loro coetanei di 20 o 30 anni fa. Peraltro, anche la difficoltà nel trovare sbocchi fuori dall'impresa familiare può avere la sua importanza".

Cosa spinge gli imprenditori a mandare un erede a presidiare uno o più mercati all'estero?
"I motivi possono essere parecchi e anche contrastanti: dal desiderio di avere un membro della famiglia a presidio di un investimento importante, e quindi attento
alla redditività e allo sviluppo dell'impegno del gruppo, alla scelta di affidare a un figlio o a un nipote la responsabilità di un business dal perimetro ben identificabile, le vendite in un certo paese, per esempio, per misurare direttamente sul campo le capacità dell'erede".

Che consigli dà ai giovani che vengono spediti a guidare filiali o società lontane dalla casa madre?
"Di restare sempre in stretto collegamento con il quartier generale e di non rimanere troppo tempo lontani dal cuore del gruppo. Altrimenti c'è il rischio di tornare e di sentirsi spiazzati e magari anche fuorigioco rispetto ad altri esponenti della famiglia che sono stati nell'head quarter. A meno che, ovviamente, l'interessato non abbia deciso di vivere a lungo lontano dall'Italia e non punti a salire ai vertici aziendali".

Radiografia
di un sistema

Il 58% delle aziende italiane è controllato da una o poche famiglie.

Il 24% è controllato da una persona fisica.

Il 39 % della capitalizzazione della Borsa di Milano (escluse banche, assicurazioni, Eni ed Enel) è rappresentato da aziende familiari.

12 dei primi 20 gruppi quotati sono a controllo familiare.

(Fonti: BankItalia-Associazione italiana aziende familiari-Università Bocconi-'Il Sole 24 Ore')