di Agnese Codignola
Salva le ossa dalla degenerazione. Protegge il sistema immunitario. Fa bene all'umore. E i rischi?
Hanno un bel dire che fa male. Del sole non ne possiamo fare a meno. Sia perché dà un aspetto più sano e fa benissimo all'umore, perché scatena la produzione di serotonina e di endorfine, le molecole rilasciate dall'organismo in risposta al piacere. Sia, soprattutto, perché senza sole le ossa diventano rachitiche e il sistema immunitario non funziona a dovere. Poi, certo, è vero che fa venire le rughe, le macchie cutanee, i capillari e, quando va bene, amplifica le zampe di gallina. E non c'è dubbio che, quando va male, aumenta il rischio di sviluppare una neoplasia della pelle. Dunque, cosa dobbiamo pensare?

A detta di coloro che hanno a che fare con gli effetti del sole per motivi medici, per restare a galla c'è un solo salvagente: il buon senso e qualche consiglio ragionato, perché non ha senso né privarsene, né mettere in pericolo la salute con tintarelle smodate.

Innanzitutto: esporsi al sole piace perché, semplicemente, fa sentire bene. E non si tratta di autosuggestione o di mode: secondo gli ultimi studi, ci sono solide motivazioni biologiche. I raggi ultravioletti stimolano il rilascio di serotonina, il più potente antidepressivo prodotto dall'organismo umano nel cervello, e di endorfine dalla cute. Inoltre il sole è un vero toccasana per le ossa, poiché solo in sua presenza la vitamina D, che permette l'assorbimento del calcio, viene attivata ed è pronta ad agire. Quest'ultima, poi, secondo le scoperte più recenti, svolge anche un'altra fondamentale funzione: contribuisce alla regolazione del sistema immunitario. Spiega in proposito Alberto Mantovani, direttore scientifico dell'Istituto e della Fondazione Humanitas di Milano e immunologo dell'Università del capoluogo lombardo: "Da tempo i genetisti si domandano come mai, durante l'evoluzione, la variabilità del colore della pelle sia stata un parametro così sensibile alle condizioni di soleggiamento delle diverse aree geografiche. Ciò dipende, in parte, dalla necessità di proteggersi dai potenziali danni e dal fatto che la vitamina D, e quindi il sole necessario a renderla attiva, ha un ruolo fondamentale nella fertilità così come nel mantenimento della giusta densità ossea. Ma anche da ciò che si è scoperto solo negli ultimi anni, e cioè che essa interagisce le cellule dendritiche, importanti mediatori dell'infiammazione presenti soprattutto nella pelle. La vitamina D infatti le tiene sotto controllo e quando non c'è più bisogno di loro contribuisce a riportarle a uno stato di riposo. Il settore è in piena evoluzione, al punto che alcune aziende biotecnologiche, anche italiane, stanno studiando derivati della vitamina D più selettivi, uno dei quali è già in sperimentazione clinica come farmaco contro la prostatite, un'infiammazione della prostata che colpisce migliaia di italiani".

Ma c'è di più. Del sole, infatti, si può fare a meno con molta difficoltà anche per motivi ancestrali. Spiega Maria Concetta Romano, docente di dermatologia cosmetica all'Università degli studi dell'Aquila: "In natura il sole è vita e permette il rinnovamento di tutti gli esseri viventi. E questo vale anche per gli umani: in estate tutto il corpo cresce, a partire dai cosiddetti annessi cutanei quali le unghie e i capelli. Inoltre i benefici psicologici hanno ricadute a livello fisico, e non vanno sottovalutati: se una persona si sente davvero bene quando sta al sole, il consiglio migliore che possiamo darle è quello di farlo in modo razionale e sicuro".

Non a caso, secondo gli ultimi studi, la depressione stagionale (in inglese Sad, seasonal affective disorder), che si manifesta in inverno ma anche durante il cambio di stagione, sarebbe dovuta al mancato allineamento tra il ritmo circadiano personale e la modifica del numero di ore nelle quali c'è il sole, e la responsabilità dello stress alla base della cosiddetta sick building syndrome, una costellazione di disturbi che va dalla nausea alla cefalea, dalla stanchezza cronica alla rinite e che colpisce persone che condividono grandi spazi (tipicamente chi lavora in un open space), sarebbe attribuibile anche alla mancanza di luce naturale e alla lontananza dalle finestre.
Per tutti questi motivi, secondo una rilevazione condotta dall'Istituto superiore di sanità in collaborazione con l'Associazione italiana medici di famiglia su quasi 500 volontari, anche gli italiani, otto dei quali sono consapevoli dei rischi, non ci rinunciano. Il 45 per cento si espone per un'ora o più, il 35 per cento per 15-30 minuti e il 20 per cento meno di un'ora, e tra le motivazioni dominano quelle estetiche o ludiche o, appunto, la sensazione di benessere, che spingono quasi un italiano su due a abbronzarsi; soltanto il 5 per cento ritiene che la tintarella possa giovare alle ossa e l'8 per cento pensa di asciugare la pelle e combattere le forme cutanee di allergie dei propri figli come la dermatite atopica.

Eppure, proprio in considerazione del pericolo più grave, quello dello sviluppo di tumori cutanei e melanomi, gli allarmi sugli eccessi della tintarella si ripetono a scadenze fisse. È vero che si riferiscono sempre a studi, serissimi, fatti negli Usa o su popolazioni anglosassoni che hanno un profilo di rischio molto diverso da quello delle popolazioni mediterranee. Ma quando si parla di cancro, l'allarme suona sempre catastrofico. Vero? Spiega Stefano Zurrida, condirettore del Dipartimento di senologia dell'Istituto europeo di oncologia di Milano e esperto di melanoma: "Sfatiamo subito una leggenda: che il sole aumenti il rischio di melanoma. Questa opinione, ampiamente diffusa, è confutata da una serie di dati: il tumore insorge prevalentemente in aree non colpite dalle radiazioni solari come la schiena, le pieghe cutanee, la parte superiore delle gambe, e non colpisce specificamente chi lavora all'aperto, più soggetto ad altre forme neoplastiche. Può essere in qualche modo favorito se l'esposizione è intermittente e caratterizzata da frequenti scottature perché questo provoca seri danni al Dna, ma meno di quattro melanomi su dieci si si sviluppano in persone che prendono il sole.

Inoltre l'aumento di incidenza degli ultimi anni (in Italia è passata, in un decennio, da sette a nove casi ogni 100 mila abitanti), è dovuto soprattutto alla diagnosi precoce e alle campagne di informazione, e non a supposti danni dovuti al buco nell'ozono o all'aumento del numero di persone che amano la tintarella. La realtà è che mancano ancora diversi tasselli alla comprensione di questa malattia per certi aspetti bizzarra, e che di certo la componente genetica ha un ruolo fondamentale, come dimostra l'alta incidenza tra gli anglosassoni trapiantati ai tropici o in Australia, compresi i bambini".

Se il rischio oncologico va ridimensionato, tuttavia, rimangono diversi pericoli in agguato. Come sottolinea Michele Maio, esperto di melanoma e responsabile del dipartimento di Oncologia dell'Azienda ospedaliera universitaria senese: "Il sole favorisce lo sviluppo degli altri tipi di neoplasie della pelle quali quello squamocellulare e quello basocellulare che, pur essendo meno gravi del melanoma, sono in crescita anche tra i giovani e andrebbero prevenuti esponendosi in modo razionale, con bagni di sole, soprattutto le prime volte, limitati a qualche decina di minuti, effettuati sempre lontano dalle ore più calde e sempre con un'opportuna protezione. Per quanto riguarda i prodotti da usare, i filtri devono essere acquistati con un occhio alla data di scadenza e alla qualità, devono essere integri (non vanno mai utilizzati quelli dell'anno precedente o quelli che hanno preso troppo caldo in spiaggia), somministrati più volte (e sempre dopo un bagno) in strati non troppo spessi, che possono favorire l'accumulo di un calore eccessivo. Ma attenzione, il filtro può avere un effetto controproducente: aumenta il tempo in cui è possibile rimanere al sole senza scottarsi e, con esso, la quantità totale di radiazioni che entrano a contatto con il Dna, danneggiandolo. Anche con i filtri è quindi indispensabile limitare le prime esposizioni".

Per salvarsi la pelle, insomma, bisogna limitare le esposizioni e proteggersi sempre. Perché, se è vero che il sole fa così tanto bene, è altrettanto vero che trasforma la faccia in un reticolo di rughe e la pelle del corpo in un pannicolo avvizzito irradiato da orribili capillari e macchie cutanee. Spiega ancora Romano: "Il nostro organismo è ben attrezzato per difendersi dai danni del sole, grazie agli enzimi che riparano il Dna. Ma non tutti ne hanno la stessa quantità e questo è proprio ciò che determina il cosiddetto fototipo e la suscettibilità alle radiazioni, che varia e che ognuno dovrebbe conoscere. Se infatti la manutenzione fatta dagli enzimi non è sufficiente, la comparsa di rughe, macchie e, per effetto del calore, cuperose e capillari subisce un'accelerazione. È bene rivolgersi a uno specialista per avere consigli sul proprio tipo di pelle. E fare attenzione alla dieta: gli antiossidanti contenuti nella frutta e nella verdura (soprattutto in quella gialla e arancione), il licopene dei pomodori e i grassi omega 3 del pesce possono fare molto contro il photoaging, l'invecchiamento cutaneo precoce. E poi, in attesa che si formi il filtro migliore che ci sia, l'abbronzatura, si deve sempre far ricorso a un prodotto, a patto che sia adeguato, sicuro e usato nel modo giusto".
L'attenzione alla qualità dei filtri è stata di recente ribadita anche dall'Unione europea, che ha annunciato l'introduzione, entro il 2007, di una normativa più severa, che vieterà di diffondere messaggi ambigui. Per lo più la dicitura 'fattore di protezione' si riferisce soltanto ai raggi ultravioletti di tipo B, che causano le scottature. E soltanto pochi prodotti riportano anche il fattore di protezione ai raggi di tipo A, responsabili del photoaging e dell'aumento del rischio di sviluppare un tumore. La normativa sarà applicata a tutti i prodotti venduti in Europa (che nel 2004 hanno alimentato un mercato da 1,3 miliardi di euro all'anno), compresi quelli importati, e prevederà che siano ben specificate anche le modalità e i tempi di applicazione.

Occhio all'occhio

C'è un danno potenziale che non tutti tengono nella giusta considerazione, quando si espongono al sole: quello alle strutture dell'occhio.

Per prevenire i rischi l'American Academy of Ophtalmology, in collaborazione con l'organizzazione non profit Prevent Blindness America ha reso note le raccomandazioni sull'uso di lenti protettive e cappelli con visiera.

Nel ricordare che i raggi ultravioletti provocano ustioni alle mucose oculari che nel tempo favoriscono la formazione della cataratta e delle degenerazioni maculari tipiche della terza età (che possono portare alla perdita totale della vista), gli oculisti americani sottolineano che, soprattutto in estate, è indispensabile proteggere gli occhi tutti i giorni, compresi quelli in cui il tempo è nuvoloso, con lenti e cappelli dotati di visiera. Un'attenzione particolare va posta alla qualità delle lenti, che se non sono colorate in maniera adeguata possono essere inutili o, a loro volta, dannose. Al contrario, una buona lente è in grado di schermare tra il 99 e il 100 per cento dei raggi ultravioletti A e B.

Se poi si è reduci da un intervento agli occhi (per esempio per la rimozione della cataratta), se si soffre di qualche malattia alla retina e se si assumono alcuni farmaci quali le tetracicline, le pillole anticoncezionali, i diuretici e gli ansiolitici, è indispensabile sapere che si è più a rischio e prestare ancora più attenzione.

Allo stesso modo, i bambini sono particolarmente suscettibili ai danni delle radiazioni Uv A e B sugli occhi e tendono a stare più a lungo sotto il sole. Per questo i genitori devono munirli di buone lenti che schermino anche i raggi che possono penetrare lateralmente e che siano resistenti agli urti, nonché convincerli a usare sempre un cappellino.

Il tumore della pelle si combatte così

Prima che sia melanoma
Il melanoma non è un tumore frequente: rappresenta soltanto il 2,3 per cento di tutti i nuovi casi di tumore. Anche se per una malattia avanzata non esiste una cura codificata e la mortalità è alta, la diagnosi precoce ha fatto sì che attualmente il melanoma sia uno dei tumori a più alta sopravvivenza (superiore all'80 per cento). Se, al momento della diagnosi, la lesione non supera il millimetro, la malattia è guaribile nel 95 per cento dei casi, se supera i tre millimetri soltanto nel 55 per cento dei casi.

I fattori di rischio
Quelli noti sono l'età, la pigmentazione chiara della cute, i capelli rossi o biondi o chiari, la presenza di efelidi, un gran numero di nevi, l'esposizione intermittente al sole e quella alle lampade che emettono raggi Uva.

La diagnosi precoce
Può essere fatta in tre modi: attraverso l'osservazione diretta della macchia sospetta, con una lente luminosa oppure con il dermatoscopio, un apparecchio che, attraverso una lente che ingrandisce dieci volte e una goccia d'olio messa sulla pelle, permette di vedere ciò che sta sotto la macchia a una profondità di alcuni decimi di millimetro. Questo strumento non viene usato sempre, ma solo nei casi sospetti. L'American Academy of Dermatology ha elaborato un metodo chiamato ABCDE che dovrebbe consentire a tutti di distinguere tra nevi e melanomi, o almeno di suscitare un dubbio da sottoporre al medico. Di recente l'Istituto nazionale per la cura e la ricerca sui tumori di Milano ha proposto alcune variazioni al modello americano, alle lettere C e D.

Le lettere
Riassumono le caratteristiche cui fare attenzione: A: asimmetria: i nevi hanno forma regolare, i melanomi sono irregolari, generalmente asimmetrici.
B: bordi: i bordi dei nevi sono regolari e sfumati, quelli dei melanomi sono solitamente seghettati e netti.
C: colore: i nevi sono generalmente monocromatici, mentre una macchia sulla pelle che contiene più colori al suo interno potrebbe essere un melanoma. Tra tutte questa è la caratteristica più importante, e il colore nero, scuro o variegato, è ciò che lo distingue meglio dai nevi.
D: dimensione: le macchie piccole tendono a essere nevi, mentre se una macchia cutanea ha un diametro superiore a 6 millimetri ha maggiori probabilità di essere un melanoma. Secondo l'Int, invece, l'estensione non è una caratteristica importante perché circa un melanoma su 6 ha un diametro inferiore a 6 millimetri.
Evoluzione: i nevi in genere crescono poco e dopo un po' smettono di aumentare. Ma una una macchia cutanea che continua a crescere deve preoccupare.

La terapia
È soprattutto chirurgica, mentre quella medica, basata sui farmaci, non è ancora ottimale. Quando il melanoma è in fase iniziale, la sua asportazione di solito avviene in ambulatorio o in day hospital. Gli interventi più semplici impegnano il chirurgo per pochi minuti, quelli più complessi richiedono l'opera di un chirurgo plastico per un intervento ricostruttivo della parte lesa. Sono in studio molti vaccini e terapie biologiche per curare meglio anche le forme avanzate.